Felicità non è solo politica ed economia, felicità è…

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Analisi delle assurdità che emergono dall’ultimo rapporto Onu. I consulenti Onu che hanno preparato il rapporto hanno cercato di individuare i parametri più significativi per la felicità umana. Ma ne siamo davvero sicuri? Certamente, specificano gli autori nelle note del rapporto, la classifica va presa con le pinze per l’assenza di dati in alcuni paesi e la difficoltà nel calcolare altri elementi che certamente contribuiscono alla felicità dei cittadini

Tra i litigi da guerra fredda e i bombardamenti da battaglia calda, ha attirato la mia attenzione negli ultimi giorni la notizia, passata un po’ in sordina, del piazzamento italiano al 48° posto dell’indice mondiale di felicità (World Happiness Index) delle Nazioni Unite. Il Belpaese si piazza un posto sopra la Russia e uno sotto l’Uzbekistan. Ben al di sotto di Paesi come Colombia, El Salvador, Messico, Israele, etc. A fare da padroni dei primi posti dell’indice i Paesi scandinavi e quelli nord-europei, insieme a Canada, Nuova Zelanda e Australia. Devo ammettere che un simile ranking mondiale mi ha lasciato alquanto perplesso. Come svegliarsi una mattina e leggere sui giornali che Bari, Palermo e Cosenza dominano il campionato italiano di calcio. Sarebbe davvero bello (e lo dico da barese), ma qualche domanda bisognerebbe porsela.
Così ho cercato di capire meglio cosa questo indice, commissionato a statistici probabilmente lautamente retribuiti dai fondi per la cooperazione (lo scrivo in base ad esperienza lavorativa personale in un’agenzia Onu), racchiudesse in sé e perché fosse quanto mai contro-deduttivo (per lo meno, sulla base di esperienza lavorativa diretta con alcuni dei Paesi in classifica).
Ciò che subito ho constatato, recuperando i database originali, sono i parametri di cui si compone l’indicatore: Pil pro capite, percezione del supporto sociale, aspettativa di vita, libertà di scelta di vita, generosità (donazioni verso le Ong), percezione della corruzione e distopia (ovvero, squilibrio delle risposte ai 6 precedenti indicatori rispetto a quelli peggiori di un’immaginaria società).
Insomma, gli statistici e i consulenti Onu che hanno preparato il rapporto hanno cercato di individuare i parametri più significativi per la felicità umana. Ma ne siamo davvero sicuri? Certamente, specificano gli autori nelle note del rapporto, la classifica va presa con le pinze per l’assenza di dati in alcuni paesi e la difficoltà nel calcolare altri elementi che certamente contribuiscono alla felicità dei cittadini.
Elementi che sembrano, però, imprescindibili in una valutazione quanto possibilmente oggettiva della felicità. Prendiamo il caso italiano, ad esempio. Se si considerassero i sei indicatori singolarmente (per avere una miglior comprensione dell’indice generale) l’Italia risulterebbe al 30° posto (su 155 paesi) per Pil pro capite, all’ottavo posto per aspettativa di vita, al trentesimo per supporto sociale (ma sotto Turkmenistan, Bielorussia, Estonia e Mongolia), ma ben al 129° per libertà di scelte di vita (dove trionfano Uzbekistan, Ruanda, Filippine, Cambogia e Somalia, tra gli altri), al 110° per beneficenza e al 142° per percezione della corruzione (ma sotto Russia, Libano, Iran, Kosovo e, persino, ben più in basso di una schiera di paesi africani come Congo, Liberia, Tanzania, Angola, Malawi, Burundi, Sudan, Marocco, Ruanda, etc.).
Ora, che tutto possa succedere in un mondo che sembra dirigersi verso quella stessa distopia usata come parametro dall’Onu è vero, che l’Italia non sia più intrisa di quella dolce vita felliniana lo è altrettanto, ma che risulti al di sotto di una schiera di Paesi dove la corruzione regna sovrana e la libertà è, questa sì, un’utopia non è comprensibile. Tra le tante notizie bufale (o fake news, come le chiamano gli inglesi) sembra proprio che i risultati di questo rapporto non sfigurino.
Al di là dei parametri, evidentemente molto poco affidabili, usati dai consulenti Onu bisognerebbe ricordare che la quantità e la qualità delle aree urbane e la disponibilità di aree naturali, gli anni trascorsi in piena salute, il costo reale della vita, la libertà di voto, parola, religione, sesso, etc., e i legami famigliari sono elementi ben più rilevanti, e certamente non quantificati, da indicatori come distopia (come vivere in una società perfettamente organizzata, ma appunto distopica come quella descritta da Julian Huxley ne «Il mondo nuovo»), aspettativa di vita (vivere sino a 90 anni non significa per forza averli vissuti bene se da quando ne hai 70 soffri di tumore, Alzheimer o Parkinson), Pil pro capite (se guadagni € 4.000 al mese ma ne spendi 3.500 per tasse, affitto, cibo, etc. sei più povero di una persona che ne guadagna 1.500 ma ne spende solo 500, nonostante il suo Pil risulterà inferiore al tuo), libertà di scelte di vita (se il sistema che ti governa ti opprime e ti toglie la libertà, come puoi essere al corrente delle potenziali scelte a disposizione?), percezione della corruzione (ibidem: se il sistema che ti governa è corrotto, difficilmente avrai la possibilità di denunciarne la corruzione in piena libertà e, probabilmente, avrà corrotto anche lo stesso sistema «sondaggistico» che alimenta indici e parametri) e supporto sociale (se il governo mi assiste ma vivo in una famiglia di genitori sotto stress costante, nonni e zii assenti e vicini di casa che nemmeno conosco a quanto ammonta il supporto sociale che davvero ricevo?).
Allora, forse, invece di strapagare consulenti e statistici che sulla base di dati incompleti, inaffidabili e abbastanza arbitrari definiscono chi sono i più felici al mondo (tra l’altro, in Scandinavia, in Australia e in Giappone non si registrano tassi di suicidi ben più alti che in Italia?
Eppure risultano tra i più felici secondo l’Onu…) basterebbe ricordare che l’uomo «civilizzato», in qualunque parte del mondo, non può essere felice se non è libero di uscire di casa durante una soleggiata domenica mattina e, nonostante una dura settimana di lavoro, ai piedi di un castello medievale o di un antico tempio buddista, pensare ogni volta di vivere una vita meravigliosa, in un paese meraviglioso. Se non è libero di mangiare con i suoi figli un panzerotto o una pita, o un qualunque altro cibo tipico del suo paese, assaporandone la freschezza e la qualità degli ingredienti. Se non è libero di passeggiare con la famiglia nel parco naturale a pochi passi dalla sua città e respirare aria pura a pieni polmoni, mentre osserva piante e animali protetti e non massacrati in quel luogo. Se non è libero di scegliere ogni giorno quali giornali comprare in edicola per ricevere un’informazione pluralista e con piena liberà d’espressione. Se non è libero di tornare a casa e trovare un partner amorevole e non assente, alcolizzato, violento. Se non è libero di chiacchierare con gli amici nel centro storico del suo paese consapevole che il suo vicino non gli stia derubando casa in sua assenza, ma attende il suo ritorno per salutarlo. Se non è libero di tornare nell’orto che era dei suoi nonni e ritrovare il sapore di pomodori appena raccolti, cresciuti come un tempo. Se non è libero, infine, di dire o di scrivere che quello che vogliono farci passare per libertà, non è altro che un tentativo di sminuire tutte le piccole cose che rendono la vita davvero degna di essere vissuta. Che rendono l’uomo davvero felice.
Cantava Gaber: «La libertà non è star sopra un albero…», forse però «felicità» è starci sotto.

 

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato in Ecologia e Biodiversità, Tomsk State University, Russia