Nella Puglia meridionale la sismicità risentita fa paura

784
Tempo di lettura: 3 minuti

Nicola Venisti: «Con la riclassificazione sismica del 2003, in seguito all’Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri numero 3274 dello stesso anno, non esistono più in Italia comuni classificati non sismici e va rilevato come le prescrizioni in campo edilizio previste per la Zona 4 (quella in cui è minimo il livello di pericolosità) in cui ricade il Salento sono comunque significative»

evento greco 15 10 2016

L’evento sismico verificatosi sabato 15 ottobre (ora locale 22,14) con magnitudo 5,2, che ha interessato i territori al confine tra la Grecia e l’Albania con epicentro nei pressi della città di Ioannina in Grecia, è stato avvertito dalla popolazione della Puglia meridionale rievocando paure storiche. La scossa principale è stata seguita da uno sciame sismico, ancora in corso, caratterizzato da una decina di scosse di magnitudo maggiore di quattro. La scossa principale e alcune delle repliche sono state registrate dalla rete sismica dell’Osservatorio Sismologico dell’Università degli Studi di Bari che, con le stazioni sismiche di Taranto, Ceglie Messapica e Massafra, negli ultimi anni ha infittito la rete di monitoraggio sismico regionale.
Il terremoto di sabato sera avvertito in molti comuni del Salento, documentato in diretta dalle tante testimonianze condivise sul social network, riporta all’attenzione il rischio della sismicità risentita in un’area della Puglia meridionale da molti e per molto tempo ritenuta estranea al rischio sismico.
L’analisi degli eventi storici ci porta al 20 febbraio 1743 quando, nel tardo pomeriggio, un forte terremoto con epicentro nel Canale d’Otranto fece scuotere tutta la «regione adriatica» fino all’isola di Malta. In Italia, il maggior numero di vittime e ingenti danni al patrimonio edilizio si ebbero a Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi, e a Nardò, in provincia di Lecce. A tal proposito si segnala l’iniziativa in programma per sabato 22 ottobre, organizzata a Nardò nell’ambito delle attività della Settimana del Pianeta Terra, dal titolo: Nardò 1743. I luoghi del terremoto.
Per ridurre gli effetti del terremoto in Italia si è classificato il territorio in base all’intensità e frequenza dei terremoti del passato ed emanando speciali norme per le costruzioni nelle zone classificate sismiche. L’obiettivo rimane quello di far sì che un edificio, in caso di terremoto, debba sopportare senza gravi danni i terremoti meno forti e senza crollare i terremoti più forti, salvaguardando prima di tutto le vite umane.
Abbiamo chiesto a Nicola Venisti dell’Osservatorio Sismologico dell’Università degli Studi di Bari lo stato delle conoscenze sulla pericolosità sismica della Puglia meridionale.
«Se da un lato, per quelle che sono le conoscenze attuali, nella Puglia meridionale non ci sono evidenze di strutture sismogenetiche, va evidenziato che storicamente in diverse occasioni diversi comuni sono stati interessati da importanti danneggiamenti in seguito a sismi; il più significativo è il “terremoto di Nardò” del 1743. La ragione di ciò si trova allargando la visione e inserendo la Puglia nella complessità della geodinamica del Mediterraneo. Il Salento, infatti, è esposto al rischio sismico perché nel raggio di 100-150 chilometri si trovano strutture sismogenetiche greche, albanesi e ioniche che potenzialmente potrebbero generare sismi con risentimenti anche in Puglia meridionale.
«Con la riclassificazione sismica del 2003, in seguito all’Ordinanza del presidente del Consiglio dei ministri numero 3274 dello stesso anno, non esistono più in Italia comuni classificati non sismici e va rilevato come le prescrizioni in campo edilizio previste per la Zona 4 (quella in cui è minimo il livello di pericolosità) in cui ricade il Salento sono comunque significative. Ritornando alla situazione salentina, va detto che con un decreto della Giunta Regionale di fine 2009, ferma restando la classificazione dei comuni in Zona 4, s’imposero per questi le medesime prescrizioni in campo edilizio della Zona 3».
Oggi il quadro normativo è cambiato e la classificazione sismica rimane utile, si fa per dire, solo per la gestione della pianificazione e per il controllo del territorio da parte degli enti preposti. Infatti, con l’entrata in vigore delle «Norme Tecniche per le Costruzioni» (Decreto Ministeriale del 14 gennaio 2008) per ogni costruzione è indicata una accelerazione di riferimento «propria» individuata sulla base delle coordinate geografiche dell’area di progetto e in funzione della vita nominale.
Con il modello introdotto dalle «Norme Tecniche per le Costruzioni», si perde la possibilità di valutare nel dettaglio gli effetti di amplificazione sismica che un sito può restituire all’edificio. Con il modello introdotto, la storia degli eventi sismici passati e il complesso d’informazioni geologiche su cui si deve basare la progettazione antisismica passa in un piano quasi trasparente, un piano che va bene a molti fino agli effetti del successivo terremoto disastroso, sismogenetico o risentito che sia.