Una presenza che ha imposto a livello comunitario una restrizione al suo utilizzo, restrizione che nel 2006 ha visto l’Unione europea introdurre limitazioni all’uso dell’Acido Perfluorottansolfonico (Pfos), una delle molecole più diffuse tra i Pfas, da applicarsi a cura degli Stati membri
È stato pubblicato il rapporto «Non ce la beviamo» di Greenpeace in cui vengono presentati i risultati di un monitoraggio condotto dall’associazione sulla presenza di Sostanze perfluoro alchiliche (Pfas) nell’acqua potabile di alcune zone del Veneto.
Ma cosa sono i Pfas?
I Pfas sono composti che, a partire dagli anni Cinquanta, si sono diffusi in tutto il mondo, utilizzati per rendere resistenti ai grassi e all’acqua tessuti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti ma anche per la produzione di pellicole fotografiche, schiume antincendio, detergenti per la casa.
Come conseguenza però dell’estensiva produzione e uso dei Pfas e delle loro caratteristiche chimiche questi composti sono stati rilevati in concentrazioni significative nell’ambiente e negli organismi viventi.
Una presenza che ha imposto a livello comunitario una restrizione al suo utilizzo, restrizione che nel 2006 ha visto l’Unione europea introdurre limitazioni all’uso dell’Acido Perfluorottansolfonico (Pfos), una delle molecole più diffuse tra i Pfas, da applicarsi a cura degli Stati membri.
Ora, per le acque potabili tuttora però non sono ancora definiti e non esistono limiti di concentrazione nella normativa nazionale ed europea.
Per il Veneto nel 2013, e in precedenza nel 2007 grazie ad uno studio pubblicato su Analytical and Bioanalytical Chemistry, una ricerca sperimentale su potenziali inquinanti «emergenti», effettuata nel bacino del Po e nei principali bacini fluviali italiani dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dal Ministero dell’Ambiente, ha segnalato la presenza anche in Italia di Pfas in acque sotterranee, acque superficiali e acque potabili.
La pubblicazione del rapporto di Greenpeace ha messo in evidenza questa situazione, stato portato alla luce andando ad effettuare campionamenti di acqua potabile in diciotto scuole primarie e sette fontane pubbliche nelle province di Vicenza, Verona, Padova e Rovigo.
Quello che ha messo in evidenza lo studio è che in più della metà dei campioni effettuati sono stati superati i valori di Pfas ritenuti sicuri per la salute in Svezia e Stati Uniti.
Questo dato è ancora più grave visto che gran parte dei superamenti riguarda le scuole e i bambini sono tra i soggetti più a rischio.
Inoltre nel campione di acqua prelevato presso la scuola di San Giovanni Lupatoto, un comune non incluso nella zona a maggiore contaminazione, è stato addirittura superato, seppur di poco, il livello di Pfos consentito nell’acqua potabile in Veneto.
I cittadini potenzialmente esposti alla contaminazione da Pfas attraverso l’acqua potabile sono oltre 800mila.
E metà delle scuole analizzate superano i limiti di sicurezza previsti in altri Paesi.
Un problema quello dell’inquinamento da Pfas che in Veneto, e questo a causa degli scarichi di industrie chimiche locali, è noto già da anni, ma le misure di tipo sanitario adottate dalla Regione Veneto sono doverose ma evidentemente non sufficienti a risolvere il problema e soprattutto a proteggere la popolazione dai rischi della contaminazione.
Quello che emerge dallo studio è che i Pfas sono un problema serio e che è necessaria una rapida riconversione industriale di tutti quei processi responsabili dell’inquinamento diffuso.
Qui è possibile scaricare il rapporto