Meglio un presidente piuttosto aperto al mondo, ma rispettoso della Terra che uno chiuso nella sua capanna insieme allo zio Tom che discrimina e sfrutta per sostenere il progresso industriale americano finché gli fa comodo, prima di sbattergli una porta, anzi un muro, in faccia
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Sfoggiando il più eclatante dilettantismo politico che si fosse mai visto dai tempi di George W. Bush, tra i deliri onirici del sogno (ma sarebbe meglio dire, dell’incubo) americano rinfrancato per un istante dalla semi-parentesi «obamiana», McDonald (senza esse, Trump) sta incarnando a pennello le vesti del bulimico affarista a stelle e strisce. Lo faceva da imprenditore televisivo, tra osceni siparietti in terra comunista e raccapriccianti cabaret in casa propria, e continua a farlo da primo cittadino della patria di una libertà che sembra non essere più nemmeno quella elettorale. Lo chiamo McDonald (Trump) perché, come la multinazionale dell’hamburger (ma senza il diritto di esserlo, pertanto è senza genitivo sassone) il presidente con i capelli dei Simpson e il livello culturale di Homer (ma almeno H.J. ha l’animo puro) ha fatto uomo il precetto dell’azienda da fast-food: menti localmente, distruggi globalmente. Sì, perché oltre alla marea di fandonie che rifila a quel 40% di americani talmente rintontiti dalla TV da non distinguere più un clown da circo da un venditore di panini con carne o da un presidente eletto (qualcosa che ricorda l’era berlusconiana italiana), McDonald (senza esse, Trump) rischia di mandare all’aria l’intero pianeta con il suo protezionismo economico-commerciale.
Gli euro-scemi (perché se fossero solo euro-scettici non sarebbero abbastanza soddisfatti) hanno accolto con benevolenza la chiusura commerciale degli Usa al resto del mondo, voluta da McDonald per «proteggere gli interessi americani». Certo, in un mondo capitalista e materialista, se il presidente americano dicesse davvero «no global» (smettiamola di spostare merci e materie prime qua e là per il pianeta, di sfruttare l’ambiente e i lavoratori, di inquinare e riscopriamo l’economia di sussistenza e sobrietà «a chilometro zero») qualcuno lo candiderebbe al Nobel alternativo per l’ecologia. E se Barack Obama ha vinto il Nobel per la pace, ancor prima di farla, perché non sostenere il proclama di McDonald? Per una semplice ragione: al presidente dell’hamburger non interessa un bel niente di tutela della Natura e lo ha fatto capire piazzando in ogni dove (dall’agenzia nazionale per la protezione dell’ambiente, Epa, alle rappresentanze di ministeri e gabinetti) imprenditori, militari ed economisti, rinomati nemici dell’ambiente. Lo ha persino detto esplicitamente che le leggi ambientali sono troppo «limitanti».
E, infatti, a pochi giorni dall’inizio del suo mandato presidenziale, ha dato il via libera agli oleodotti bloccati dal suo predecessore, rinfiammando le proteste dei nativi americani, e ha (per bocca del suo mastino a capo dell’Epa, Scott Pruitt) chiarito bene quale sarà la politica usa dei prossimi anni: libertarismo industrial-nazionalista (molto poco «obamiano di sinistra», d’altronde, e c’era d’aspettarselo).
«Le emissioni di anidride carbonica non c’entrano coll’effetto serra», chiosa McDonald travestito non da clown, ma da avvocato, stavolta. E il cerchio si chiude. L’equazione, per quanto certi il clown non sia Godel, è semplice e lineare: (x) attuale politica americana= (a) basta importazioni dall’estero + (b) l’ambiente non è in pericolo a causa dell’industria + (c) incentiviamo l’industria nazionale + (d) annulliamo qualunque impegno di tutela del pianeta. Come in molti sapranno sin dai tempi delle scuole medie, se anche solo uno dei valori in un’equazione di questo tipo è negativo e tutti gli altri, anche se positivi, sommati tra loro sono inferiori al totale di quelli negativi, il risultato sarà, comunque, negativo. In questo specifico caso, solo (a) e (c) possono apparire positivi (per la tutela dell’ambiente e l’incentivo dell’economia locale), (b) e (d) sono certamente negativi (menzogna scientifica e disastro diplomatico) e la loro somma è di gran lunga superiore ad (a)+(c). Pertanto l’attuale politica americana (x) è certamente negativa.
Questo dovrebbe far riflettere coloro che, anche nel belpaese, sostengono (per il merito della sua chiusura commerciale) lo stesso McDonald, dimenticando tutti gli altri valori dell’equazione. Da una parte, ridurre l’import-export nazionale rappresenta davvero quanto di più «no global» e ambientalista si possa sperare in un presidente moderno, peccato che tutto il resto è quanto di più retrogrado e antiscientifico si possa desiderare.
Forse, allora, meglio un presidente piuttosto aperto al mondo, ma rispettoso della Terra che uno chiuso nella sua capanna insieme allo zio Tom che discrimina e sfrutta per sostenere il progresso industriale americano finché gli fa comodo, prima di sbattergli una porta, anzi un muro, in faccia. Eppure proprio in questi giorni un film nelle sale cinematografiche («Il diritto di contare») ricorda a tutti, e a McDonald su tutti, che la diversità è ciò che ha reso straordinaria l’America e il mondo intero. Una diversità culturale, religiosa, sessuale e biologica che McDonald (senza esse, Trump) minaccia con la sua «industrializzazione no global».
Roberto Cazzolla Gatti, Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato in Biodiversità ed Ecologia, Tomsk State University, Russia