Si sa poco, specie per il Settecento, degli emigranti meridionali. È dunque interessante tentare di aprire uno spiraglio su questa realtà demografica ma soprattutto umana, per avere, in particolare, un’idea della mobilità della popolazione rurale, dei salariati, dei contadini pugliesi e delle loro condizioni di vita.
Connesso ad altre fonti, l’utilizzo precipuo dei registri parrocchiali ed in particolare di quelli di matrimonio, permette di evidenziare alcune peculiarità delle correnti migratorie preunitarie.
Le tre suddivisioni amministrative della Puglia tra fine Seicento e primo Ottocento (Capitanata al nord, Terra di Bari al centro e Terra d’Otranto al sud) corrispondevano, in sostanza, a fondamentali distinzioni economiche, sociali e culturali. Quasi tre «storie» contraddistinguevano le tre province. A rendersene conto erano, già nel Settecento, quanti avevano tentato una prima descrizione del Regno di Napoli. Anche le descrizioni lasciate dai viaggiatori di quei tempi aiutano a individuare elementi che, secondo sensibilità diverse, caratterizzavano, in un modo o nell’altro, aree economicamente, oltre che amministrativamente, tra loro differenti. Ma sarebbe riduttiva un’analisi dell’andamento demografico e della mobilità che le consideri distinte al punto da ritenerle quasi mondi a sé e separati.
Dall’esame dei paesi di provenienza degli sposi, desumibili dagli atti di matrimonio, è evidenziabile, per larga parte del Settecento, un diverso comportamento del bracciantato agricolo passando da una provincia all’altra. Delle tre province pugliesi quelle che sembrano legate più strettamente fra loro sono la Capitanata e la Terra di Bari. La prima come zona di immigrazione, la seconda come zona di espansione migratoria bracciantile. In Terra d’Otranto, pur presente una piccola aliquota percentuale di emigrazione verso la Capitanata, la corrente immigratoria pare compensarsi con quella emigratoria.
In Capitanata i centri di afflusso erano quelli di forte produzione cerealicola: San Severo, Foggia, Cerignola, Ascoli Satriano, Lucera, ecc.; la massa migrante vi si spostava al tempo dei lavori di semina, di mietitura e trebbiatura.
In Terra di Bari i centri di immigrazione erano, in linea di massima, quelli dell’alta Murgia barese (Spinazzola, Gravina, ecc.) zone a produzione granaria estensiva. La provincia barese riversava il sovrappiù di popolazione attiva sottoccupata nelle province contermini di Capitanata e Basilicata.
In Terra d’Otranto la zona di maggiore immigrazione era il Brindisino per la zappatura delle vigne. Nei paesi in cui era prevalente la coltura dell’ulivo i maggiori flussi di immigrazione, provenienti dalla parte meridionale della provincia, coincidevano con il tempo del raccolto, mentre la parte settentrionale della stessa costituiva una sacca di emigrazione di stagionali (mietitori e trebbiatori) in partenza per la Capitanata e la Calabria. I dati disponibili per il 1820, danno un’idea del fenomeno che avvalora e continua quanto già detto per il trend settecentesco.
La Capitanata, in particolare, si evidenziava come zona di grossa immigrazione, fatto che, peraltro, è documentato ancora all’Unità d’Italia. La Terra d’Otranto registrava una forte mobilità, i salariati partivano e arrivavano continuamente.
È bene ribadire che si trattava di migrazioni interne, infatti, almeno fino ai primi del Novecento, le emigrazioni estere e transoceaniche dalla Puglia, non avevano un peso rilevante rispetto a quelle di breve raggio.
– Immigrazione e «ripopolamento»
Giovanna Da Molin, Professore Ordinario di Demografia Storica e Sociale, Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia, Comunicazione; Università degli Studi di Bari «Aldo Moro»