I parchi oggi e le politiche di conservazione e tutela del patrimonio naturale e culturale alla luce del nuovo disegno di legge di modifica della 394/91 approvata dalla Commissione ambiente del Senato. Il rischio è la mercificazione dei valori, anche quelli non negoziabili
> Perché la nostra inchiesta sui Parchi > Denuncia. Così li stanno distruggendo > La revisione della legge fa mobilitare le Associazioni > Parchi, più odio che amore > Quattro «mosse» per migliorare la gestione dei Parchi > Per troppo tempo il bosco è stato umiliato e offeso… > La Commissione ambiente approva la riforma della legge parchi
Continua con crescente interesse la nostra indagine sui Parchi e la legge di revisione della 394. Siamo gli unici che stiamo seguendo sistematicamente il percorso di questa revisione di un sistema naturale posto a salvaguardia della biodiversità che è fondamento unico della ricchezza della vita di cui l’uomo usufruisce a piene mani. Non comprendere l’importanza strategica di questa ricchezza, ci fa tutti più poveri e ci espone a rischi non prevedibili. Pubblichiamo quindi volentieri l’intervento di Annibale Formica, ingegnere, 74 anni, di San Paolo Albanese (PZ), è stato, per 13 anni, direttore del Parco nazionale del Pollino. Ha elaborato nel 1997 i Criteri per la redazione degli strumenti di pianificazione, programmazione e gestione di un parco. Negli anni 1978-1983, insieme al prof. Valerio Giacomini, al prof. Guido Ferrara e ad altri illustri studiosi ed esperti, ha fatto parte del Gruppo interdisciplinare di studio che, su incarico della Regione Basilicata, ha redatto il «Progetto Pollino» per la creazione del parco naturale del Pollino. In qualità di esperto, designato dalla Regione Basilicata, è stato componente, nel periodo 1989–1990, della Commissione paritetica, presso il ministero dell’Ambiente, per la perimetrazione e le norme di salvaguardia provvisorie del costituendo Parco Nazionale.
È di questi giorni l’approvazione, da parte della Commissione ambiente del Senato, della riforma della legge 394/91 sulle aree protette. La Federparchi ha subito espresso con soddisfazione il proprio apprezzamento per il lavoro fin qui svolto, riservandosi di «valutarne completamente la portata una volta concluso l’iter». A me pare, invece, una riforma che peggiora nei contenuti e nei modi tutto l’impianto normativo esistente. Alcune, tra le preoccupanti modifiche introdotte, che mi inducono a considerare negativamente il processo legislativo in atto, sono il silenzio assenso per il nulla osta rilasciato dagli Enti Parco, le «royalty» per le opere ad elevato impatto ambientale e l’obbligo, da parte delle Regioni, dell’intesa con i Comuni nell’approvazione del Piano per il Parco, il principale strumento di gestione dell’area naturale protetta. Le modifiche ipotizzate, secondo me, minano alla base le finalità e il ruolo del Parco, senza alcun miglioramento delle condizioni di gestione degli enti e senza alcun superamento delle loro difficoltà di funzionamento, che pure suggerivano un aggiornamento e un adeguamento nella normativa vigente.
Intervenendo con un mio contributo, «A cinque anni dalla istituzione del Parco, esperienze e prospettive», ad un incontro pubblico a Lamezia Terme, il 26 aprile 1999, e facendo il punto sulle mie prime esperienze di direttore del Parco nazionale del Pollino, ho parlato con convinto entusiasmo del primo ambizioso compito, che il Parco stesso si accingeva a svolgere, di laboratorio avanzato di sperimentazione della pianificazione «globale» ed «integrata» delle risorse di un territorio di eccezionale valore sotto il profilo ecologico, ma di «perenne frontiera economico-sociale», al tempo stesso. Riguardava, infatti, il processo di pianificazione, di programmazione e di gestione del Parco, avviato nel 1997, con il procedimento di gara per l’affidamento della redazione contestuale degli strumenti del Piano per il Parco (PpP), del Regolamento del Parco (Rp), del Piano pluriennale economico sociale (Ppes) per lo sviluppo di attività compatibili (ai sensi rispettivamente degli artt.12, 11 e 14 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 6 dicembre 1991) e del Sistema informativo territoriale (Sit) del Parco.
Doveva essere un processo unico di pianificazione integrata che fondeva, in modo dinamico: la pianificazione, come progettazione dell’assetto ottimale, la programmazione, come complesso di scelte possibili, in un determinato periodo, all’interno delle diverse opportunità evidenziate dalla pianificazione, e la gestione, come attuazione concreta delle scelte fatte con la programmazione, attraverso norme, regolamenti, convenzioni, contratti, progetti esecutivi, interventi [1]. Questo processo, che ha avuto una storia lunghissima e complicata, è stato portato parzialmente a conclusione dal personale interno dell’Ente Parco solo negli anni 2009-2011 ed ancora non è stato approvato.
In quegli anni, pesava molto il luogo comune dei cosiddetti «vincoli», utilizzato dall’opinione pubblica e da diverse istituzioni locali come alibi per ogni genere di congettura in danno di un ente di gestione al suo esordio; veniva utilizzato come «complesso di colpa», dal quale far discendere, per espiazione, l’applicazione del principio del «risarcimento», della «compensazione». E nel «risarcimento» si faceva entrare tutto, compreso quello che col Parco non aveva niente a che fare. Al Parco veniva chiesto, sempre più insistentemente, di assumere e di svolgere ruoli di supplenza di altri Enti in svariati settori di attività, proprio nel momento in cui era indispensabile far emergere in maniera netta, invece, il suo ruolo di «ente dedicato» alla conservazione e alla tutela. Per fabbisogni arretrati insoddisfatti, le cose da fare, insomma, erano moltissime e tutte da fare contemporaneamente, subito e bene.
La legge n. 394 del 6 dicembre 1991, rispetto alla forte e maturata esigenza di una normativa quadro in materia di aree protette, in effetti era arrivata con almeno trent’anni di ritardo. I territori, come il Pollino, storicamente antropizzati, ma ad alto grado di abbandono e di declino, avevano annosi problemi socio-economici, difficili da risolvere, e rilevanti risorse naturalistico-ambientali e scientifico-culturali, da proteggere. Il ritardo aveva creato un lungo, pesante e contraddittorio accumularsi di attese e di aspettative nelle politiche sia di conservazione, tutela, valorizzazione e fruizione sia di promozione economica e sociale e di miglioramento della qualità della vita delle popolazioni. Nelle singole realtà locali, ad elevato valore naturalistico e scientifico, tale ritardo aveva contribuito ad alimentare dispute, contrasti e immobilismi, con il risultato di ulteriori rinvii e ritardi.
Contemporaneamente erano cresciute le ostilità e le resistenze, che certamente non avevano giovato alla nascita e alla affermazione delle aree protette, sia come territori sia come istituzioni, anzi avevano costituito insormontabili ostacoli alla corretta e completa applicazione delle norme di gestione della tutela. Già all’atto della sua approvazione, la legge aveva dovuto, di fatto, interiorizzare molte delle contraddizioni in essere delle aree in ritardo di sviluppo, soprattutto del Mezzogiorno, diventando così applicabile con difficoltà e, a distanza di 25 anni, bisognosa di riordino e di adeguamenti.
Tra i problemi, che ancora trovano difficoltà di comprensione e di soluzione, essenziale e decisivo resta quello della gestione, dei suoi strumenti, delle sue modalità. E, proprio ai fini della possibilità di individuare soluzioni di riordino e di adeguamenti, è basilare, tenere distinta la funzione della conservazione e della tutela, che può generare vincoli, anziché valori, se mal interpretata, dalla funzione della gestione della conservazione e della tutela, che può generare, invece, attività, se il Parco è un mezzo, anziché un fine.
Nell’applicazione della 394, si è proceduto, invece, anziché ad una semplificazione, ad un appesantimento burocratico delle politiche dei Parchi; anziché alla creazione di condizioni di efficienza e di efficacia delle loro gestioni, al loro svilimento o appesantimento. Di difficile attuazione è stata la pianificazione; altrettanto difficile e quasi mai praticata è stata la distinzione del ruolo di indirizzo e di controllo dal ruolo di gestione.
Pur tra le manchevolezze e le difficoltà evidenziate, la nascita dei parchi, tuttavia, ha costituito un valore aggiunto per il territorio, per le sue risorse, per le attività umane tradizionali in esso svolte; ha favorito, inoltre, l’inserimento dell’area protetta in una rete nazionale ed europea di interessi scientifici, ecologici, economici, promozionali. I parchi sono diventati, anno dopo anno, degli innegabili strumenti di aggregazione territoriale, di identificazione economica, sociale e culturale, di qualificazione e di valorizzazione delle radici e delle identità locali, di potenti veicoli di innovazione e di propulsione di attività non solo di conservazione, di tutela e di valorizzazione del patrimonio territoriale e paesaggistico, ma anche di costruzione di ricchezza durevole per le comunità locali.
Il rischio, oggi, è la mercificazione dei valori, anche quelli non negoziabili. E le modifiche, che il disegno di legge introduce, rendono tale rischio molto prossimo, proprio ora che le comunità locali hanno cominciato a far fruttare, con consapevolezza e responsabilità, la cura della natura, della montagna, dei boschi, delle campagne, degli insediamenti umani, delle emergenze naturali e culturali, delle biodiversità, dei paesaggi, del grande territorio protetto; proprio ora che la affermazione dell’indole ecologista può, con successo, far valere il Parco come bene comune, come terreno di avanzamento civile e come officina di progresso.
Organizzato dal Parco Nazionale del Pollino, si è tenuto a Matera, il 7 settembre 2013, a conclusione dei lusinghieri successi ottenuti con gli eventi di «NaturArte – La Scoperta dei Parchi di Basilicata», un incontro, sul tema: «Il patrimonio naturale e culturale, i servizi ecosistemici e il valore economico dei parchi». Ho avuto la responsabilità, nell’occasione, di elaborare, per conto dei Presidenti delle aree naturali protette della Basilicata, della Calabria e della Puglia, un documento, la «Carta di Matera», che esprimeva la necessità e l’urgenza del rilancio dei parchi nel loro ruolo di protezione, tutela e valorizzazione del patrimonio naturale e culturale e dei beni e dei servizi ecosistemici e di promozione socio-economica dei territori e delle popolazioni.
Sottoscritta dai rappresentanti istituzionali delle aree protette di un vastissimo ambito territoriale dell’Appennino Meridionale, la «Carta di Matera» ha costituito una significativa unità di intenti e di condivisione e la consapevolezza che la natura e i servizi ecosistemici sono valori irrinunciabili per la vita umana e che i parchi, enti «dedicati» alla salvaguardia dei territori «sottoposti ad uno speciale regime di tutela e di gestione», svolgono una preziosa funzione di certificazione e di garanzia della qualità dell’aria, dell’acqua, del suolo, della biodiversità, del cibo.
Le modifiche dell’impianto normativo, oggi, non possono vanificare le sofferte conquiste raggiunte.
[1] A. Formica, «Gli strumenti di pianificazione e gestione del Parco Nazionale del Pollino», in «Il governo delle aree naturali protette. Esperienze a confronto», AA.VV. (a cura di), Edizioni Scientifiche Italiane; Napoli, 2003.