Due tendenze determinate dal matrimonio

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Proprio sulla scorta del diverso andamento percentuale dei matrimoni tra giovani provenienti da altri paesi e giovani nativi del luogo, si evidenziano comportamenti diversi fra le zone di forte immigrazione e quelle «chiuse» o di emigrazione. Nonostante l’ampia casistica di situazioni particolari e le molteplici diversità sia geografiche, sia economico-sociali che contraddistinguono le province pugliesi, paiono evidenziabili, anche se in maniera volutamente semplificata, due andamenti di fondo. Le diverse realtà sembrano riconducibili a due tendenze.

– La prima tendenza, ad elevata mobilità al matrimonio, accomuna la «città», le zone del latifondo a coltivazione estensiva, i porti, le zone paludose. È il tipico comportamento delle zone di immigrazione.
– La seconda tendenza, a bassa mobilità al matrimonio, accomuna le zone di collina e a coltura diversificata, le zone relativamente prospere o tali almeno da garantire un certo sostentamento, se non il benessere, agli abitanti dei centri isolati e tagliati fuori, per la loro posizione geografica, da importanti vie di comunicazione. È questo il comportamento delle zone chiuse all’immigrazione e che in alcuni casi si trasformano in bacini di emigrazione.
Di particolare interesse sono i casi ad alta mobilità al matrimonio. In questa tendenza, rientra senza dubbio la città o il grosso centro come polo di attrazione del circondario. Foggia come Taranto, benché la tipologia della città fosse diversa, così come l’economia e i rapporti di produzione (città interna e legata al sistema estensivo-pastorale la prima, marittima e commerciale la seconda), avevano in comune una forte mobilità, una grossa presenza di forestieri che celebravano le nozze in città.
La città sosteneva la propria densità di popolazione, manteneva in attivo il saldo nati-morti e registrava un ritmo di accrescimento grazie al flusso immigratorio dalla campagna.
Con tassi di mortalità notevoli (per le cattive condizioni igieniche) e un indice di affollamento elevato (che consentiva la rapida diffusione delle epidemie), l’eccedenza delle nascite, necessaria a controbilanciare il deficit delle città, doveva per forza di cose provenire dalle zone rurali e da territori più o meno lontani, in dipendenza dalle possibilità di lavoro che il grosso centro poteva offrire e in dipendenza dalle condizioni di vita delle zone di provenienza.
Nelle «zone del grano», è il caso di Foggia, ma anche di San Severo, Orsara, Castelvecchio, la mobilità era alta. Le forti aliquote di forestieri indicano certo la necessità di sopperire allo spopolamento della Capitanata, ma quello che risulta interessante sono i meccanismi con cui avveniva lo stanziamento di una parte di quei salariati stagionali che alimentavano la corrente immigratoria. Nella demografia di Capitanata aveva un peso sostanziale il desiderio dell’uomo forestiero di scegliersi la moglie nella zona in cui l’offerta di lavoro era più alta.
Proprio per evitare «un involontario ed impuro celibato. Questo barbaro costume che ha reso più rare le nozze», i giovani immigrati cercavano di trasformare l’immigrazione stagionale in definitiva. Quello che contava nel determinare lo scarto d’età al matrimonio non era tanto che si trattasse di migrazioni stagionali o definitive, ma che i forestieri maschi fossero giovani e potenzialmente alla ricerca di moglie. Lo squilibrio uomini-donne in Capitanata era massimo nel momento in cui gli uomini della nuova generazione dovevano pensare a sposarsi, ne risultava un accesso al matrimonio estremamente facile per le donne. Grosse erano le percentuali di matrimoni tra forestieri celibi e donne residenti nubili, ma una volta rotto l’equilibrio maschi-femmine nella popolazione residente, per la massiccia presenza maschile, una volta esaurita la compagine delle nubili in età matrimoniale, l’immigrato attingeva tra le vedove. E numerose erano le vedove foggiane che si risposavano con celibi stranieri e molto più giovani d’età.
In determinate circostanze l’attrazione rappresentata da una donna, non più giovane, magari vedova, ma proprietaria di terre, poteva superare anche le aspirazioni di tipo per così dire romantico, e che avesse già figli non era importante visto che potenzialmente costituivano forza-lavoro. Comunque il giovane immigrato poteva riflettere sul fatto che una donna di 30 o 40 anni gli avrebbe dato meno figli da mantenere di una diciottenne, il che era importante in una popolazione che come contraccezione al più usava il coitus interruptus e che tra i mezzi adottati per ridurre la natalità elencava l’aborto e l’infanticidio.
Nascere donna voleva dire, in alcune zone della Capitanata, avere con sicurezza il destino di sposarsi e risposarsi; nella pianificazione familiare dei giovani immigrati era troppo importante e ricercata la figura femminile. È comunque da sottolineare, come caratteristica portante della Capitanata, che nella struttura della popolazione ben pochi erano i celibi e le nubili; il celibato domestico era pressoché inesistente e la vita media degli uomini era bassa.
Perché gli equilibri demografici tra zone rurali e agglomerati urbani potessero mantenersi inalterati, si verificava un flusso migratorio dagli altipiani e dalle zone povere oltre che verso la città, anche verso le zone paludose. Nel periodo preindustriale, ma in Puglia fino a tempi molto recenti, esistevano zone rurali poco salubri, erano le zone paludose prive di un sistema di drenaggio e dove diffusissima era la malaria. Vaste zone della Capitanata, come Varano, Carpino, Ischitella e Zapponeta, ancora all’Unità, non erano bonificate.

– Emigrazione e nuove motivazioni

 

Giovanna Da Molin, Professore Ordinario di Demografia Storica e Sociale, Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione; Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»