Il Territorio (interpretato come substrato, di un mondo naturale dinamico, che presiede gli equilibri vitali) fin dalla sua prima presenza nelle consapevolezze umane (e oggi ancor più nelle diverse direzioni disciplinari specialistiche delle conoscenze, delle scienze naturali e del pensiero umano), è stato al centro di attenzioni documentate che hanno spaziato fra realtà immanenti e proiezioni nel trascendente (dalle terre fertili necessarie per sopravvivere, alla Terra promessa in dono a un popolo eletto).
L’esplorazione del mondo della materia e le riflessioni sul mondo metafisico (che spesso è stato considerato anche come fondamento dei fenomeni fisici) propongono scenari articolati e alternativi sostenuti dalle diverse prospettive dei diversi punti di osservazione che l’uomo può sperimentare. L’insieme di tutte queste diversità, potrebbe offrire, alla nostra attenzione, una migliore rappresentazione della dimensione complessa della realtà e potrebbe, quindi, incentivare anche la ricerca del senso dei fenomeni vitali, attraverso un lavoro sinergico (sperimentale e di riflessione, analisi e interpretazione operativa, sempre da ristrutturare) fra gli esseri umani. Ma non è così perché non trova quasi mai spazio, nelle intenzioni umane più diffuse, anche solo l’idea di una possibile sintonia, con gli equilibri naturali, che potrebbe garantire, con una migliore sopravvivenza di tutti i viventi della Terra, anche una migliore qualità di vita per gli esseri umani.
Il Territorio, sembra essersi radicato, in particolare nella cultura occidentale, come un bene che le debolezze umane hanno trasformato in oggetto di un possesso compulsivo. Dobbiamo, purtroppo, prendere atto che l’idea di poter esercitare un «potere», usando i ricatti e le minacce consentite da un «avere» (dal possesso, in questo caso, anche di un piccolo spazio della nostra Terra, un piccolo regno, su cui signoreggiare), è sempre più, per l’uomo, un surrogato di certezze invincibile, pur se frutto solo di mistificanti soluzioni e di infertili (se non anche distruttivi) risultati.
In fisica è nota una grandezza, l’Entropia, che sembra possa essere richiamata non solo nei processi chimico-fisico-biologici (per interpretare le variazioni di energia, nelle trasformazioni a essi connesse, e la stabilità delle sostanze e dei prodotti di una reazione), ma anche nei fenomeni sociali. C’è una spontanea tendenza, da parte di qualsiasi fenomeno a degradare e a perdere, cioè, ogni qualità dinamica del suo stato fisico (della materia e dell’energia che lo caratterizza) e ogni qualità relazionale e creativa (per quanto riguarda la società degli esseri viventi e il progresso della qualità della vita umana). In particolare, nel caso dei comportamenti umani, così come avviene nelle trasformazioni chimico-fisico-biologiche che danno tenuta agli equilibri naturali, questa tendenza a cedere energia (ad aumentare l’Entropia del suo sistema) può essere virtuosamente impiegata per strutturare quelle qualità del saper creare sinergie (con la condivisione dei valori peculiari dell’autonomia di ogni singolo individuo e con la collaborazione diffusa nel perseguimento di finalità sociali), che sono alla base delle aspirazioni umane più profonde. Dunque, nel sociale, le energie invece di essere solo perse o spese in distruttive competizioni (fino alla pratica estrema delle sottomissioni terminali), possono permettere, passando attraverso stadi riorganizzativi intermedi, di spendere le stesse energie per scoprire le diversità del nostro senso del vivere e, nello stesso tempo, di condividere e arricchire le nostre esperienze e relazioni.
I concetti, che l’idea di Territorio deve evocare, non sono, quindi, quelli di un immutabile e garantito diritto esclusivo al suo possesso e uso, ma quelli di un equilibrio, chimico-fisico-biologico e socio-culturale dinamico, in continua evoluzione che, se pur non permetterà di dare compiutezza anche solo a una sua affidabile definizione, potrà aiutare a interpretare, con migliore e più conveniente approssimazione, la complessità dei processi naturali. Una condizione necessaria che consente sia di prevedere e prevenire i fenomeni di degrado, sia di definire (in presenza di modifiche che possono incidere sugli equilibri vitali) specifiche e opportune precauzioni. L’uso del Territorio dovrebbe, cioè, rispondere non alla volontà di chi ne vanta la proprietà, ma a finalità di progresso umano che trovano nell’esplorazione della realtà, nella ricerca per la conoscenza delle dinamiche dei contesti, le condizioni per la creazione di sinergie. Un Territorio, quindi, come contesto di equilibri nel quale non solo possiamo esprimerci socialmente, con i nostri personali modi di essere, ma possiamo, prima di tutto, condividere condizioni diverse di vita, per favorire le migliori relazioni fra gli esseri umani e fra questi e il resto del mondo naturale al quale apparteniamo.
I limiti della condizione umana permettono all’uomo di interpretare i fenomeni naturali solo con approcci riduzionisti. Solo, cioè, con quei pochi parametri che sono percepiti dai suoi sensi e che, nel loro limitato insieme, possono essere tenuti sotto controllo. Oggi i sistemi, sempre più sofisticati, di elaborazione di dati sperimentali, permettono di tenere sotto controllo un numero teoricamente illimitato di parametri e, quindi, di costruire modelli più affidabili di interpretazione e previsione dei fenomeni. Ma anche così, rimane irrisolta la ricerca e l’interpretazione del senso che è frutto solo di una capacità specifica dell’uomo di andare oltre la razionalità e le apparenti contraddizioni nell’interpretazione dei dati rilevabili dai fenomeni fisici
Sotto certi aspetti si può affermare che l’uomo, non disponendo della piena e diretta conoscenza e consapevolezza sul significato ultimo dei fenomeni naturali, sperimenta la vita con un approccio di tipo empirico. Ciò non toglie, però, che vi possa essere, come qui si vuol sostenere, anche tutta un’altra realtà, di più ampio senso umano delle cose, che l’uomo può mentalmente strutturare. Una realtà che, pur se imperscrutabile, è una sentita e necessaria presenza, in quelle relazioni uomo-Natura, che non possono essere ridotte a un rapporto dettato dal solo istinto di sopravvivenza o da una pur più compiuta, ma insufficiente, elaborazione di nuovi fattori fisici da mettere in gioco.
Se è vero che la Natura non ha bisogno di rimedi umani e tantomeno ha mancanze che l’uomo può o deve colmare, i suoi Territori possono essere correttamente considerati substrati autonomi e intelligenti che non solo accolgono e partecipano al divenire di un mondo di fenomeni naturali, ma che offrono anche spazi nei quali possono essere integrate esperienze e processi vitali che l’uomo sa, poi, riconoscere e condividere nella loro diversità e valore. Nella pratica, non possiamo però illuderci che quest’ultima prospettiva possa spontaneamente realizzarsi. Gli animali, da soli o in gruppi, segnano i loro territori indicando così anche una loro intenzione di prevenire conflitti. L’uomo, invece, non si limita a segnalare i propri territori, ma può impegnarsi anche a conquistare quelli degli altri, per mettere a propria disposizione le loro risorse, e a piegarli ai propri progetti di egemonia o anche solo destinandoli a funzioni strategiche fino l’esercizio, globale e assoluto, del proprio potere. La storia dell’uomo è piena di vicende che raccontano guerre sanguinose e sottomissioni di popoli e certamente, queste, non sono manifestazioni di quella intelligenza che si vorrebbe fosse segno di una qualità e di un senso delle cose che dovrebbe distinguere, per un suo maggior valore, l’uomo da tutti gli altri esseri viventi.
I Territori, ricchi di vitalità e di risorse naturali diverse, se non sono esposti a prepotenze e a guerre, sono sempre lì, al loro posto pronti a offrire occasioni per la ricerca del senso delle cose. In realtà, sono quasi sempre usati, invece, per qualche estemporanea volontà umana di «fare le cose». I Territori sono paesaggi, fonti di risorse alimentari, scrigni di materie prime per la produzione di beni e servizi, tutte energie e materiali a disposizione di chi li abita, ma che oggi sono, invece destinati a finire, in modo eterodiretto, sui mercati liberi dei consumi e, poi, anche a occupare in gran parte, come rifiuti, altri Territori destinati al loro confinamento terminale. I Territori, dunque, in particolare quelli esposti alla volontà di qualche inventore seriale di beni «usa e getta», sono devastati sia nei momenti nei quali sono depredati delle loro risorse, sia nella successiva fase di degradazione e di confinamenti terminali dei rifiuti prodotti.
Ma il Territorio è altro e non è richiesto un particolare impegno per rendersi conto che è un corpo vitale animato dalle sinergie fra fenomeni che sono in relazione dinamica fra loro. Oggi l’individualismo e la competizione sottraggono all’uomo le opportunità di entrare a far parte delle specificità, relazionali e creative, offerte dalle sinergie nei diversi Territori. La riflessione e la pratica delle responsabilità, necessarie per entrare in sintonia con le loro dinamiche vitali, sono viste, infatti, non come opportunità di collaborazione a un progetto di progresso anche umano, ma come ostacolo a un «fare le cose che si possono fare» senza vincoli (anche, se il farle, non ha alcun senso, ma il non farle sarebbe una sconfitta, perché «c’è sempre qualcun altro che prima o poi le farà al posto tuo, sottraendoti il successo, pur equivoco, di una vittoriosa competizione»).
– La relazione uomo Territorio