Gli strumenti per prevenire sismicità indotta e subsidenza

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«Il punto importante, ora, non è il se queste situazioni esistano ma il come gestirle con lo scopo di permettere che le attività di approvvigionamento di risorse dal sottosuolo possano essere svolte in sicurezza». Il fracking e la geotermia stimolata in Italia non sono consentite. La reiniezione delle acque reflue in profondità al di fuori del volume del giacimento è stata attuata presso il pozzo Costa Molina 2 in Val d’Agri

Il rapporto fra subsidenza indotta dalle attività dell’uomo nell’area di Venezia e di Ravenna sono ben documentati. All’estero vi sono casi che legano le attività estrattive con l’incremento di terremoti anche in aree che prima non erano sismiche. E nei giorni cruciali del terremoto in Italia centrale sono state lanciate sui Social una serie di documenti e accuse che hanno un po’ disorientato tutti.
Alcuni esempi. A Groningen, in Olanda, la Shell e la ExxonMobil dovranno pagare almeno 5 miliardi di euro per svalutazione del mercato immobiliare e ci vorranno 30 anni e 30 miliardi di euro per tornare alla normalità.
Nel Texas, secondo un recente articolo di Cliff Frohlich, direttore dell’Istituto di Geofisica presso l’Università del Texas, Austin, l’uomo ha causato sismicità dal 1925, e tutti i terremoti sono stati su larga scala, da allora ad oggi. A Basilea c’è stato un terremoto indotto nel 2006 perché Mr Haering voleva cavare energia geotermica ma dopo il terremoto il governo fermò tutto e processò Mr Haering che però fu assolto perché fu riconosciuto che non aveva fatto tremare la terra «intenzionalmente». Casi di sismicità indotta dalle azioni dell’uomo sono segnalati anche in California. E terremoti da fracking in zone non sismiche sono stati accertati anche in Canada dalla Oil and Gas Commissione della British Columbia.
Probabilmente questo elenco potrebbe essere anche più lungo ma basta per porsi alcune domande, visto che l’Italia non smette di tremare e che il governo mentre da una parte firma l’accordo di Parigi, che punta alla strada della decarbonizzazione che è percorsa da altri Stati europei, dall’altra autorizza ulteriori estrazioni di petrolio con relativi sondaggi.
Non solo ma in un’Italia così mal messa il progetto di Cartografia Geologica, avviato nel 1988, copre appena il 50% del territorio e, delle 28 sedi dove si registrava la presenza dei Dipartimenti universitari di Scienze della Terra sono rimasti attivi solo 8…
Poiché sui Social si continua a parlare di tutto fino a scomodare il castigo divino e a vedere oscure operazioni di intelligence e armi segrete e via via tutta una serie di pericoli con previsioni e ipotesi anche strampalate abbiamo pensato di rivolgere alcune domande al dott. Enrico Priolo dell’Ogs (Istituto nazionale di Oceanografia e di Geofisica sperimentale), Sezione Crs (Centro di ricerche sismologiche) di Trieste e Udine. Ecco quello che ci ha detto.

Alcune doverose premesse

Non vi è alcun dubbio che la sismicità indotta esista, si siano avuti numerosi casi che hanno provocato danni, che questi casi siano stati mal gestiti e che in molti casi la popolazione locale non sia stata adeguatamente tutelata. Ma il punto importante, ora, non è il se queste situazioni esistano ma il come gestirle con lo scopo di permettere che le attività di approvvigionamento di risorse dal sottosuolo possano essere svolte in sicurezza.
Non ritengo che il fatto che eventi indotti si verifichino sin dall’inizio del 900 sia importante per questa discussione, piuttosto è importante da quanto questo fenomeno è noto e viene discusso. I lavori maggiormente di rilevo in cui l’argomento viene presentato e inquadrato, e vengono riportati casi rilevanti, si collocano a cavallo tra fine anni 80 inizio anni 90 (es.: Seagall, 1989; Grasso and Wittlinger, 1990, McGarr, 1991). Davis e Frohlich (1993) affrontano per primi il problema di come valutare la possibilità di occorrenza della sismicità indotta e della sua discriminazione, introducendo un approccio qualitativo.
In sostanza, sono questi gli anni in cui la sismicità indotta diventa un tema esplicitamente riconosciuto e trattato a livello internazionale. Probabilmente il motivo per cui in certi paesi questo argomento sia stato affrontato prima di altri è che alcuni paesi hanno avuto dei giacimenti molto grandi o delle attività molto intense. Ricordo in proposito, che la grande quantità di lavori sfornati da ricercatori americani è dovuta all’aumento evidente della sismicità in aree che prima ne avevano poca, dovuta all’enorme volume di attività svolta negli Usa per l’estrazione del shale-gas (e precedentemente mineraria, non dimentichiamolo), a seguito del quale sono immesse in profondità enormi quantità di fluidi reflui.
Sulle considerazioni «…tutti i terremoti sono stati su larga scala…» attribuite a Frohlich (ricercatore di indiscussi esperienza e valore) vorrei vedere l’articolo su cui sono state riportate, di cui non ho referenza. Non credo che la frase significhi terremoti grandi o che hanno coinvolto grandi aree provocando danni diffusi, ma piuttosto che la sismicità causata dalle attività umane (antropogenica) sia stata chiaramente rilevata negli Usa anche su base statistica a partire dagli anni 2000 come incremento del numero dei terremoti rispetto a un trend che in precedenza era costante (Ellsworth, 2013, Science).
Accanto alle osservazioni/analisi dei ricercatori spesso riportate, bisognerebbe però anche riportare le considerazioni che gli stessi fanno, a valle, sulle strategie di possibili riduzione dei rischi. Per esempio, nell’ultimo paragrafo del medesimo articolo Ellsworth, suggerisce che si dovrebbero implementare: il controllo di una serie di parametri che dovrebbero essere monitorati; procedure decisionali (basate sul modello a «semaforo») a valle dei monitoraggi; nonché metodologie interpretative più sofisticate che oggi sono possibili (es. basate sulle modellazioni delle pressioni e dello stress in profondità). Elssworth termina con questa frase: «…Industry, regulatory agencies, and the public are all aware that earthquakes can be induced by fluid injection. Industry needs clear requirements under which to operate, regulators must have a firm scientific foundation for those requirements, and the public needs assurance that the regulations are adequate and are being observed». La questione non è quindi non fare nulla, ma adottare strategie opportune per fare le cose bene e in modo sicuro. Si noti bene che gli argomenti avanzati da Ellsworth, come strategia per il futuro, presentano forti elementi di analogia con le conclusioni della Commissione ICHESE.
Se invece la questione viene spostata su un fronte tipicamente politico, come priorità delle risorse rinnovabili rispetto a quelle fossili, incremento/riduzione della CO2, etc., allora il contesto è completamente diverso e fuoriesce dagli argomenti trattati in questa discussione. In un contesto del genere, però, non si faccia finta che gli interventi ritenuti «puliti» non abbiano impatto sull’ambiente o siano meglio accettati dalle popolazioni locali. Per citare due casi: 1) il fotovoltaico è appena agli inizi: si sono valutati la necessità di energia per produrli, l’impatto dell’approvvigionamento delle materie prime e della lavorazione, l’impatto sul territorio delle installazioni? 2) Eolico: in centro-sud-Italia c’è una forte opposizione a tutte le installazioni di nuovi impianti eolici.
Tra le risorse rinnovabili va anche annoverata la risorsa idroelettrica, che per l’Italia è molto importante. Va allora ricordato che i bacini idrici sono la causa di maggiore sismicità «indotta» al mondo e hanno causato i maggiori terremoti (es. diga di Koyna in India ma ipotesi anche sul recente terremoto del Sichuan). Tuttavia in questi casi i fattori importanti ai fini della generazione di sismicità sono è il volume dell’invaso e la sua profondità. In Italia, gli invasi non sono di grandi dimensioni, e quindi hanno generato sismicità di basso livello (es. Lago del Pertusillo in Basilicata).
Infine, i casi citati sono importanti, ma meritano ognuno degli approfondimenti specifici, data la peculiarità dei casi. Groeningen, ad esempio, ha delle implicazioni economiche talmente forti (fino a pochi anni fa le rendite provenienti da Groningen contribuivano al bilancio nazionale olandese con una quota superiore al 10%) che non possono essere ridotte al solo discorso della sismicità indotta e merita una trattazione a parte.

L’intervista

Esiste una correlazione fra estrazioni petrolifere e subsidenza, se ne parla apertamente anche sul sito di Ispra, perché non si fermano le ricerche?
Inizio, dicendo che io sono un sismologo e non sono esperto di subsidenza. Comunque, sì, esiste la possibilità che lo sfruttamento delle risorse del sottosuolo, non solo quello legato all’oil & gas, provochi subsidenza, soprattutto se oltre alla risorsa energetica vengono sottratti al sottosuolo ingenti quantitativi di acqua. La subsidenza provoca dei problemi solo quando il fenomeno supera certi valori, da valutare specificatamente per ogni area. Se opportunamente monitorata e con opportuni accorgimenti, la subsidenza può essere limitata ed eventuali problemi creati possono essere riconosciuti. Ad esempio l’incamiciamento dei pozzi e la sigillatura dei livelli produttivi riducono la subsidenza in superficie (es. sfruttamento di acqua calda termale in Veneto). Andrebbero previste delle strategie di monitoraggio e di verifica da parte degli organi di controllo o delle amministrazioni competenti, con opportune azioni di risarcimento nel caso si riscontrino danni dovuti a queste cause. La sismicità potenzialmente collegabile alla subsidenza è quella relativa allo sfruttamento intensivo dei depositi (in genere grandi): lo svuotamento della risorsa senza una sua sostituzione può far collassare la struttura rocciosa sovrastante e in conseguenza generare terremoti. Episodi ben noti in letteratura sono quelli del deposito di gas di Lacq (Francia), Groeningen (Olanda) e Gazli (Uzbekistan, ex-Urss). Al momento non ho evidenza di eventi sismici collegati alla subsidenza per sfruttamento intensivo di depositi in Italia. Quello che è stato accertato da studi recenti, invece, è che un terremoto ritenuto generato dalle attività di estrazione di gas in Pianura Padana (Caviaga, 15-16/5/1951) era stato di origine naturale (Caciagli et al, Seis. Res. Lett., 2015) e quindi va depennato dalla lista nera.

Cosa sono i terremoti indotti?
I terremoti sono rotture che avvengono nella crosta terrestre quando la roccia che la costituisce è sottoposta a uno sforzo (o stress) superiore alla sua resistenza. I terremoti naturali avvengono a opera dello stress tettonico, in genere lungo faglie pre-esistenti, che sono elementi di debolezza rispetto alla roccia integra circostante. I terremoti indotti, in senso generico, sono quelli causati da altri fattori. Non è solo l’uomo che li causa, ma ad esempio anche precipitazioni meteoriche generano aumento della sismicità (es. Baviera o Svizzera). Sicuramente però quando si parla di sismicità indotta oggi ci si riferisce a quella generata dall’uomo. Sotto il termine generico «indotto» conviene distinguere due fenomenologie diverse:
1) Sismicità indotta (inglese induced seismicity) è quella prodotta da variazioni del campo di stress o di energia immessa nel sistema generata in gran parte dalle attività antropiche. Qui ricade ad esempio il cosiddetto fracking (idro-fratturazione stimolata).
2) Sismicità innescata o attivata (triggered seismicity). In questo caso le attività antropiche sono responsabili solo di una minima frazione delle variazioni del campo di stress che genera la sismicità, mentre il ruolo principale è svolto dal campo di stress pre-esistente dovuto alla tettonica. Qui ricade ad esempio la sismicità generata dallo sversamento in profondità di fluidi reflui; la circolazione di questi fluidi in profondità, ovvero la diffusione del campo di pressione di poro, può penetrare all’interno di faglie esistenti riducendo la forza di attrito sul piano di faglia, e innescare un terremoto che era sul punto di avvenire.
3) Sismicità Stimolata (Stimulated Seismicity). È una definizione generica che include sia la sismicità indotta sia innescata, e si riferisce a particolari condizioni in cui si fa iniezione di fluidi in rocce anidre ad elevata temperatura. Si tratta tipicamente della geotermia stimolata (enhanced geothermal systems – EGS). Un esempio è il terremoto di Basilea del 2006.
Un punto importante è che, dato che l’uomo può immettere nel sistema quantità di energia limitate rispetto a quelle messe in gioco dalla tettonica, le attività antropiche non sono in grado di indurre (in senso stretto) grandi e disastrosi eventi sismici ma possono invece innescarli.
In generale, non sempre le attività «facilitano» i terremoti (sebbene spesso sia così) perché la variazione di sforzo prodotta sulla faglia dipende dalla posizione dell’attività rispetto alla faglia e dall’orientazione stessa della faglia. Qui il discorso è più lungo e complesso, caso mai lo approfondiremo in altro momento.
La circolazione dei fluidi in profondità è uno dei fenomeni più importanti nella genesi dei terremoti. I fluidi generano una variazione della pressione di poro all’interno della faglia che porta a una variazione dello sforzo normale. In altre parole, le due facce a contatto della faglia possono essere aiutate a «staccarsi» o ad «avvicinarsi» tra loro a seconda che la pressione di poro aumenti o diminuisca. Il principio di Coulomb descrive in termini generali il meccanismo di rottura delle rocce.
Vorrei ricordare o sottolineare, infine, che lo strato di crosta considerato sismogenico (cioè all’interno del quale possono originarsi terremoti) non è mai superficiale, ma sta al di sotto di circa 4-5 km di profondità. Molto difficilmente si possono determinare (e in conseguenza innescare) terremoti più superficiali a meno che non siano indotti nel senso stretto indicato prima. Ciò perché le rocce più superficiali sono più deboli e duttili, non sono in grado di accumulare stress in quantità tale da generare terremoti, almeno nel senso classico del termine.

Come mai geologi ed enti che monitorano la sismicità in Italia non ne parlano apertamente? Perché questi ritardi in Italia visto gli studi avanzati da decenni esistenti in altre parti del mondo?
Non è vero nel presente che gli enti non parlino di sismicità indotta, ma è stato sicuramente vero nel passato. Le attività umane nel sottosuolo sono state sempre monitorate in Italia da iniziative «in house» cioè adottate dalle singole compagnie che svolgevano le attività, o eventualmente le commissionavano ad altri soggetti. Lo scopo del monitoraggio era sia quello di un migliore sfruttamento della risorsa sia per controllo/sicurezza. È un fatto che le compagnie non avessero interesse a divulgare i dati registrati, principalmente per ridurre al massimo l’esposizione. Tuttavia, i monitoraggi venivano di norma effettuati, per quanto con qualità piuttosto variabile, e non si può affermare che in Italia le attività non fossero controllate. Invito, per ulteriori informazioni, a visionare alcune presentazioni che furono tenute a due workshop organizzati entrambi a Roma nel 2015, rispettivamente nell’ambito del Progetto di ricerca S2In e della Società geologica italiana (Sgi). Troverete tutti i video e per alcune i pdf presso i siti indicati. Ad esempio, al workshop di Sgi io ho fatto una presentazione di review sui monitoraggi effettuati in Italia.
A partire dagli anni 2000 alcune attività sono state monitorate da Enti pubblici, e questo proprio grazie ad una accresciuta sensibilità sull’argomento che ha trovato forma in provvedimenti legislativi. Il primo esempio è stato il monitoraggio sismico dello stoccaggio di gas di Collalto, per il quale Edison Stoccaggio ha dato incarico all’Ogs (Ist. Naz. di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale) di effettuare il monitoraggio, a seguito di prescrizione ministeriale e «indicazione» da parte dell’Amministrazione comunale locale. Detto monitoraggio è effettuato rispondendo sia alle esigenze della compagnia che gestisce lo stoccaggio sia a criteri di diffusione dei risultati e dei dati, propri di un Ente Pubblico di Ricerca (ad es. attraverso il sito web della rete). Ricordo anche che l’Ogs ha favorito numerosi incontri pubblici; uno di questi è documentato in video.
A seguito di questa esperienza diretta di monitoraggio, nonché di altre esperienze e riflessioni, l’Ogs ha posto la questione di come dovessero essere effettuati i monitoraggi e i controlli delle attività svolte nel sottosuolo in varie sedi e modalità, come ad esempio:
– linee e progetti di ricerca sviluppati nell’ambito delle convenzioni stipulate tra Dipartimento della Protezione Civile (Dpc) e l’Ist. Naz. di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) negli anni 2012-2015 (es: Progetto StoHaz – Underground Gas-Storage Hazard (Valutazione della pericolosità sismica naturale e indotta dei serbatoi naturali di stoccaggio del gas, e degli strumenti di controllo e monitoraggio); Progetto intitolato S2in – Sismicità indotta e innescata;
– proposte di «Best Practices» sia al ministero dell’Ambiente sia a quello dello Sviluppo Economico, ad esempio con un documento presentato su invito alla Commissione Nazionale Via del ministero dell’Ambiente in data 20/7/2013 e successivamente inviato al Presidente della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati (cfr. ad esempio in appendice al Rapporto Finale del progetto StoHaz, documento D7.1_Ogs_1.3.pdf).
Ricordo infine che, a seguito del terremoto dell’Emilia (per lungo tempo ipotizzato da alcuni come innescato) e delle conclusioni della Commissione ICHESE, il ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) ha costituito un Gruppo di Lavoro che ha redatto gli Indirizzi e Linee Guida per i Monitoraggi (http://unmig.mise.gov.it/unmig/agenda/upload/85_238.pdf), indirizzi che attualmente sono sperimentati su alcune attività e richieste per le nuove concessioni.
Infine, giusto a scanso di equivoci, ricordo che certe attività come il fracking e la geotermia stimolata in Italia non sono consentite. La reiniezione delle acque reflue in profondità al di fuori del volume del giacimento è stata attuata presso il pozzo Costa Molina 2 in Val d’Agri.

Anche nelle ultime aree interessate da terremoto, come quelle del terremoto in Emilia Romagna, si è verificata la nascita di un «vulcanello» che erutta creta e pare che in quel punto siano state fatte a suo tempo prove per verificare la presenza di petrolio… che altro aspettano i tecnici per parlare?
Immagino che con il termine «prove» si intendano trivellazioni, termine molto in voga oggi. Se, dunque la seconda parte della domanda serve a collegare la possibilità che le trivellazioni possano indurre terremoti, o che precedenti buchi fatti a scopo di esplorazione e ricerca possano «eruttare» materiale proveniente da depositi di idrocarburi profondi, la risposta è tassativamente no. Le trivellazioni non provocano terremoti: possono provocare incidenti, né più né meno di altre attività, ma assolutamente non terremoti. Sono eventualmente le attività che si svolgono attraverso i fori a generare terremoti. In Appennino sono sicuramente state effettuate numerose indagini (anche con trivellazioni ovviamente) nell’ambito di permessi di esplorazione e ricerca di risorse, ma a mia conoscenza non vi sono attività in essere né ora né nel recente passato, che possano indurre a ipotizzare una qualsiasi connessione con i recenti terremoti. Bisogna anche ricordare che tutti i pozzi utilizzati per esplorazione e ricerca vengono sigillati una volta conclusa l’attività specifica.
Per quanto riguarda i vulcanelli, essi sono molto probabilmente un fenomeno di «liquefazione» che avviene tipicamente a seguito di moti forti del suolo in aree dove vi sono depositi sabbiosi o limosi di tipo lacustre, fluviale o marino. In presenza di moto forte del suolo, gli strati costituiti da sabbie e/o limi se posti in condizioni non drenate accumulano al loro interno sovrapressioni (interstiziali) che riducono la coesione dei grani e in conseguenza la resistenza al taglio. Se, a seguito del moto sismico forte, si creano delle crepe superficiali nel suolo o se detta pressione supera la capacità di resistenza dei suoli superficiali sovrastanti, nei loro punti più deboli, queste sabbie/limi liquefatte si incanalano verso la superficie, dove possono fuoriuscire anche con getti piuttosto forti. In genere gli strati per i quali si manifestano effetti in superficie si trovano entro qualche decina di metri di profondità, ma non non di più, in quanto le capacità meccaniche dei suoli sovrastanti sarebbero in grado di reggere e adattarsi al carico aggiuntivo delle sovrapressioni. Il fenomeno della liquefazione è ben noto in ingegneria sismica e ritenuto molto pericoloso, in quanto la liquefazione viene accentuata dal carico di edifici sovrastanti, può provocare il cedimento del suolo e il collasso dell’edificio. Nel caso dei recenti terremoti, a quanto ne so, il principale motivo per la liquefazione è quello delle condizioni non drenate dei depositi e non della presenza di carichi in superficie.
In alternativa o in aggiunta alla liquefazione delle sabbie potrebbero essersi verificate delle sovrapressioni gassose in depositi organici relativamente superficiali, che possono essersi infiltrate attraverso i suoli fino alla superficie. Tutto ciò non ha nulla a che fare con la tenuta di depositi/giacimenti di interesse per l’industria, che sono in genere posti a svariate centinaia di metri di profondità (usualmente tra i 1.000 e 2.000 m) e sono confinati superiormente da spessi strati di rocce impermeabili. A decine di chilometri di distanza dalla zona epicentrale è difficile l’integrità di questo tipo di depositi possa essere stata intaccata.