50 anni fa, Firenze nel fango

1052
alluvione-firenze
Una vecchia foto dell'alluvione di Firenze
Tempo di lettura: 3 minuti

Le conseguenze degli errori del passato ripropongo ogni giorno nuove emergenze: la messa in sicurezza del territorio è una priorità ma servono urgentemente investimenti e politiche rigorose. La Sigea ha organizzato, a Firenze il 26 novembre, un convegno sulla dinamica fluviale in ambito urbano

Oggi 4 novembre ricade un anniversario molto triste.
50 anni fa, nelle prime ore del mattino e a seguito di un’eccezionale ondata di maltempo, si abbatté sulla città di Firenze un’alluvione di enormi dimensioni, uno dei più gravi eventi alluvionali accaduti in Italia che causò forti danni non solo a Firenze ma anche in gran parte della Toscana e, più in generale, in tutto il Paese.
Un evento che non colpì solo il centro storico di Firenze ma l’intero bacino idrografico dell’Arno, sia a monte sia a valle della città e che nel complesso causò la morte di 35 persone.
E il Wwf in occasione dei 50 anni dall’alluvione di Firenze fa il punto sulla situazione del dissesto idrogeologico nel Belpaese presentando un dossier «1966 –2016. 50 anni dalle alluvioni di Firenze e delle tre Venezie. È ora di cambiare, si può, si deve».
Un Paese, la nostra Italia, che nonostante sia ad alto rischio sismico ed idrogeologico consuma suolo alla media di 35 ettari al giorno. Mentre, con sempre maggiore frequenza, siamo costretti a contare danni e morti per terremoti, frane e alluvioni ancora manca una seria pianificazione per la cura e la prevenzione del rischio legato al territorio che si scopre ogni giorno più fragile.
Da quando a Firenze, dove la mattina del 4 novembre 1966, dopo 24 ore di piogge battenti su un territorio già saturo d’acqua, l’Arno esondò drammaticamente e tutta la Toscana insieme al Veneto e il Friuli Venezia Giulia furono interessate dalle esondazioni, con Piave, Adige, Brenta, Livenza e Tagliamento, purtroppo, la vulnerabilità del territorio nazionale è ulteriormente aumentata e questo è testimoniato dal fatto che il consumo di suolo ha portato ad occupare molte delle aree di esondazione dei fiumi, compromettendone la capacità naturale di mitigazione del rischio idrogeologico.
L’Italia sconta anche il ritardo nell’applicazione delle importanti direttive europee «Acque» (2000/60/CE) e «Alluvioni» (2007/60/CE), la confusione istituzionale con la presenza di troppi soggetti nazionali e non che si occupano a più livelli di difesa del suolo senza una chiara regia a livello di bacino idrografico.
Mancano le risorse per prevenzione e pianificazione, mentre si spendono tanti soldi per far fronte alle continue emergenze.
Donatella Bianchi, Presidente del Wwf Italia, dichiara: «Le conseguenze degli errori del passato ripropongo ogni giorno nuove emergenze: la messa in sicurezza del territorio è una priorità ma servono urgentemente investimenti e politiche rigorose. È necessaria una forte integrazione tra la Struttura di Missione “Italia Sicura”, nata per affrontare l’emergenza idrogeologica, e la Struttura di Missione “Piano Casa Italia”, che si occuperà della prevenzione in campo sismico e alluvionale (che fanno entrambe capo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri) e tra queste e il gruppo di lavoro promosso dal ministero dell’Ambiente, che sta definendo il Piano Nazionale per l’Adattamento ai Cambiamenti Climatici sia per condividere i dati e le informazioni che porteranno a individuare le aree più vulnerabili, sia per individuare le priorità di intervento».
In occasione dei cinquant’anni dall’alluvione di Firenze anche la Società italiana di geologia ambientale (Sigea) si mobilita organizzando, a Firenze il 26 novembre 2016, un convegno sulla dinamica fluviale in ambito urbano. L’iniziativa, aperta a tutti e a partecipazione gratuita, vuole essere non solo commemorativa ma anche riflessiva sulla situazione presente e futura in Italia e propositiva.
Lanciata sempre in argomento la campagna che vuole raccogliere un milione di firme per un’iniziativa di legge popolare europea contro il consumo di suolo legato alla crescita disordinata di edifici, cave, infrastrutture, ecc.
In definitiva, è importante raccogliere la sfida dell’Accordo di Parigi e promuovere un piano di adattamento ai cambiamenti climatici che tuteli la salvaguardia del nostro pianeta perché invertire la rotta è possibile ma non c’è più tempo per ulteriori improvvisazioni.