Il vicino anniversario dell’alluvione di Firenze ci ricorda che bisogna operare per uno sviluppo, che se lo dobbiamo definire tale non può che essere sostenibile, che tenga conto delle caratteristiche del territorio, della conoscenza delle dinamiche naturali del territorio alle quali le attività antropiche si devono adeguare garantendo un’integrazione tra territorio e sviluppo
Alcune regioni del nord est (Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto) e dell’Italia centrale (Emilia-Romagna, Toscana e Umbria) vissero nel 1966 un autunno piovoso con precipitazioni persistenti che causarono estese inondazioni e innescarono numerose frane. La popolazione letteralmente sorpresa dagli eventi fu sommersa da un’ondata di acqua e fango, ingenti i danni e molte vittime.
I morti nelle regioni del nord est furono 87, oltre 42.000 gli sfollati (25.800 in Veneto, 15.800 in Friuli-Venezia Giulia e oltre 400 in Trentino-Alto Adige). Le pianure dell’Italia settentrionale furono inondate dall’acqua con estese porzioni invase prima dall’acqua e poi trasformate in acquitrini; 209 i Comuni che segnalarono danni ingenti. La regione più colpita fu la Toscana con 47 morti, centinaia di feriti e 46.000 cittadini costretti ad abbandonare la propria casa o senza più una casa dove rifugiarsi. Le città di Grosseto e Firenze furono inondate; a Firenze la piena dell’Arno arrivò la mattina del 4 novembre, le acque del Fiume Arno superarono gli argini e invasero i quartieri storici. Il livello dell’acqua raggiunse in alcuni punti 5 metri di altezza e invasero, trascinando via tutto quello che incontravano nel loro percorso. Solo nella città di Firenze i morti furono 17.
Le alluvioni d’autunno ebbero un epilogo aggravato dal coinvolgimento e dalla distruzione, nella città d’arte di Firenze, del prezioso patrimonio artistico e culturale. L’acqua e il fango, cariche di sostanze oleose, raggiunsero gli Uffizi, la Biblioteca Nazionale, Santa Croce, il battistero di San Giovanni, i musei Archeologico e del Bargello, la Biblioteca Nazionale. Il coinvolgimento disastroso del patrimonio artistico fece scattare una mobilitazione generale (Fonte: Irpi Cnr). Furono molti gli appelli per salvare Firenze ai quali risposero tanti volontari giovani e meno giovani che furono identificati come gli «Angeli del Fango».
A 50 anni dall’evento un gruppo di Associazioni ha creato l’iniziativa «2016Progetto Firenze» che raggruppa progetti a carattere scientifico, culturale e di comunicazione per la realizzazione di azioni di recupero della memoria. Recupero della memoria utile a contenere i danni degli eventi calamitosi attraverso un’efficace azione di prevenzione dei danni alle persone, ai beni culturali e ambientali e alle infrastrutture. Il progetto prevede anche la «Carta di Firenze» che vorrebbe raccogliere le esperienze condivise di Istituzioni, Associazioni e Comunità scientifica, impegnate nell’attuare strategie di comunicazione, strumenti di prevenzione e attività di recupero dei territori colpiti dal dissesto idrogeologico. L’attività punta all’organizzazione di appuntamenti periodici e al rafforzamento di una comunità internazionale di soggetti capaci di diffondere la consapevolezza della pericolosità e la cultura della responsabilità collettiva e della cittadinanza attiva.
Le alluvioni del 1966 seguirono quelle del Polesine del 1951, dove le aree interessate erano principalmente rurali, caratterizzate da case sparse e da una scarsa urbanizzazione e infrastrutturazione. Il ricordo dell’alluvione del 1951 e le grandi opere di difesa lasciarono la sensazione nella collettività che le grandi città, difese dagli imponenti argini, non potessero mai essere «offese» dalle acque.
La cultura delle infrastrutture prevalentemente ingegneristico e imprenditoriale di allora, attuale in molte dichiarazioni dei decisori in tema di difesa del suolo, aveva creato una sensazione di sicurezza nella popolazione. Sensazione apparente che, allora come ora, fu «schiacciata» dall’evento successivo. Sensazione di sicurezza che in pochi momenti si trasforma in sensazione di abbandono e disperazione della popolazione. Quando l’evento si verifica, ora come allora, s’invoca l’eccezionalità e la straordinarietà delle precipitazioni, peccato che il susseguirsi dei fenomeni di dissesto idrogeologico fa perdere la stessa definizione di straordinarietà. Allora bisogna operare per uno sviluppo, che se lo dobbiamo definire tale non può che essere sostenibile, che tenga conto delle caratteristiche del territorio, della conoscenza delle dinamiche naturali del territorio alle quali le attività antropiche si devono adeguare garantendo un’integrazione tra territorio e sviluppo.
Il «2016Progetto Firenze» con l’intento di partire dalle alluvioni del passato per affrontare le possibili alluvioni di domani, con l’organizzazione di azioni di sensibilizzazione e prevenzioni ispirate al rispetto dell’acqua, sia in termini di risorsa sia di pericolosità, dovrebbe diventare un progetto nazionale.
La crisi dei sistemi ambientali che stiamo registrando con i segnali dei cambiamenti climatici, il depauperamento delle risorse del pianeta richiede la più ampia collaborazione del mondo della ricerca scientifica, accademia alla quale la politica della difesa del suolo e delle popolazioni si deve rivolgere dando seguito agli studi e alle ricerche. Alle azioni di previsione e prevenzione si devono aggiungere campagne di sensibilizzazione della popolazione per comportamenti di autoprotezione dei cittadini; autoprotezione che deve essere attuata dove inevitabilmente gli eventi hanno superato il «fragili argine» tra evoluzione naturale del territorio e attività antropiche.