Errori metodologici e il cellulare che non fa male

1360
Tempo di lettura: 5 minuti

Gli studi realizzati sino ad ora su topi e ratti di laboratorio hanno rivelato poche evidenze di danni dovuti all’esposizione alle onde elettromagnetiche a radiofrequenza. E non potevamo che aspettarci questo, perché non si è voluto considerare che un ratto vive in media 12 mesi, al massimo due anni, mentre un essere umano può essere esposto a onde elettromagnetiche ogni giorno per oltre 50-70 anni (se si tralascia l’infanzia)

Ha suscitato parecchio clamore la notizia che un giudice del tribunale di Ivrea abbia riconosciuto l’invalidità, dovuta all’insorgenza di un tumore benigno al cervello, a un dipendente di un’azienda che per anni ha fatto uso del cellulare per ragioni lavorative. Per la prima volta, quindi, si è riconosciuto il nesso causale tra l’utilizzo del telefonino e l’insorgenza di patologie.
Come spesso accade in un paese in cui tutti diffidano di tutti, gli scienziati dei giudici, i politici degli scienziati e i giudici dei politici, in una sorta di gioco sasso-carta-forbici dove tutti vincono e perdono allo stesso tempo, ciò che ne viene fuori è una gran confusione per coloro che non appartengono a queste tre categorie e vorrebbero restar fuori dal gioco, ovvero la stragrande maggioranza della popolazione.
Qualche appartenente alle tre professioni suddette ha anche tirato nella mischia i giornalisti, colpevoli di enfatizzare notizie poco scientifiche e diffondere esagerato allarmismo nella popolazione. La sentenza, infatti, è giunta poco dopo la messa in onda della puntata di Report (Rai 3) riguardante i dati causati dai vaccini. Non è mancata ancora una volta, ad libidum, la netta presa di posizione della senatrice a vita Elena Cattaneo che ha definito l’inchiesta giornalistica inaccurata e pretestuosa, nonostante fosse stata semplicemente messa in luce una serie incontestabile di effetti collaterali dovuti ai vaccini (non la loro validità in sé), e che ha tacciato di ciarlataneria i giudici che sentenziano sui nessi causali di stili di vita e malattie.
Non vorrei dilungarmi in oziose polemiche che già alimentano la scena quotidiana del salotto a quattro composto da, appunto, giornalisti-politici-giudici-scienziati, ma in quanto appartenente all’ultima categoria e, ad libidum anche nel mio caso, un po’ alla prima, mi sento in dovere di esprimere a tutti coloro esenti da questo gioco di forze, a volte un po’ meschino e deplorevole, una sorta di confortante rassicurazione: se vi sembra di non capire dove sta la ragione, la colpa non è vostra.
Forse, a volte, i giornalisti esagerano nell’enfatizzare le notizie, i giudici eccedono nel sacrosanto principio di precauzione, gli scienziati si intromettono troppo o troppo poco nelle vicende che interessano la società e i politici cercano ogni scusa per accumulare consensi. In ogni caso, il cittadino interessato dalle questioni che lo riguardano personalmente si ritrova a navigare in un buio coacervo di opinioni non supportate dai fatti.
Ha ragione, ad esempio, la Cattaneo quando dichiara che non è possibile stabilire un nesso causale tra l’esposizione a un pericolo e l’insorgenza di una malattia che ha molteplici concause. Questo è un noto problema statistico dovuto all’incertezza della correlazione tra due variabili (una dipendente e l’altra indipendente). Questa inaccuratezza può, però, essere rimossa andando a valutare l’effetto delle altre concause sulla conseguenza. Se pian piano queste risultano poco significative, ecco che emergerà la principale variabile causale dell’evento. Pertanto, se non si può essere sicuri della causalità, ma vi sono elementi di allarme, il compito di chi si occupa di tutelare la salute è quello di avviare l’analisi delle concause, regolamentando precauzionalmente quelle più probabili. Non a caso, in ogni non-letto manuale di istruzioni presente nelle confezioni di smartphone e cellulari viene consigliato l’utilizzo dell’auricolare o del telefono a una distanza minima dall’orecchio di 5 cm. Le aziende produttrici applicano meglio dei politici il principio di precauzione!
Ha ragione ancora la Cattaneo, non siamo certi che l’utilizzo eccessivo dei telefonini causi l’insorgenza di tumore al cervello. Ma non lo siamo perché, sino ad ora, gli studi scientifici non hanno mostrato risultati significativi.
Il problema sta proprio qui e la senatrice-ricercatrice, da ferrea sostenitrice della sperimentazione sugli animali, si guarda bene dal dirlo. Gli studi realizzati sino ad ora su topi e ratti di laboratorio hanno rivelato poche evidenze di danni dovuti all’esposizione alle onde elettromagnetiche a radiofrequenza. E non potevamo che aspettarci questo, perché (oltre ai noti problemi di intrasferibilità da una specie all’altra di molti effetti fisiologici, motivo principale, oltre a quelli bioetici, per cui la sperimentazione su animali non-umani è priva di senso) non si è voluto considerare che un ratto vive in media 12 mesi, al massimo due anni, mentre un essere umano può essere esposto a onde elettromagnetiche ogni giorno per oltre 50-70 anni (se si tralascia l’infanzia).
Questo errore metodologico e sperimentale è stato, solo per citare uno tra i tanti casi, il motivo per cui si è tardato (e in molte parti del mondo, come in Canada, Brasile e Russia, ancora si accenna al rischio) a riconoscere gli effetti cancerogeni dell’amianto e dei materiali contenenti asbesto. Se pur sperimentalmente fai vivere un ratto per due anni immerso nelle fibre d’amianto, questo potrebbe non sviluppare mai asbestosi, mesotelioma pleurico, etc. Perché l’amianto non causa il tumore? No, semplicemente perché ha bisogno di 30-60 anni per svilupparsi, quindi il ratto muore naturalmente prima che possa insorgere qualunque patologia.
Di recente mi ha sorpreso la totale assenza di preoccupazione della popolazione e del governo russi in merito all’utilizzo abbastanza diffuso di tettoie in amianto in città e villaggi. Effettuando un po’ di ricerche ho persino scoperto che la città di Asbest, nei pressi della più nota Ekaterinimburg, alimenta la quasi totalità dell’economia locale e sostiene una gran fetta di mercato nazionale con l’estrazione da cava, la produzione e la vendita interna ed estera (prevalentemente verso i Paesi in via di sviluppo) di amianto. Mi ha fatto, però, riflettere molto l’intervento di un ricercatore che durante un convegno sui conclamati rischi dell’amianto, alla domanda sul perché i cittadini russi non si preoccupano, ha risposto laconicamente: «Considerato che le malattie causate dall’esposizione all’asbesto richiedono un tempo d’insorgenza che va dai 30 ai 60 anni e che l’aspettativa di vita media degli uomini russi è tra le più basse al mondo, non vedo perché dovrebbero preoccuparsi».
Agghiacciante, ma vero. Che lezione se ne può trarre, pertanto, in merito al caso della sentenza di Ivrea? Semplice: non potremo dimostrare la cancerogenicità dell’uso prolungato del cellulare se continueremo a sperimentare su specie diverse dall’uomo e che vivono molto meno di quanto un’esposizione di decenni possa risultare nell’insorgenza di una malattia.
L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato i campi elettromagnetici come «sospetti agenti cancerogeni». Il problema, però, non sta solo nel potenziale cancerogeno, ma nella dose di esposizione come tutti coloro che lavorano nel settore bio-medico sanno, ma qualcuno che lavora nel campo politico-scientifico tende a ignorare.
Se il cellulare provoca il cancro o no non sarà una senatrice, un giudice o un giornalista a dircelo e nemmeno un singolo scienziato con le sue personali idee e convinzioni (che mai, per assioma epistemologico, possono essere veramente oggettive), sarà una comunità di ricercatori che, con i giusti metodi sperimentali (e le ricerche sugli animali non-umani evidentemente non lo sono), potrà far luce sui rischi. Intanto, però, se fossi in voi crederei più alla bona fide del giudice di Ivrea, che nel peggiore dei casi non avrà fatto del male a nessuno (risarcimenti inclusi), ma nel migliore vi avrà salvato la vita, che agli esperimenti su ratti e topi e alle opinioni di chi fa scienza tra i banchi del Senato, che nel migliore dei casi avrà solo mostrato l’idiosincrasia della sperimentazione sugli animali da laboratorio e nel peggiore vi avrà colposamente rassicurato su una malattia che, se avrete una vita mediamente lunga e farete un uso scorretto del telefonino, potrebbe come minimo infastidire il vostro sistema nervoso centrale. Almeno quanto si infastidisce il mio ogni qual volta leggo le certezze rassicuranti di scienziate donatesi alla politica, che si tratti di vaccini, Ogm, esperimenti sugli animali, nucleare, biotecnologie o di qualunque altro rischio scientificamente poco studiato. Ma non sorge loro mai il dubbio che queste certezze che diffondono dalle colonne dei quotidiani nazionali siano davvero utili a tutelare la salute e l’ambiente di coloro che sono stati chiamati a rappresentare?

 

Roberto Cazzolla Gatti, Ph.D., Biologo ambientale ed evolutivo, Professore associato in Ecologia e Biodiversità, Tomsk State University, Russia