Nell’area vivono anche gorgonie, alghe rosse, 73 specie di pesci, aragoste, stelle marine, rodoliti e spugne alte fino a due metri. Lo studio punta a capire quali siano i meccanismi che regolano la vita di questo ecosistema, soprattutto come funziona il processo di fotosintesi in presenza di così poca luce. In questa regione, casa di lamantini americani, tartarughe gialle, delfini e lontre di fiume, sono stati finora scavati 95 pozzi. Di questi, 27 sono stati abbandonati a causa di incidenti meccanici, il resto per scarsa convenienza economica
Un team di Greenpeace ha scattato in questi giorni le prime immagini sottomarine della barriera corallina amazzonica, un ecosistema unico la cui scoperta è stata resa nota solo pochi mesi fa e che si estende per 9mila e 500 chilometri quadrati tra la Guyana francese e lo stato brasiliano di Maranhão.
L’area (dove vivono anche gorgonie, alghe rosse, 73 specie di pesci, aragoste, stelle marine, rodoliti e spugne alte fino a due metri) è minacciata da progetti di ricerca di idrocarburi che potrebbero partire qualora il governo brasiliano dovesse concedere le autorizzazioni richieste da compagnie come Total o BP.
Gli attivisti dell’organizzazione ambientalista sono impegnati in questi giorni nell’area con la nave Esperanza, per documentare questo prezioso ecosistema marino insieme a un team di esperti oceanografi.
«Questo sistema corallino è importante per numerose ragioni, ad esempio possiede caratteristiche uniche rispetto alla disponibilità e all’uso di luce e alle caratteristiche fisico-chimiche dell’acqua», dichiara Nils Asp, ricercatore presso l’Università Federale di Parà. «Il nostro team vuole capire quali siano i meccanismi che regolano la vita di questo ecosistema, soprattutto vorremmo capire come funziona il processo di fotosintesi in presenza di così poca luce».
Secondo gli scienziati si tratta di un’area particolare: nessuno infatti immaginava che si potesse sviluppare un simile ecosistema in acque così torbide. L’area ha un grosso potenziale per la scoperta di nuove specie, ed è inoltre molto importante per il benessere economico della comunità di pescatori Quilombola che operano nella zona costiera amazzonica. Al momento meno del 5 per cento di questo ecosistema è stato mappato, ma le ricerche in corso mirano ad aumentare questa percentuale.
Mentre gli scienziati hanno appena iniziato a studiare questo reef, alcune compagnie petrolifere, tra cui Total e BP, vorrebbero avviare esplorazioni petrolifere nell’area in vista di potenziali trivellazioni. Secondo alcune stime, sotto questi mari ci sarebbero approssimativamente tra i 15 e i 20 miliardi di barili di idrocarburi.
«Dobbiamo difendere il reef e l’intera regione alla bocca del bacino del Rio delle Amazzoni dall’avidità delle multinazionali che pongono i loro profitti prima dell’ambiente – dichiara Thiago Almeida di Greenpeace Brasile -. «Una delle aree in cui Total vorrebbe cercare idrocarburi si trova a soli otto chilometri dal reef, e l’iter burocratico per ottenere il via libera è già partito».
Secondo Greenpeace, la ricerca di idrocarburi porrebbe questa area sotto un pericolo costante. Il punto più a nord dello Stato brasiliano di Amapà, il Cape Orange National Park, ospita il più grande ecosistema continuo di mangrovie e non c’è tecnologia capace di ripulire un tale ecosistema da eventuali sversamenti di petrolio. Inoltre, i rischi legati ad operazioni simili in un ambiente come la bocca del bacino del Rio delle Amazzoni sono accresciuti dalle forti correnti e dai detriti che il fiume porta con sé.
In questa regione, casa di lamantini americani, tartarughe gialle, delfini e lontre di fiume, sono stati finora scavati 95 pozzi. Di questi, 27 sono stati abbandonati a causa di incidenti meccanici, il resto per scarsa convenienza economica.