Nel poco che conosciamo della storia dell’uomo si stanno facendo strada percorsi che spiegano la sua evoluzione in relazione al cambiamento delle sue abitudini. Una cosa è però certa: se nel passato i cambiamenti erano dettati dalla necessità, oggi sono indotti dalla cultura, dove per cultura si intende l’abilità umana di giocare su economia, profitto, alimentazione dell’ignoranza, business, corruzione… e un mare di altri sottoprodotti della «civiltà» umana
Il mondo dell’agricoltura sta indubbiamente vivendo un momento di grande attualità sia dal punto di visto delle tecniche e delle produzioni, sia dal punto di vista del marketing.
Strategico in tutto questo è l’aiuto di linfa nuova che arriva non sempre da «eredi» tradizionali di addetti ai lavori, che hanno portato nel settore, fantasia e voglia di sperimentare.
Altro elemento è la conoscenza scientifica che cerca di rispondere alle esigenze di una società preoccupata dalla filiera produttiva e da che cosa arriva nel piatto a tavola.
A queste e ad altre domande cerca di rispondere il numero on line del trimestrale di «Villaggio Globale» «Agricoltura quale futuro».
Le sfide non mancano, appunto per il futuro, e vanno dalle nuove ricerche di biotecnologia, all’aumento della popolazione, al numero di poveri.
Di seguito l’Editoriale del Direttore, Ignazio Lippolis, che fa riflettere su molti aspetti che ci riguardano da vicino.
Torniamo a parlare di agricoltura, se mai abbiamo smesso… E sì, perché siamo di quelli che credono nella insostituibile validità della pratica agricola.
Quando si parla delle origini delle comunità umane si opera una sorta di divisione che nel tempo si è trasformata in antagonismo (cacciatore, agricoltore, allevatore, arti e mestieri, intellettuali…) e non si parla mai di competenze, cultura, conoscenze… che fanno parte del cammino evolutivo dell’uomo. E tutt’oggi, c’è una sorta di competizione non dichiarata fra le varie competenze e culture come se queste fossero in perenne antagonismo e non facessero parte dello stesso cammino.
A ben riflettere non c’è conoscenza superiore che non sia partita dalle conoscenze di base e primordiali del rapporto che l’uomo ha avuto con la realtà che lo circondava, se non altro per potersi difendere.
La situazione, però, non si fermò a questo punto ma si complessificò:
«I re cominciarono a fondare città e a stabilire fortezze per loro difesa e loro rifugio, e divisero campi e bestiame, assegnandoli a seconda della bellezza, della forza e dell’ingegno di ciascuno: molto infatti valevano la bellezza e la forza. Più tardi si scoprì la ricchezza e l’oro che tolse facilmente l’onore a forza e bellezza, giacché quelli che sono pur nati forti e di bell’aspetto seguono comunque la fazione di chi è più ricco. Se invece si considerasse la vita secondo la vera ragione, la vera ricchezza per l’uomo è vivere sobriamente e serenamente: del poco non c’è mai penuria». Così scrive mirabilmente Lucrezio nel De rerum natura.
E così ora ci troviamo a dover ripercorrere a ritroso le strade della conoscenza per riannodare i fili di quanto è stato spezzato nel passato inseguendo modelli di discutibile benessere. Nel nome di un primeggiare che ha sempre applicato la pratica sostitutiva e non comprensiva delle conoscenze.
Scopriamo, ora, il rapporto fra alimentazione e benessere commisurato al tipo di vita che conduciamo, scopriamo la perdita di specie che erano poco remunerative ma eccellenti nel rapporto salute e benessere. Come ci appaiono miracolose le abitudini alimentari di particolari aree regionali tanto che non resistiamo alla tentazione di importarle dandola ancora una volta vinta al sistema commerciale che ci avvolge, senza fare un adeguato confronto fra stili di vita non paragonabili fra regioni geograficamente diverse e lontane per clima, cultura e tradizioni.
Ma non abbiamo finito di «sanare» una situazione, che già si prepara un altro confronto per primeggiare nell’eterna divisione culturale che l’uomo opera e che esclude la complessità e lo sviluppo, la comprensione di un cammino, la spiegazione di un percorso.
Nel poco che conosciamo della storia dell’uomo si stanno facendo strada percorsi che spiegano la sua evoluzione in relazione al cambiamento delle sue abitudini. Una cosa è però certa: se nel passato i cambiamenti erano dettati dalla necessità, oggi sono indotti dalla cultura, dove per cultura si intende l’abilità umana di giocare su economia, profitto, alimentazione dell’ignoranza, business, corruzione… e un mare di altri sottoprodotti della «civiltà» umana.
Per questo la radicalizzazione del cammino verso un’alimentazione più adeguata dell’uomo moderno (e che tenga fuori tutto ciò che ci faccia male) che sta producendo comportamenti quasi settari, non possono essere guardati con serenità perché sono figli della stessa ragione «culturale» che ha prodotto tanti guasti all’uomo.
Il cammino futuro dell’uomo, confermando che ci troviamo nel mezzo di un’era transitoria, può serbare ancora profonde modifiche negli stili di vita futuri ma non in un periodo lontano bensì anche soltanto «domani».
Purtroppo l’uomo avrà un qualche meccanismo di distrazione che gli impedisce di prendere pienamente coscienza di ciò che gli sta accadendo… dal «mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata» al Titanic che affonda mentre suona l’orchestra… molto poco è cambiato, quasi che l’uomo non fosse di questo pianeta, che fosse di passaggio e che la Terra non fosse casa sua.
Secondo stime riportate dalla rivista dell’Enea, dal 2008 al 2014, oltre 157 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro zone d’origine e, si calcola, che entro il 2050, potrebbero diventare 200 milioni. Per l’International Organization of Migration, sarebbero tra i 25 milioni e un miliardo il numero di coloro che potrebbero migrare nei prossimi 40 anni in conseguenza dell’emergenza clima…
Altro che le poche centinaia di migliaia di sfortunati che stanno bussando alle nostre porte perché vittime delle guerre!
Se noi continuiamo a fare salotto, se i cambiamenti climatici dipendono da noi o dipendono dal sole o da condizioni astronomiche, il risultato sarà lo stesso: il deserto e la sommersione di ampi territori delle terre emerse.
E allora altro che carnivori, vegetariani o vegani. La necessità dell’alimentazione, le abitudini alimentari tradizionali e religiose avranno poco spazio per contendersi il «mercato» e le multinazionali avranno pochi guadagni per le loro campagne per alimentare il mondo perché il mondo sarà sempre di più una massa di uomini sofferenti figli del nostro attuale egoismo.