Governance, semplificazione, risorse economiche e gestione faunistica sono la chiave su cui muoversi, secondo Sammuri. Rispetto a 25 anni fa la sensibilità nei confronti della natura nella società civile è sicuramente aumentata, sembra però che ci sia un problema di attenzione in generale dei decisori politici
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Si è svolta tempo fa a Bari un’iniziativa organizzata dalla Regione Puglia e Federparchi Europarc Italia riguardo gli aggiornamenti sulla riforma della Legge quadro sulle aree protetta, Legge 394/1991.
In occasione anche del lancio dell’Inchiesta Aree Protette avviata da «Villaggio Globale», abbiamo rivolto qualche domanda al presidente di Federparchi, Giampiero Sammuri, per cercare di fare il punto della situazione sulla Legge che ha regolamentato i Parchi per i trascorsi 25 anni.
Cosa ha caratterizzato l’applicazione della Legge quadro sui parchi in questi 25 anni di vita?
Dal 1991, anno in cui la Legge quadro sulle aree protette è stata emanata la sua applicazione ha portando alcuni risultati positivi come l’istituzione di molti parchi nazionali che sono nati proprio nella seconda metà degli anni Novanta a seguito della Legge. Quando è nata la Legge di parchi nazionali ce n’erano solo 5 e oggi siamo a 24 parchi, contando il neonato parco di Pantelleria. Un incremento deciso a partire dagli anni Novanta e quindi molto si è fatto come cultura ambientale e come applicazione della Legge. Ma le leggi però invecchiano, cambiano molte cose, ci sono stati due congressi mondiali dei parchi, ecc. L’aggiornamento alla Legge quadro parte proprio dell’esperienza di questi 25 anni di gestione dei parchi e quindi andando a valorizzare quelle cose che hanno funzionato e volendo modificare quelle che invece hanno funzionato meno e questo dovendo andare necessariamente ad inserire la Legge in uno scenario che negli anni è profondamente cambiato.
Quali le problematiche dei parchi a 25 anni dall’emanazione della Legge?
Le problematiche possono essere inserite in 4 macroaree di intervento: governance, semplificazione, risorse economiche e gestione faunistica. Per quanto riguarda la prima macroaree, la governance, si è visto molto spesso, per quanto riguarda i parchi nazionali, che è stato un grande problema la nomina dei Presidenti perché questa avveniva senza regole e tempi certi precipitando in situazioni di stallo che a volte sfociavano in commissariamenti che duravano anche svariati anni. Ora, forti di questa cosa, cambiano le regole per la nomina del Presidente nel senso che ci sono tempi contingentati. Per quanto riguarda la nomina del Direttore del parco lo stesso viene equiparato, come è giusto che sia, a tutti gli altri dirigenti pubblici nel senso che la nomina del Direttore avviene attraverso una selezione di evidenza pubblica, bando aperto a tutti coloro che hanno i requisiti e questo differentemente a quanto avviene oggi dove la selezione viene fatta all’interno di un albo molto ristretto. Sulla semplificazione ci sono i tempi contingentati per una serie di cose… I piani dei parchi nazionali, ad esempio, che devono essere approvati dalle Regioni, oggi hanno tempi di giacenza lunghissimi, il tempo medio è 5-6 anni e alcuni giacciono da più di 8 anni presso le Regioni competenti. La riforma alla Legge introduce i 12 mesi e poi il silenzio assenso e quindi tempi certi per concludere e semplificare questo iter. Inoltre, prima nella gestione di un parco c’erano due piani, il piano del parco e il piano di sviluppo economico e sociale che era burocrazia pura con la stesura di due piani e quindi due procedimenti diversi, tempi raddoppiati. Ora lo strumento diventa uno solo che contiene entrambi gli aspetti, quello della conservazione e quello dello sviluppo così come si fa nella gestione dei parchi «moderni». Per quanto attiene il terzo punto ovvero le risorse economiche, i parchi sino ad ora avevano una serie di entrate ma non molto chiare. Bene, ora viene introdotto un concetto molto importante che è il contributo per i servizi ecosistemici e quindi se ci sono attività che hanno un certo impatto sull’ambiente chi le esercita deve versare un contributo al parco medesimo. Sono attività che già pagano contributi pubblici ma non li pagano al parco, impianti che sono all’interno dei parchi che pagano canoni di concessione ma per i quali il parco non prende nulla e quindi è prevista una percentuale che va al parco proprio per le attività di ripristino ambientale. Poi c’è una parte anche per l’utilizzo dei beni demaniali da parte del parco; oggi i parchi, che sono enti pubblici, se acquisiscono un bene demaniale devono pagare come se fossero enti privati. La riforma alla Legge prevede che questa concessione sia gratis e questo in linea a quanto avviene per tutti gli altri soggetti pubblici. Per la gestione faunistica, che ora è diventata un problema soprattutto per quanto riguarda la gestione delle specie aliene ed invasive come il cinghiale, viene chiarita meglio la Legge dando un ruolo importante all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) che deve redarre pareri scientifici in merito alla gestione, pareri che oggi non sono previsti.
In che modo le Istituzioni possono proteggere l’equilibrio uomo-natura accendendo i riflettori su situazioni di degrado (disboscamenti nei parchi, caccia nelle aree protette, il parco dello Stelvio, nato nel 1935, a rischio smembramento, ecc.) e non sostenendo un pericoloso silenzio?
Le cose le fanno le persone, è chiaro che ci sono amministrazioni migliori e altre pessime. La tutela ambientale e la conservazione che abbiamo all’interno dei parchi è enormemente superiore rispetto a quello che abbiamo in giro per l’Italia. È chiaro che se c’è una cosa che non va all’interno di un parco fa più sensazione rispetto a qualcosa che abbiamo fuori. Se in Italia la biodiversità si è conservata è comunque grazie alla presenza dei parchi. I parchi dal punto di vista della conservazione hanno già tutti gli strumenti e in questo il miglioramento della Legge interviene poco. Se vediamo i risultati che hanno ottenuto i parchi in termini di conservazione salvando alcune specie simbolo in Italia notiamo come gli strumenti ci sono e infatti i parchi dal punto di vista della conservazione della biodiversità, nonostante la presenza di una legislazione vecchia, hanno comunque ottenuto risultati importati. Ci sono comunque elementi di criticità perché per ottenere risultati si è dovuto combattere con tutti quegli elementi detti prima ma con queste sistemazioni della Legge quadro la situazione è destinata a migliorare.
In che modo tutta la società civile, e non solo la politica, può intervenire per invertire questo trend?
Rispetto a 25 anni fa la sensibilità nei confronti della natura nella società civile è sicuramente aumentata in maniera diffusa, sembra però che ci sia un problema di attenzione in generale dei decisori politici e magari per questo aspetto si può fare di più.
E perché questo atteggiamento dei decisori politici?
Rispetto a 25 anni fa oggi ci sono problemi diversi, ci sono guerre, immigrazioni, terrorismo e quindi un tg che fornisce notizie in base a quelle che sono le emergenze nazionali ed internazionali affronta tematiche che vertono sempre ad argomentare su questi aspetti più urgenti e la politica di conseguenza è condizionata dalle problematiche che maggiormente emergono e sono più sentite dalla gente. Le questioni ambientali non sono tra questi argomenti e nonostante ci sia questo sentimento diffuso di interesse comune la politica lo percepisce un po’ meno. Al riguardo, è stato scritto un paio di anni fa un rapporto redatto da Unioncamere sull’economia dei parchi che dà uno spaccato molto interessante e fa vedere come le aree parco, a parità di condizioni, hanno un reddito procapite più elevato. Ed è una cosa molto importante che dimostra come una parte della società civile italiana crede molto nel ruolo dei parchi e nella funzione che essi possono svolgere all’interno del territorio.
Come lo immagina il futuro dei Parchi italiani e non solo?
Che si lavori sempre di più per un’efficienza maggiore che ricada su un aspetto più manageriale nella gestione dei parchi e questo differentemente da quanto si è fatto fino ad ora consolidando gli aspetti positivi ottenuti in termini di conservazione. Non ci dimentichiamo che siamo lo stato dell’Unione europea che ha il maggior numero di specie animali e vegetali e in questa classifica, a differenze di altre, siamo i primi.