Il Nimby (ovvero la sfiducia ecologica) che si nasconde dietro un acronimo. È facile poi accusare di «allarmismo» chi difende l’ambiente mostrando l’apparente contraddizione di non volere quello che a tutti sembra un bene comune…
Il processo è semplice e collaudato: l’azienda (solitamente una multinazionale, nel senso che prova a commercializzare il suo marcio, non il suo marchio, in varie parti del mondo) individua il politico corrotto di turno e l’associazione ambientalista connivente, offre loro un buon compenso per un lasciapassare e un marchio di affidabilità, propone il suo progetto di «sostenibile» sfruttamento dell’ambiente per ottenere un finanziamento pubblico, lo edulcora e lo passa ai giornalisti affamati, attende l’immancabile insurrezione popolare, definisce gli oppositori affetti dalla sindrome «non nel mio giardino» (dall’inglese Nimby), invita politici e giornali a bollare come «allarmisti» gli esperti che non concordano sulle «garanzie di tutela dell’ambiente e della salute» offerte insieme all’opera, incassa l’appalto pubblico e completa il suo disastro ecologico.
Sembrerebbe una successione apocalittica di eventi, ma è ciò che accade ogni qual volta gli interessi del privato si scontrano con quelli del pubblico sulle tematiche ambientali.
Così, per tale processo, abbiamo messo a processo (fortunatamente terminato con un’assoluzione) uno scrittore che ha definito la Tav (sfortunatamente ancora in costruzione), l’alta velocità ferroviaria italo-francese dalle molteplici problematiche economiche, sociali e ambientali, un’opera da sabotare.
Per lo stesso processo non abbiamo messo a processo (colpevolmente a causa delle false rassicurazioni delle multinazionali ambientaliste) la produzione di olio di palma, che sta distruggendo le foreste del Sudest asiatico, e il commercio di legname, che sta devastando le foreste di mezzo pianeta, mascherandoli con i marchi di sostenibilità Rspo e Fsc, rispettivamente.
Recentemente, per ugual processo, non è stato adeguatamente considerato che il «miracoloso» processo di combustione, finanziato con ben 4 milioni e mezzo di soldi pubblici (delibera della Regione Puglia n. 1321 del 27/06/2014) e proposto da un’azienda privata sotto i multiformi nomi di Dismo e Isotherm, altro non fa che cambiar forma ai rifiuti trasformandoli (a temperature di 1.500°C, con enorme dispendio energetico) in gas a effetto serra e in scorie vetrose contenenti eco-bombe, con l’aggravante del rischio di rilascio di polveri sottilissime, nonostante la sua sperimentazione avvenga sulla testa dei cittadini, e della paradossale proposta di alternativo impiego nel (Terzo) mondo come centrale per la produzione di energia elettrica da carbone «di palude».
Nei giorni scorsi, per altrettanto assurdo processo, si è avviato il processo di espianto di centinaia di ulivi del Salento, affinché affaristi svizzeri della droga, aziende dell’Azerbaijan, mafiosi italiani, oligarchi russi e con, si sospetta, la partecipazione speciale di Mefistofele in persona possano trapassare una delle più belle aree costiere al mondo con un tubo tra San Foca e Melendugno per realizzare la Tap, un gasdotto che potrebbe raggiungere senza scandali l’area industriale di Brindisi, ma che il «capriccio» degli affaristi ha scelto di deviare un centinaio di chilometri più a sud.
Ogni volta, però, a finire sotto processo sono gli ambientalisti, i cittadini, i professionisti, gli artisti e tutti coloro che credono che la tutela del «proprio giardino» non sia più importante di quella dei giardini degli altri (come vorrebbero far credere, screditando qualunque motivazione di tutela della salute e dell’ambiente, le aziende, i politici e i giornalisti che davvero andrebbero messi a processo) ma ritengono, semplicemente, che il «proprio giardino» sia importante quanto quello degli altri e, per questo, mi sembra giunto il momento che tutti coloro che sono stati accusati di soffrire di Nimby, proprio da quelli che hanno inventato ogni tipo di acronimo da greenwashing, si sostengano a vicenda, si facciano forza contro l’abuso di chi non ha a cuore né il proprio di giardino, né quello di chiunque altro.
Che i No Global sostengano i No Ogm, che i No Ogm supportino i No Tav, che i No Tav aiutino i No Tap, che i No Tap affianchino i No Fsc, che i No Fsc cooperino con i no Dismo, che i No Dismo incoraggino i No Rspo, e così via per darsi forza a vicenda, per non sentirsi soli in questo mondo di collusi che definisce «allarmisti» chi prova a «difendere l’ambiente localmente per proteggerlo globalmente» e non si accorge che, in questo processo, l’ultima parola non sarà di un giudice o di un avvocato, ma di una madre che osserva i propri figli distruggere la sua bellezza, che piange quei pochi, sparuti, isolati, coraggiosi che si oppongono a un matricidio. A un ecocidio, direbbero gli indigeni.
Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo, Professore Associato in Ecologia e Biodiversità presso la Tomsk State University, Russia