Vivere liberamente un’esperienza

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Delle storie scritte, come di quelle vissute in prima persona, si può, dunque, far parte, ma da queste storie si può anche uscire. Si può, così, diventare protagonisti di altre storie, anche solo virtuali e parallele, nelle quali il caso o la necessità possono offrire opportunità, anche imprevedibili, per ampliare le nostre esperienze con altri pensieri e altre e nuove relazioni vitali con le cose.

Sono tutte storie che hanno la connotazione originaria dei ricordi, concepiti come pensieri in corso nella mente e non solo come segni e messaggi formali (forniti dalle cose e dagli eventi) percepiti dai cinque sensi e trasmessi per essere, infine, conservati nella nostra memoria o meccanicamente replicati a comando.
In questa situazione dobbiamo superare sia l’estraneità di un racconto che può rimanere solo una conoscenza formale che può indurre atteggiamenti di adeguamento acritico alle mode, sia il rischio di farci deviare verso storie automatiche di consumi e di prestazioni sempre più avanzate (governate dagli «algoritmi» delle sfide, dai premi del «vero/falso», dai percorsi di «stimolo/risposta»…).
Dobbiamo, infatti, poter vivere liberamente un’esperienza mentale originale e diversa, autonoma e non rituale, se vogliamo sfuggire ai ritmi e alle urgenze dei risultati obbligati da un nostro turno in scadenza (come se fossimo nel giro di un gioco di società). Abbiamo bisogno, infatti, di storie che, per le loro diverse, autonome e consapevoli, origini mentali, non solo non portino a convergere sugli assoluti (che sono incompatibili con le scelte di condivisione di verità plurali e di scenari di diversità), ma che possano diventare risorse per creare sinergie. Sono storie che non comunicano significati preordinati, ma che, neanche rispecchiano esaustive esperienze vitali sulla complessità e su compiute consapevolezze circa il senso del vivere umano. Sono storie che non sono riducibili a semplici sogni, ma che affidano al lettore tutto un compito interpretativo e riflessivo personale. Storie nelle quali il lavoro vero non viene fatto dall’autore (che propone solo proprie percezioni ed emozioni), ma dal lettore che può, infatti, sviluppare un proprio percorso di scoperte e di consapevolezze. Storie concettuali formalmente anche di poco interesse se non fossero rielaborate e finalmente interpretate e integrate (nella forma di punti di vista diversi di più letture e di più lettori), come patrimoni di conoscenze ed esperienze necessarie per accrescere la qualità delle valutazioni e decisioni personali e condivise.
Sono storie di esperienze che potrebbero essere perse, ma che possono, invece, fruttuosamente inserirsi nella continuità del divenire del nostro presente e offrire contributi unici alla realizzazione delle nostre aspirazioni più profonde: storie che, solo il senso comune delle cose, può definire eterodosse. Non un film, che potrebbe coinvolgerci solo passivamente, nelle sequenze delle sue trame predefinite, ma un vivere, arricchito dalle storie di un precedente divenire sinergico del quale siamo una prosecuzione del tutto autonoma nel presente. Niente di cabalistico o da new age, ma l’esperienza di una condizione che può essere sentita e assunta intenzionalmente ed essere, quindi, da noi liberamente condivisa, negata o legittimata come appartenente al nostro vissuto, pur se formalmente si tratta di un’invenzione che, nella sua origine e struttura, è frutto di relazioni fra più esperienze. Esperienze diverse che rientrano, però, nella categoria delle nostre risorse creative.
Sono storie nelle quali possiamo ricercare un senso umano delle cose, anche solo iniziando dalle analogie, per rifletterle sul nostro modo di essere, nelle prospettive dinamiche e flessibili di nostre concrete partecipazioni e confronti con i fini vitali riconoscibili negli equilibri naturali. Dobbiamo impegnarci a raccogliere riferimenti non per un archivio dei tempi passati, ma per disporre e aggiornare criticamente risorse dinamiche di modi per vivere e, soprattutto, per sopravvivere alle «carenze» di senso del presente.
Storie che, pur se mai sufficienti, possono potenziare (con l’esplorazione della complessità degli equilibri vitali) la disponibilità di relazioni determinanti per scoprire e mettere a confronto condizioni e opportunità concrete di dare senso al nostro esistere. Storie che possono permettere anche di indagare quegli scenari immateriali che l’uomo sa pensare e ripensare nella ricerca di un senso che vada oltre le cose solo fisicamente dinamiche. Storie essenziali perché uniche vere alternative, agli invadenti approcci deterministici che riducono, ogni cosa dell’immanente, a un gioco paranoico di incastri preordinati (di strategie fine a se stesse e di rischi superflui); storie che fanno riflettere sul dilagante senso comune delle cose che non alimenta il progresso umano, ma che avanza, in modo incontrollato e pericoloso, come una metastasi. Storie condivise perché frutto di relazioni creative (fra le diversità umane) e non effetto di banali omologazioni consumistiche. Storie originali di organismi vitali e non di un insieme di meccanismi preordinati, con finalità solo produttive e senza proprie e responsabili intenzioni.
Storie che non impongono i ritmi di quel progressismo, ad alto sviluppo di entropia, che, nel «fare qualsiasi cosa si possa fare» e nelle inesauribili alienazioni consumistiche, realizzano solo infruttuosi sprechi di risorse e ostacolano, opponendo sempre maggiori difficoltà, la ricerca di quella fertile unicità che è in ciascuno di noi e che compone la fertile diversità umana.