Oltre la metà del territorio nazionale ha ormai perso parte delle sue funzioni fondamentali. Quasi un miliardo l’anno il «prezzo da pagare» per il consumo di suolo in Italia. Roma, Milano e Venezia le città metropolitane con i costi più alti
Sfiora il miliardo di euro (oltre 800 milioni) il prezzo massimo annuale che gli italiani potrebbero pagare dal 2016 in poi per fronteggiare le conseguenze del consumo di suolo degli ultimi 3 anni (2012-2015), un consumo che, sebbene viaggi oggi alla velocità più ridotta di 4 metri quadrati al secondo, continua inesorabilmente ad avanzare ricoprendo in soli due anni altri 250 km2 di territorio, circa 35 ettari al giorno.
I costi occulti, quelli cioè non sempre immediatamente percepiti, prevedono una spesa media che può arrivare anche a 55mila euro all’anno per ogni ettaro di terreno consumato e cambiano a seconda del servizio ecosistemico che il suolo non può più fornire per via della trasformazione subita: si va dalla produzione agricola (oltre 400 milioni di euro), allo stoccaggio del carbonio (circa 150 milioni), dalla protezione dell’erosione (oltre 120 milioni), ai danni provocati dalla mancata infiltrazione dell’acqua (quasi 100 milioni) e dall’assenza di impollinatori (quasi 3 milioni).
Solo per la regolazione del microclima urbano (ad un aumento di 20 ettari per km2 di suolo consumato corrisponde un aumento di 0,6 °C della temperatura superficiale) è stato stimato un costo che si aggira intorno ai 10 milioni l’anno.
Sono queste le stime preliminari dei costi nazionali «nascosti» provocati dalla trasformazione forzata del territorio avvenuta tra il 2012 e il 2015 e pubblicati nel rapporto Ispra sul Consumo di suolo in Italia 2016 presentato questa mattina a Roma durante la giornata dedicata al suolo.
Milano (45 milioni), Roma (39 milioni di euro) e Venezia (27 milioni) sono le città metropolitane con i costi annuali più alti.
Nonostante la crisi, l’Italia perde ancora terreno: dal 2012 al 2015 il territorio sigillato è aumentato dello 0,7%, invadendo fiumi e laghi (+0,5%), coste (+0,3%) ed aree protette (+0,3%), avanzando anche in zone a pericolosità sismica (+0,8%), da frana (+0,3%) e idraulica (+0,6%).
Ancora, la maggior parte del suolo consumato è di buona qualità: lo studio condotto in Abruzzo e in Veneto, ha dimostrato che i suoli modificati sono quelli con maggiore potenzialità produttiva.
Inoltre la copertura artificiale non deteriora solo il terreno direttamente coinvolto, ma produce impatti notevoli anche su quello circostante. Gli effetti, le perdita di parte delle funzioni fondamentali, si ripercuotono sul suolo fino a 100 metri di distanza. In altri termini, oltre la metà del territorio nazionale (56%) risulta compromesso.
Nell’anno appena trascorso, 3 regioni superano il 10% di suolo consumato, con il valore percentuale più elevato in Lombardia, Veneto e Campania. In Emilia Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Marche troviamo valori compresi tra il 7 e il 10%. La regione più virtuosa è la Valle d’Aosta (3%).
Nel triennio 2012-2015 l’Italia si è divisa nettamente in due: il consumo avvenuto nella metà dei comuni italiani (51%) coincide con l’incremento della popolazione, mentre l’altra metà (49%) ha consumato «a perdere», ovvero nonostante la popolazione non crescesse. I piccoli comuni (con meno di 5.000 abitanti) sono i più inefficienti, avendo i valori più alti di consumo marginale di suolo: per ogni nuovo abitante divorano mediamente tra i 500 e i 700 m2 di suolo contro i 100 m2 dei comuni con più di 50.000 abitanti.
Tutti i numeri e i costi del consumo di suolo italiano, in formato open data, sono on line.