Il parere di Viktor Klarsicht, considerato tra i massimi esperti di Storia della Conservazione, contattato dal Centro parchi internazionale. Governati da nomine di natura partitica, che hanno estromesso o emarginato le personalità più indipendenti e competenti, vengono oggi sfruttati intensamente soprattutto per operazioni di interesse local-politicistico, personalistico e settoriale
Pubblichiamo il parere di Viktor Klarsicht, considerato tra i massimi esperti di Storia della Conservazione, contattato dal Centro parchi internazionale
La crisi ambientale in Italia sta manifestandosi sempre più preoccupante, gli attacchi ai Parchi e alla Natura si susseguono, portando il Paese a fondo, senza alcuna via di ritorno: tutto sembra dipanarsi in una nebbia soporifera, nella generale rassegnazione e nella manifesta incapacità di reazioni valide. Perché? Abbiamo rivolto la domanda al professor Viktor Klarsicht, attualmente in Anno Sabbatico in America, considerato tra i massimi esperti di Storia della Conservazione. Ed ecco la sua chiara e semplice risposta…
I Parchi e la Natura in Italia sono stati ceduti alla politica, o meglio sono stati da questa occupati con prepotenza, ignoranza e arroganza. Governati da nomine di natura partitica, che hanno estromesso o emarginato le personalità più indipendenti e competenti, vengono oggi sfruttati intensamente soprattutto per operazioni di interesse local-politicistico, personalistico e settoriale. Operazioni ovviamente di basso profilo, ma di grande egoismo, avidità e narcisismo, comunque lontane dal vero interesse della collettività.
Non è certo una novità, ma il fenomeno si sta espandendo ora come mai prima, e sta dilagando incontrastato anche nelle altre organizzazioni che avrebbero dovuto mantenere efficienza e indipendenza: pensiamo ai disastri emergenti nei settori bancario e dell’informazione, dell’istruzione e della sanità, per non dire della programmazione nazionale e dell’assetto del territorio. Ma tutto viene ammantato in un velo di apparente impegno per l’ambiente e per l’interesse del Paese, tra roboanti proclami, battute a effetto, cialtronesche promesse e deprimenti banalità.
Si tratta di un goffo mascheramento, perché basterebbe sollevare un poco il velo, alzare qualche coperchio, e la triste verità verrebbe alla luce, rivelando quali siano gli interessi in gioco. Eppure nessuno, e tanto meno l’ambientalismo (che un tempo appariva forte e deciso, ma si presenta ora debole e diviso), sembra capace di intervenire. O meglio, l’unica strategia di contrasto finora espressa resta il cosiddetto «piagnucolamento» infantile. E cioè un singhiozzo per ogni nuova catastrofe annunciata: soppressione della Forestale, frammentazione del Parco dello Stelvio, scomparsa del Museo Geologico, corsa al taglio di alberi e boschi, annacquamento della legge sui Parchi, ponti d’oro all’espansione dell’attività venatoria, strangolamento dei centri di recupero della fauna… E poi tutto finisce lì.
Ma la verità dei fatti e della storia non potrà essere dimenticata né cancellata. Riesumando la «memoria storica», si scoprirà prima o poi che questo ectoplasma verdastro piagnucolante, fantasma dell’ambientalismo che fu, non risulta neanche lui tanto innocente. Perché non v’è dubbio che nel recente passato è stato troppo spesso spettatore inerte, e talvolta addirittura complice e sicario, di molte malefatte. In conclusione, ha lasciato che una realtà adamantina e disinteressata, coerente e solida come quella della seconda metà del secolo scorso (che aveva coinvolto giovani e meno giovani, soccorso la fauna in pericolo, difeso gli alberi padri, prodotto la legge quadro sui Parchi e vinta l’impossibile «sfida del 10%», affinché almeno un decimo del BelPaese fosse tutelato all’avvento del Terzo Millennio) finisse emarginata, imbastardita e liquefatta, nel giro di appena qualche anno.
In definitiva, continuando su questa strada, è chiaro che domani i cosiddetti Parchi nazionali, in Italia, forse esisteranno ancora, ma saranno davvero qualcosa di diverso. Dietro al loro nome, si celeranno soprattutto insipide realtà virtuali, ottimi trampolini di scalata politica, centri di attività paraculturali e pseudoecologiche, contenitori di mille affari estranei travestiti di verde (mascheramenti definiti dagli anglosassoni «green-washing»).
Saranno ormai ridotti, insomma, proprio a ciò che voleva la politica: splendide, gratuite e comodissime etichette.