È stato a livello globale il terzo gennaio più caldo dal 1880. Un trend inarrestabile con punte nel 2016 (che è al primo posto) e nel 2007 (secondo posto). Ora l’attenzione degli scienziati è rivolta all’Artico perché si potrebbe raggiungere un nuovo record di minima estensione invernale della calotta glaciale. La sconfitta dell’Unfccc
Il Bollettino climatico della Noaa, come una voce meccanica in un film di fantascienza tipo day after, continua a scandire i dati del suo report mensile. Ma c’è qualcuno che ascolta? La voce meccanica dice, ad un pianeta sconvolto da disastri estremi, con fenomeni di migrazioni bibliche: gennaio 2017 è il terzo gennaio più caldo dall’inizio della serie storica dei dati (1880).
E sì, l’amministrazione Usa che tiene sotto controllo le temperature atmosferiche e degli oceani, notifica che Gennaio 2017 è stato a livello globale il terzo gennaio più caldo dal 1880, da quando cioè l’uomo ha iniziato a registrare, con un sistema condiviso, i dati globali delle temperature. Un trend inarrestabile con punte nel 2016 (che è al primo posto) e nel 2007 (secondo posto) il che fa dire ciclicamente agli stupidi: dov’è il riscaldamento globale?
Le aree con oltre 2°C al di sopra della media del periodo base (1981-2000) sono state: l’America settentrionale eccetto gli Stati Uniti occidentali, la Penisola Scandinava, l’Australia sud orientale e gran parte dell’Asia centro orientale. Le aree più fredde, con oltre 2°C al di sotto della media del periodo base sono state: gli Stati Uniti occidentali, l’area balcanica e parte del centro Europa. Anche la temperatura media in Italia è risultata sotto la media, ma a livelli attorno ad 1°C rispetto al periodo base (1981-2000).
L’attenzione degli scienziati della Noaa è rivolta all’Artico perché si potrebbe raggiungere un nuovo record di minima estensione invernale della calotta glaciale. In Artico, nel mese di febbraio, si registra normalmente la massima estensione di ghiaccio. Quest’anno, probabilmente, si registrerà la minima assoluta di queste massime estensioni di ghiaccio invernale.
La regione artica è piombata ormai in un periodo climaticamente drammatico e ciò che in passato era eccezionale, ora è diventata la norma. E la situazione diventa sempre più drammatica. Vale la pena ricordare alcuni fatti.
– L’estensione del ghiaccio marino osservato in Artico nel mese di gennaio 2017 nella regione artica ha raggiunto i livelli più bassi, mai osservati da quando sono cominciate, 38 anni fa, le osservazioni da satellite (dal 1979), con una perdita quest’anno di ulteriori 100mila miglia quadre (circa 260mila km quadrati) rispetto al 2016, una superficie questa equivalente a quella del Colorado (e circa equivalente alla superficie italiana meno la Sicilia e la Calabria).
– La temperatura media di 4,4°F (-15,3°C) registrata a Barrow, in Alaska, nel periodo compreso tra novembre 2016 e gennaio 2017, ha frantumato il vecchio record di 0°F (-17,8°C) stabilito nell’inverno 1929-1930. Dal 1921 al 2015, la temperatura media nel periodo tra novembre e gennaio, a Barrow, si era mantenuta attorno a -7,9°F (-22,2°C).
– Le temperature nell’Artico per l’anno solare 2016 sono state, di gran lunga, le più alte temperature mai verificatesi dal 1900. Ognuno degli ultimi quattro anni è stato tra i primi 10 anni più caldi mai registrati da quando esistono le serie storiche.
Ora assisteremo probabilmente ad un nuovo record dei ghiacci artici in febbraio. Questo inverno artico, infatti, con ripetute ondate di aria estremamente calda ha frenato di molto la forazione e la crescita del ghiaccio marino.
Ma che fare? Chi deve intervenire?
In una sintetica ma precisa ricostruzione, Vincenzo Ferrara, meteorologo, esperto di cambiamenti climatici e personalità di spicco nel panorama italiano, ricorda che la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) che ha l’obiettivo di stabilizzare le concentrazioni atmosferiche dei gas serra a un livello tale da prevenire pericolose interferenze antropogeniche per il sistema climatico, è stata firmata nel 1992, è entrata in vigore nel 1994 perché diventasse operativa, attraverso appositi protocolli o altri strumenti attuativi o atti esecutivi.
Ebbene, dopo 25 anni non si è fatto, in pratica, nulla di attuativo per prevenire le pericolose interferenze al sistema climatico. L’unica cosa che è stata operativamente eseguita è solo l’attuazione del famoso detto napoletano «Facite ammuina».
Nel 1992 la concentrazione di CO2 atmosferica era di 356 ppm. Ora siamo a 405 ppm: un aumento cioè del 14% in 25 anni. Se si considera che dall’epoca preindustriale (ben oltre 200 anni fa) l’aumento complessivo della CO2 atmosferica è stato del 44%, un aumento del 14% in soli 25 anni è da considerarsi un disastro che la Unfccc è rimasta a guardare.
La temperatura media globale è aumentata di circa 1°C nell’ultimo secolo, ma la metà di questo aumento è avvenuta solo negli ultimi 25 anni. Un’accelerazione così marcata dell’aumento della temperatura media globale è da considerarsi un disastro.
Senza entrare nei dettagli per parlare di quello che sta accadendo in Artico, o di quello che sta accadendo all’innalzamento del livello del mare, all’acidificazione degli oceani, ai fenomeni meteorologici estremi, alla biodiversità, alla desertificazione, ecc. Si può e si deve parlare di un disastro chiamato Unfccc, che ora, per la vergogna, si nasconde dietro un fumo molto denso, ma allo stesso tempo inconsistente, che si chiama Accordo di Parigi.
Noi siamo più volte intervenuti sui vari summit internazionali e siamo amaramente d’accordo con questo grido che lancia Ferrara. Chissà come faranno fra 20mila anni gli archeologi del futuro a scoprire perché la nostra civiltà si è estinta…