Dissociare, bruciare, eliminare i rifiuti o ridurli, riciclarli e riutilizzarli?

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Riflessioni contro l’ignoranza eco-demagogica nata dal caso «Isotherm» dell’Itea Spa. E i cittadini gioiesi nell’ultimo decennio non sono mai stati messi al corrente delle emissioni di inquinanti atmosferici risultanti dalla sperimentazione. Dall’azienda fanno sapere di essere sotto il costante controllo dell’Arpa Puglia, ma nessun dato è stato sino ad ora fornito alla popolazione

«Sono felice se penso che tutti i sacrifici
che abbiamo fatto in passato
oggi vi permettono di studiare
e di capire ciò che noi non capivamo»
(Una saggia nonna)

 

Una decina di anni fa, la ditta Itea Spa costruì presso l’Ansaldo Termosud di Gioia del Colle (BA) un impianto di sperimentazione per la «combustione senza fiamma» dei rifiuti. Il comune del sud Italia fu scelto dopo che altri comuni si opposero al progetto considerandolo niente più che un impianto per la distruzione dei rifiuti, potenzialmente nocivo per la salute pubblica (si veda il caso di Bologna). Nonostante l’appoggio a spada tratta di Walter Ganapini e qualche premio vinto per l’innovazione industriale-ambientale, su base fiduciaria (sembrerebbe la motivazione) visto che l’impianto non ha mai davvero funzionato e operato fattivamente, la sperimentazione nella cittadina gioiese continua a sollevare preoccupazioni e richieste di trasparenza da parte dei cittadini.
L’azienda, dopo aver ricevuto un finanziamento regionale e il via libera da parte dell’ente metropolitano e dell’amministrazione comunale gioiese, si propone di continuare un decennale test su rifiuti speciali (industriali e farmaceutici), solidi urbani e persino radioattivi («materiali contaminati provenienti dalle centrali nucleari» come hanno dichiarato, qualche mese fa, i rappresentanti dell’azienda).

Senza dati

Nonostante questo, l’opinione pubblica e i cittadini gioiesi nell’ultimo decennio non sono mai stati messi al corrente delle emissioni di inquinanti atmosferici risultanti dalla sperimentazione. Dall’azienda fanno sapere di essere sotto il costante controllo dell’Arpa Puglia, ma nessun dato è stato sino ad ora fornito alla popolazione.
Questo impianto e questa sperimentazione, oltre alla tipologia di rifiuti altamente pericolosi che tratta, ha sempre lasciato non pochi dubbi sulla sua reale efficacia, sulla vera necessità e sulla sicurezza per l’ambiente e per la salute. D’altronde, ha destato molte perplessità la notizia del finanziamento pubblico concesso dalla Regione Puglia a un’azienda privata ai fini di una sperimentazione in un impianto che, per di più, dista solo poche centinaia di metri dall’area urbana e costeggia aree agricole.
Solo nel 2006 l’azienda Sofinter Spa (proprietaria di Itea Spa) e la sua responsabile tecnica Grazia Di Salvia ancora chiamavano l’impianto sperimentale di Gioia del Colle «Dismo», lo stesso che era stato posto sotto sequestro da parte del Gip di Bologna, dopo la denuncia di un operaio che, avendo lavorato molti anni presso quella stessa tecnologia in Emilia Romagna, si era ammalato di tumore.
Ora Di Salvia dichiara che a Gioia del Colle non è presente il «Dismo», bensì l’«Isotherm» e che si tratta di due cose ben diverse, ma questo sembra poco plausibile perché non sono mai stati pubblicati dati ed evidenze che dimostrano quanto l’impianto di Gioia del Colle sia tecnicamente e sostanzialmente cambiato dal 2006 ad oggi. L’unica cosa che è certamente cambiata è il nome.
In passato, durante una manifestazione pubblica organizzata da Wwf e Greenpeace contro questo impianto sventolava uno striscione con lo slogan «Meglio differenziati che eliminati». Ed è proprio questo il nodo gordiano di questa vicenda. Al di là di ogni ragionevole dubbio, siamo sicuri che l’eliminazione dei rifiuti (anche di quelli pericolosi) sia una soluzione migliore della riduzione, del riciclo e del riuso?

La tecnologia e le scorie

Questo impianto sperimentale è stato concepito per la distruzione dei rifiuti chimici, radioattivi e tossici, oltre a quelli solidi urbani e ai fanghi di depurazione. Questo darebbe una via d’uscita a tutte quelle compagnie chimiche e petrolchimiche, e alle industrie, che non avrebbero più interesse a eliminare dai loro prodotti le sostanze pericolose per la salute umana. Inoltre, l’Isotherm (nato Dismo) non elimina affatto la necessità di una discarica, in quanto produce ceneri vetrose che dovrebbero comunque essere smaltite. Queste ceneri vetrose e inerti sono una sorta di bomba ecologica poiché contengono tutti quei componenti chimici (metalli pesanti, scorie radioattive, etc.) che l’ossicombustione (ovvero il processo che l’azienda definisce innovativo, nonostante la banale constatazione che tutte le combustioni necessitano di ossigeno, pertanto non è ben chiara dove sia l’innovatività del nome e del processo stesso) non è in grado di «volatilizzare».
Con questo impianto la Itea, l’Ansaldo, l’Italia e persino la Regione Puglia si fanno esportatori di un modello che va nella direzione della distruzione, dell’eliminazione dei rifiuti e non del recupero e del riciclo (questo impianto è già stato venduto a Singapore). Una direzione opposta a quella avviata dall’Europa per costruire un mondo sostenibile e non intossicato dai rifiuti.
L’Isotherm (nato Dismo), inoltre, assicura un limitato recupero energetico inferiore a quello che si otterrebbe con un adeguato sistema di recupero e riciclaggio e un costo ambientale di produzione ex novo dei materiali che non ci sarebbe se si rendesse ciclica la catena produttiva. Con questo tipo di impianti, infatti, si disincentiva la produzione di materiali ecocompatibili o biodegradabili e facilmente riciclabili.
Un aspetto poco discusso, ma altrettanto allarmante, di questa tecnologia è anche la produzione di gas climalteranti (come l’anidride carbonica, CO2) derivanti dalla combustione dei rifiuti trattati, che andrebbero ad aggravare l’effetto serra e le cui emissioni sarebbero contrarie alle politiche comunitarie di riduzione del carbonio in atmosfera. Non bisogna dimenticare che attualmente esistono tecniche naturali e «a freddo» per smaltire i rifiuti pericolosi e queste non rilasciano gas a effetto serra nell’aria e non producono scorie contenenti «bombe ecologiche».
L’azienda propone, addirittura, l’utilizzo di questa tecnologia per la produzione di energia da carbon fossili (inclusi quelli di bassa qualità «low rank», ma ad altissimo impatto ambientale, come la lignite proveniente dalle torbiere) spacciandolo, con una delle più sconvolgenti operazioni di greenwashing mai viste, per «zero emission», nonostante l’impegno globale nella sostituzione della produzione di energia da combustibili fossili e la tutela delle torbiere mondiali.

Persino il millantato aspetto occupazionale andrebbe rivalutato: il Dismo (oggi Isotherm) assicura meno posti di lavoro (non più di una decina) che se si creassero dei consorzi per il recupero dei materiali di scarto industriali (centinaia di impiegati) o per la produzione di energia da fonti rinnovabili.

Dati preoccupanti

Nonostante le contenute emissioni dichiarate dall’azienda (ma mai pubblicate ufficialmente dagli organi di controllo locali), l’Unione dei Medici Generici e molti studi scientifici confermano che all’aumentare della temperatura con cui si trattano i rifiuti aumentano le quantità di polveri sottilissime emesse penetrano in profondità nell’apparato respiratorio e permangono per tutta la vita, provocando tumori. L’Isotherm realizza la combustione di rifiuti all’elevatissima temperatura di 1.300 e 1.500 °C.
Non essendoci dati ufficiali da parte delle autorità pubbliche, l’unica fonte d’informazione sulle emissioni è la stessa Itea che, in una presentazione divulgativa, riporta i valori di rilascio in atmosfera di inquinanti in seguito ad alcune prove dimostrative. È facile che possa sfuggire a una lettura veloce, tra i tanti numeri «a posto», ciò che l’azienda riporta nel trattamento dei fanghi, ovvero un’emissione nell’aria «Verificato Isotherm» di 481 µg/m3 di nanoploveri PM2,5 (come evidenziato nella Tabella 1).

 

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 Tabella 1 – Emissioni dichiarate dall’Itea spa in seguito a prove sperimentali. Nel cerchio

rosso le emissioni di PM2,5

 

Questo valore potrebbe apparire difficile da valutare senza un confronto con altre fonti di emissione. Si consideri, ad esempio il quantitativo di PM2,5 di una «sala fumatori» al chiuso (nel grafico in Figura 1). Entrando nella sala si può essere esposti a una concentrazione massima di circa 300 µg/m3 di PM2,5. Uscendo dalla sala si scende a meno di 50 µg/m3.

 

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  Figura 1 – Concentrazione di PM2,5 in entrando e uscendo da una zona fumatori in

un’ora di rilevamento

 

Considerato che, dalle prove sperimentali su fanghi, l’Isotherm emette 481 µg/m3, che l’azienda produttrice dichiara che questo è un sistema che potrebbe funzionare a ciclo continuo e che, tra gli altri, i fanghi sono tra i principali rifiuti trattati dall’impianto, si rischia di avere concentrazioni di nanopolveri nell’aria circostante l’impianto Isotherm e nel cono d’ombra di ricaduta dalle principali direzioni del vento (considerato che le polveri sottili viaggiano per molti chilometri) maggiori che se si trascorresse l’intera giornata in una sala fumatori.
Queste emissioni, contestualizzate alla normativa nazionale (che al contrario di quanto riportato nella tabella proposta da Itea, probabilmente perché realizzata prima del 2010, sono regolamentate dal D.Lgs. 155/2010) appaiono ancor più allarmanti.
Infatti, molti studi epidemiologici mostrano una correlazione tra le concentrazioni di polveri in aria e la manifestazione di malattie croniche alle vie respiratorie, in particolare asma, bronchiti, enfisemi e tumori. L’Arpa Veneto riporta che «Le particelle di dimensioni inferiori costituiscono un pericolo maggiore per la salute umana, in quanto possono penetrare in profondità nell’apparato respiratorio; è per questo motivo che viene attuato il monitoraggio ambientale di PM10 e PM2,5 che rappresentano, rispettivamente, le frazioni di particolato aerodisperso aventi diametro aerodinamico inferiore a 10 µm e a 2,5 µm».
La soglia di concentrazione in aria delle polveri fini PM2,5 è stabilita dal D.Lgs. 155/2010 e calcolata su base temporale annuale. Il Valore Limite (VL) annuale (come media) per la protezione della salute umana è pari a 25 μg/m3. È facile calcolare grossolanamente che se l’Isotherm operasse tutto l’anno emettendo (stando a quanto riportato dalla stessa Itea) in media 481 µg/m3 di PM2,5 (valore che dovrebbe essere stato calcolato all’uscita da camino) durante il processo di combustione dei fanghi, le emissioni di nanopolveri sarebbero sempre oltre il limite di legge in non meno di 18 m3 di aria circostante (considerata una condizione ideale e, alquanto irreale, di un’aria priva di qualunque altra fonte di PM2,5).
Operando a ciclo continuo, quindi, l’Isotherm potrebbe emettere nanopolveri in grado di inquinare (ovvero di superare il valore limite annuale) circa 18 m3 di aria alla volta. Essendo, però, l’aria (e le polveri da essa contenute) un elemento in quasi costante movimento, 18 m3 d’aria contenenti un quantitativo di nanopolveri al valore limite si andrebbero costantemente a diluire all’atmosfera circostante, incrementando di molto il valore medio annuale di PM2,5 già abbastanza elevato in aree urbane con condizioni normali di traffico automobilistico o aree in zone industriali.
Insomma, le emissioni di PM2,5 riportate dalla stessa azienda non possono, in questa fase, far esser nessuno certo della «non-nocività» dell’impianto. Le voci sulle «garanzie» che sarebbero state fornite dal ricercatore Stefano Montanari all’azienda Itea Spa sull’emissione di nanopolveri sono, in realtà, basate su notizie infondate, in quanto lo stesso ricercatore ha risposto sul suo blog nel 2008 di non aver ancora avuto la possibilità di completare le indagini. Dal 2008 ad oggi non sono mai stati pubblicati e divulgati dal dott. Montanari dati riguardanti la sperimentazione presso l’impianto di Gioia del Colle.
Discorso a parte, e non meno preoccupante, andrebbe fatto per l’emissione accidentale, ma già avvenuta in passato, di diossine e l’impiego delle scorie vetrose derivanti dal processo, che l’azienda definisce inerti e suggerisce di utilizzare persino negli asfalti e come abrasivo per sabbiatrici, dimenticando che il processo di erosione rilascerebbe nell’ambiente tutti i metalli pesanti e le sostanze inquinanti inglobate in esse.
Insomma, nonostante sia convinto che il diritto alla ricerca debba essere garantito e difeso, è necessario che qualunque sperimentazione (soprattutto in campo industriale e tecnologico) prenda in considerazione i rischi per la salute e l’ambiente, il costo per la società civile, le ricadute economiche e occupazionali e la reale utilità del prodotto finale. Ho l’impressione che tutto questo non venga garantito dall’Isotherm, che fu Dismo e che potrebbe presto essere, semplicemente, un’altra buona scusa per non smetterla d’inquinare l’unico, meraviglioso, mondo che abbiamo.

 

Prof. Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Professore associato in Ecologia e Biodiversità, Tomsk State University, Russia