Nel Biotech vi sono 489 imprese

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Con oltre 9mila addetti e 9,4 miliardi di fatturato. Gli investimenti in R&S: 25% del fatturato con punte fino al 40%. Lombardia al top della classifica. Nel corso del 2014, oltre la metà (56%) delle imprese si è autofinanziata, più di un quarto (26%) ha avuto accesso a contributi in conto capitale, pubblici o privati (grants), il 16% ha fatto ricorso al capitale di debito, mentre soltanto il 4% ha potuto accedere a finanziamenti di Venture Capital

A fine 2015 sono quasi 500 le imprese biotech attive in Italia. Un comparto ad elevata intensità di innovazione, protagonista di uno straordinario sviluppo, capace di fungere da acceleratore di occupazione nell’indotto, dinamico e anticiclico: è questa, in estrema sintesi la fotografia scattata nel Rapporto 2016 «Le imprese di biotecnologie in Italia – Facts&Figures» realizzato da Assobiotec, Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica, in collaborazione con Enea e presentato oggi a Milano, presso la sede Ice.

Nella grande maggioranza dei casi il biotech italiano è costituito da imprese micro o di piccola dimensione1 che rappresentano l’elemento trainante dell’intero settore. Il fatturato supera i 9,4 miliardi di euro2 e le previsioni indicano un +12,8% al 2017 e un +18,1% al 2019, a conferma del rilevante contributo che l’introduzione di nuove tecnologie e prodotti porterà allo sviluppo dell’industria biotech nei prossimi anni.

Gli addetti superano le 9.200 unità, gli investimenti in R&S gli 1,8 miliardi con un’incidenza del 25% sul fatturato delle imprese dedicate alla R&S biotech3 a capitale italiano e punte che possono raggiungere anche il 40% del giro d’affari.
Nel corso del 2014, oltre la metà (56%) delle imprese si è autofinanziata, più di un quarto (26%) ha avuto accesso a contributi in conto capitale, pubblici o privati (grants), il 16% ha fatto ricorso al capitale di debito, mentre soltanto il 4% ha potuto accedere a finanziamenti di Venture Capital.

Il Rapporto evidenzia inoltre che il biotech nazionale è un settore ad alta intensità di ricerca: rispetto all’industria manifatturiera, infatti, la quota di addetti in R&S è 5 volte maggiore (13 volte se consideriamo le imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano). Non solo: guardando la quota della spesa in R&S sul fatturato si registra come questa sia di 2,3 volte maggiore nel biotech (14 volte se consideriamo le imprese dedicate alla R&S biotech a capitale italiano).
La Lombardia è la prima regione in Italia per numero di imprese (141), investimenti in R&S (29,43% del totale) e fatturato biotech (51,11% del totale).

«I dati del rapporto presentato oggi mostrano come l’industria biotecnologica in Italia rappresenti un comparto di indiscussa eccellenza, sia scientifica sia tecnologica. Un settore caratterizzato da un forte fermento e dinamismo, testimoniato dalla presenza di quasi 500 aziende – dichiara Riccardo Palmisano, Presidente di Assobiotec -. Ma gli stessi dati confermano anche i punti di debolezza del settore: infatti, quasi il 90% delle imprese dedicate alla R&S biotech sono e restano realtà piccole o micro, una caratteristica che ostacola lo sviluppo delle grandi potenzialità della biotecnologia in Italia. Inoltre burocrazia, frammentazione, poco trasferimento tecnologico, misure di supporto strutturale ancora poco competitive frenano lo sviluppo nel panorama internazionale. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti interventi concreti, che rappresentano indubbi passi avanti, restano diversi punti critici, che a nostro avviso vanno affrontati rapidamente per non rischiare di perdere il momentum che il biotech sta offrendo anche al nostro Paese. Primo fra tutti, l’istituzione di una cabina di regia centrale e comune dell’intero sistema che, sull’esempio di quanto già avviene nel Regno Unito, possa coordinare ed armonizzare gli interventi su ricerca ed innovazione, individuando le priorità, ma anche indirizzando le risorse disponibili. Altro tema chiave è il necessario rafforzamento delle competenze di trasferimento tecnologico, attraverso, ad esempio, la costituzione di un centro nazionale di Technology Transfer per le scienze della vita. Terzo punto quello legato al miglioramento delle agevolazioni fiscali ad oggi presenti. Senza dimenticare la necessità di far nascere un venture capital pubblico-privato, in cui siano coinvolte le istituzioni, capace di supportare la creazione e lo sviluppo di imprese biotecnologiche innovative e costituire un punto di riferimento per operatori finanziari esteri interessati a co-investire nel nostro Paese».
«La collaborazione fra Assobiotec e l’Enea avviata con la realizzazione di questo rapporto va nella direzione di creare un canale privilegiato per favorire ed incentivare scambi di conoscenze e tecnologie fra uno dei principali enti di ricerca del paese e le imprese attive nelle biotecnologie – dichiara Marco Casagni, Vice Responsabile della Direzione Committenza dell’Enea -. Come Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile abbiamo una consolidata tradizione in questa direzione, con particolare riferimento all’applicazione delle biotecnologie ai vari settori produttivi, per la messa a punto di prodotti e servizi fortemente innovativi e per contribuire a processi più efficienti ed ambientalmente sostenibili, come ad esempio la formulazione di biofarmaci e vaccini di nuova generazione prodotti in pianta, i processi per la produzione di bioetanolo ed idrogeno o il processo biotecnolologico per la rimozione di depositi di origine organica da opere d’arte. Se nel settore della salute l’applicazione delle biotecnologie è ormai consolidata, con interessanti prospettive nel campo delle malattie rare e delle terapie avanzate, ancora più promettenti sono le prospettive di sviluppo nelle applicazioni industriali e della green chemistry in particolare – ha aggiunto Casagni -. Per poter cogliere pianamente le opportunità che si prospettano, è però necessario fare sistema nella ricerca e sostenere le imprese nella gestione delle forti incertezze che caratterizzano soprattutto i settori più innovativi».

Le biotecnologie della salute

Le realtà impegnate nel settore delle biotecnologie della salute rappresentano, in termini numerici, poco più della metà delle imprese di biotecnologie in Italia (53%) e continuano ad essere un motore trainante del comparto se si considera il fatturato totale (7,1 miliardi di euro) e il valore degli investimenti in R&S (pari a 1,4 miliardi di euro).
Dall’analisi del portafoglio di 77 aziende a capitale italiano, emerge una pipeline terapeutica di 249 progetti, 190 dei quali già in fase di sviluppo preclinico (53%) o clinico (33%).
Quelli delle Malattie Rare e delle Terapie Avanzate sono tra i settori di eccellenza: da un lato infatti la nostra ricerca accademica vanta il maggior numero di pubblicazioni scientifiche in materia di Malattie Rare; dall’altro il primo prodotto di Terapia Avanzata approvato nel mondo occidentale è un farmaco a base di cellule staminali, sviluppato da un’impresa biotech italiana.
In parte riconducibile alle biotecnologie della salute è anche il settore emergente delle Gpta in cui operano 65 aziende (13% del totale) prevalentemente impegnate in ambito big data che contribuiscono all’affermazione dei nuovi modelli di Medicina Personalizzata.
Non solo, la carica innovativa delle red biotech trova applicazione anche in campo diagnostico attraverso lo sviluppo di metodiche che permettono sia di correlare la diagnosi a schemi terapeutici specificamente mirati sulle caratteristiche del paziente, sia di monitorarne costantemente l’efficacia.

Le biotecnologie industriali

Con 119 imprese le biotecnologie industriali rappresentano per numerosità il 2° settore di applicazione delle biotecnologie in Italia (24% del totale). Si tratta di realtà che utilizzano enzimi, prodotti da batteri, funghi e alghe, in ambiti applicativi che vanno dalla riqualificazione di molti processi industriali, alla produzione di energia e di bioprodotti, fino ad arrivare alla diagnostica e bonifica ambientale, o al restauro e alla conservazione del patrimonio artistico.
L’industria biobased italiana si è affermata, in termini di competitività tecnologica, a livello mondiale nella produzione di biolubrificanti, pigmenti, solventi, detergenti, fitofarmaci, bioplastiche, fibre naturali e altri materiali che costituiscono, già oggi, una valida alternativa ai prodotti della petrolchimica tradizionale. Prodotti che hanno contribuito a portare il valore delle bioeconomia in Italia a 244 miliardi di euro, con 1,5 milioni di occupati4.

Le biotecnologie nel settore agricolo e zootecnico

Il settore green biotech conta in Italia 44 imprese (9% del totale). La grande maggioranza delle aziende (73%) è costituita da realtà dedicate alla R&S biotech, di dimensione micro, impegnate a valorizzare il potenziale applicativo delle biotecnologie in campo agricolo e zootecnico, per il miglioramento del valore nutrizionale delle produzioni animali e vegetali, e la sostenibilità dell’intera filiera alimentare italiana.

1 Sono aziende micro quelle nelle quali il numero degli addetti è < di 10; piccole quelle con numero di addetti < di 50
2 Dati al 31/12/2014
3 Aziende che dedicano oltre il 75% dell’investimento totale in R&S ad attività di ricerca biotech.
4 Per maggiori informazioni vedi «La bioeconomia in Europa – 2° rapporto»  Intesa Sanpaolo – Assobiotec