Tutta un’altra pasta…

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Una recente indagine scopre tracce di glifosato, cadmio e micotossine nella pasta. Sebbene la presenza di questi contaminanti sia compresa nei valori soglia imposti dai limiti di legge, che in Italia sono spesso ben più di manica larga rispetto a molti altri Paesi, due aspetti allarmano maggiormente: il limite per i bambini viene superato in due casi e la contaminazione da glifosato conferma la presenza di grano di origine estera nella pasta italiana

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Se c’è qualcosa che rappresenta, più di molte altre, l’Italia nel mondo, questa è certamente la pasta. Più della moda d’esportazione, del calcio in streaming, del cappuccino e persino più della pizza, la pasta è un vessillo noto quanto il tricolore. Evviva la pasta, tutti la mangiano, tutti la vogliono. Non la pâtes francese con 25 minuti di cottura, che sembra un sufflè di farina. Non i noodle orientali che li cuoci con l’acqua del tè. La pasta col pomodoro. Quella vera, dorata, che non scuoce, che non si sbriciola, che non si scioglie.
Vivendo all’estero, se c’è una cosa che mi fa sentire meno lontano da casa nei momenti di nostalgia è trovare sullo scaffale del supermercato un pacco di De Cecco, Barilla & Co. Non per niente, la stessa azienda emiliana ha insinuato nella mente di tutti, come un mantra tibetano, lo slogan «Dove c’è Barilla c’è casa».
Eppure, in pochi in Italia e quasi nessuno nel mondo ne hanno parlato: stiamo mangiando tutta un’altra pasta. L’associazione pugliese (tanto di cappello e un motivo in più per sentirsi orgogliosi dell’attivismo dei propri corregionali) GranoSalus ha svolto un’indagine indipendente per analizzare il livello di contaminazione da pesticidi e micotossine della pasta venduta da alcune aziende italiane, prendendo come campione gli spaghetti di noti marchi.
Dalle analisi di laboratorio risulta che è presente «coopresenza di DON [deossinivalenolo, una micotossina, ndr], glifosato e cadmio negli spaghetti Barilla, Voiello, De Cecco, Divella, Garofalo, La Molisana, Coop e Granoro 100% Puglia». Lo studio ha rivelato anche «un’attività di miscelazione tra grani esteri e grani nazionali vietata dai regolamenti comunitari».
Sebbene la presenza di questi contaminanti sia compresa nei valori soglia imposti dai limiti di legge, che in Italia sono spesso ben più di manica larga rispetto a molti altri Paesi, due aspetti allarmano maggiormente: il limite per i bambini viene superato in due casi (spaghetti Divella e La Molisana) e la contaminazione da glifosato (un’erbicida accusato di cancerogenicità) conferma la presenza di grano di origine estera nella pasta italiana.
Infatti, questo diserbante di sintesi, brevettato da Monsanto, non ha alcun tipo di impiego sul territorio italiano dove il clima piuttosto caldo e secco nelle aree di coltivazione del grano duro (la Puglia tra tutte) rendono inutile l’impiego di un prodotto pensato per favorire l’essiccazione delle spighe, laddove il clima non permette un disseccamento naturale. Ovvero, la pasta italiana, contenendo quantità tra 0,01 e 0,1 mg/kg di glifosato, rivela la presenza di grano estero nascosto all’interno della sua materia prima.
Scrivo «nascosto» e non «miscelato» perché il gioco di prestigio è presto svelato. Se prendi un grano italiano quasi del tutto puro e lo misceli a un grano estero quasi del tutto contaminato, il contenuto finale di sostanze pericolose è al 50%. Così composti chimici, metalli pesanti e micotossine vengono «nascosti» con una pratica del tutto illegale.
È ben noto che Canada e Russia sono i più importanti fornitori di grano duro delle aziende italiane e non sorprende, quindi, che spighe coltivate in aree coperte da neve e ghiaccio per mesi, che poi si allagano mentre si scongelano prima della semina, restano umide, infestate dagli insetti, necessitino di notevole quantità di erbicidi disseccanti e pesticidi contro i parassiti, e favoriscano la proliferazione di muffe.
Le aziende interessate da queste analisi si sono difese evidenziando che i valori sono sotto i limiti imposti dalla legge. Omettono, però, di ricordare che le sostanze contaminanti vanno incontro a processi di bioaccumulo (o biomagnificazione, in linguaggio tecnico). In altre parole, le sostanze chimiche di sintesi vengono in parte detossificate (prevalentemente dal fegato) ed espulse tramite le urine e le feci, ma in buona parte si accumulano nel corpo di volta in volta. Ecco perché mangiare un tonno che ha predato una sardina che a sua volta ha ingoiato zooplancton e, da larva, fitoplancton in quantità, vuol dire assumere dosi di mercurio ben più alte che se si bevesse acqua di mare o si mangiassero un po’ di alghe. Il mercurio si bioaccumula lungo la catena alimentare e resta nell’organismo dell’elemento più alto della piramide in dosi massicce.
Visto che gli italiani, da buoni italiani (e gli italofili da buoni italofili), consumano porzioni giornaliere di pasta e che questa, come rivelato dall’inchiesta di GranoSalus, contiene dosi (seppur entro i limiti legali) di sostanze potenzialmente cancerogene, di cui si potrebbe tranquillamente fare a meno se si utilizzasse solo materia prima nazionale e controllata, giorno dopo giorno rischiamo di fare la fine del tonno.
Quando 48 eurodeputati sono stati sottoposti ad analisi delle urine il giorno prima di votare la risoluzione del Parlamento europeo contro l’impiego di glifosato in agricoltura, in tutti loro c’erano tracce di questo erbicida. Nonostante questo, e grazie anche alle minimizzazioni di Fao e Oms, il suo impiego non fu messo al bando, per quanto il diritto europeo sia fondato sul principio di precauzione. Un’altra ricerca della Fondazione Heinrich Böll aveva dimostrato che il 75% del campione di cittadini tedeschi conteneva nel sangue una dose di glifosato, che nel 33% di loro era dalle 10 alle 42 volte superiore a quella consentita dalla legge per l’acqua potabile.
Insomma, parafrasando la famosa canzone «Alla fiera dell’Est», e venne il tonno che si mangiò la sardina che si mangiò il plancton che bevve il mare che conteneva mercurio che dalla fabbrica si riversò, così l’umano che mangiò la pasta che conteneva il grano annaffiato col glifosato che il contadino boreale in quantità vi spruzzò. Alla fiera dell’Est, per due soldi, un piatto di pasta al tonno all’omino la vita costò…

 

Roberto Cazzolla Gatti, Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato in Biodiversità ed Ecologia presso la Tomsk State University, Russia