Un rogo che non è solo una tragica notizia

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incendio boschi
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Esaminare le cause e le azioni di contenimento dell’uomo può aiutarci ad evitare che si ripeta altrove. Le responsabilità politiche di favorire una monocoltura di Eucalipto. Una prevenzione inesistente e non aggiornata secondo i moderni criteri di intervento. L’Italia non offre un modello organizzativo migliore. L’uso sapiente del fuoco per ridurre i combustibili nelle aree a rischio

Favorito da temperature estremamente elevate, superiori a 40°, ed innescato verosimilmente da un fulmine, un catastrofico incendio ha devastato il 17 giugno 2017 la regione di Leiria nel centro del Portogallo, a circa 160 km a N di Lisbona e 20 a Sud di Coimbra, nella zona di Castanheira da Peira, Pedrogao Grande e Figueiró dos Vinhos.
Il Portogallo il più piccolo stato della Ue, con una superficie territoriale di appena 8.908.893 ettari (ma con il più elevato indice di boscosità, pari al 35,4% nel 2013) è sistematicamente devastato dal fuoco: nel 2016 un incendio con superficie percorsa superiore a 26.000 ettari si è verificato nella regione Nord (Arouca e comuni vicini) e incendi catastrofici hanno devastato l’isola di Madeira, nell’Oceano Atlantico.

L’incendio più grave della storia

Il Portogallo è al primo posto nella classifica Eu per gli incendi: dal 1990 al 2012 2,5 milioni di ettari sono andati in fiamme: soltanto nel 2003, l’annus horribilis per il paese, circa l’8% della superficie forestale è andata perduta. Si stima che dall’inizio del secolo in corso il Portogallo abbia perduto, per vari motivi tra cui gli incendi, circa il 24,5% della sua superficie forestale, ponendosi al quarto posto a livello mondiale dopo Mauritania (perdita del 99,8% dal 2000), Burkina Faso (99,3%) e Namibia (31%).
Incendi con incidenti mortali sono purtroppo abbastanza frequenti, il più grave, per numero di vittime, fino ad oggi era quello verificatosi nel 1966 a Sintra, con il decesso di 25 soldati impegnati nelle operazioni di spegnimento.
L’incendio del 17 giugno è considerato dagli esperti il più grave nella storia del Portogallo e dell’Ue e tra i più disastrosi a livello mondiale, per numero di vittime in un unico evento e per il modo in cui il loro decesso è avvenuto: 64 morti e circa 254 feriti, molti dei quali in condizioni critiche. Di essi, 47 hanno perso la vita cercando di fuggire in auto dalle fiamme che avanzavano con una velocità incredibile, e restando intrappolati in un breve tratto della Estrada National 236-1, in cui il calore delle fiamme ha letteralmente sciolto l’asfalto ed i pneumatici.Il servizio Effis dell’Eu ha calcolato che sono stati percorsi non meno di 30.000 ettari di foresta.
La catastrofe si è verificata in un territorio dal rilievo tormentato, con valloni più o meno profondamente incisi, abitato da piccole comunità, nella maggior parte con meno di 100 abitanti, lontane dai centri abitati più importanti. In esso il primitivo minuto mosaico di terreni coltivati, alternati a lembi del bosco originario di latifoglie, è stato negli ultimi decenni profondamente mutato da una politica che ha favorito le grandi imprese produttrici di pasta per cellulosa e carta, produzione che da sola rappresenta il 3% del Pil portoghese.

La monocoltura di Eucalipto

La politica ha favorito e incentivato l’espansione della monocoltura di Eucalipto, che si è diffusa occupando ogni spazio utile del territorio ed arrivando a lambire i centri abitati, con una copertura pressoché continua ed ininterrotta, occupando terreni a vario regime di proprietà tra cui minuscole proprietà fondiarie incapaci di fornire reddito agricolo e pertanto spesso in abbandono per effetto di un imponente fenomeno di de-ruralizzazione. In questo caso, la coltura dell’Eucalipto, con redditi interessanti e a breve ciclo, è una alternativa all’abbandono per mancanza di mezzi.
Secondo il 6° Inventario forestale nazionale, l’Eucalipto (soprattutto Eucalyptus globulus) è attualmente la specie predominante nel paese occupando un’area di 812.000 ha (circa il 10 della superficie territoriale complessiva), seguito dal sughero con 737.000 ha, e dal pino marittimo con 714.000 ha. La vasta diffusione dell’Eucalipto è dovuta all’incremento di volume molto sostenuto (nell’ordine di 20-24m3/ettaro/anno, circa 3-4 volte quello massimo registrato nel nostro paese) favorita dal clima oceanico, tendenzialmente umido e non eccessivamente severo del paese.
Tuttavia nelle particolari condizioni estive del Portogallo (temperature elevate, bassa umidità relativa, estrema ventosità per la particolare condizione geografica), l’Eucaliptus rappresenta una massa di combustibile ad elevato rischio: è particolarmente elevata la capacità di provocare incendi secondari anche a km di distanza dal fronte, provocando una miriade di punti di innesco e quindi la diffusione erratica ed imprevedibile dell’incendio.
La nostra stampa nazionale ha quasi ignorato l’evento, limitandosi a commentarlo in modo banale, disinformato e superficiale, spesso («Gazzetta del Mezzogiorno» del 18 giugno 2017) dedicando ampio spazio all’uso dei mezzi aerei tipo Canadair, di fatto profittando dell’evento per presentarli come il rimedio elettivo per fronteggiare il rischio di incendi.

Un campanello d’allarme

In realtà l’incendio di Pedrogao Grande è un preoccupante campanello d’allarme: come già puntualmente indicato da Eei in un recentissimo rapporto sul cambiamento climatico (European Envirnoment Institute, 2017) si è verificato in condizioni meteo inconsuete, all’inizio dell’estate, funesto presagio delle situazioni che si consolideranno in un futuro abbastanza prossimo (anticipo dell’inizio della stagione degli incendi e suo allungamento di qualche settimana, secondo i paesi). Ha interessato aree di interfaccia, dove lo spazio naturale e quello urbano si intersecano e si fronteggiano e dove le difficoltà di estinzione aumentano.
Ma soprattutto conferma l’incapacità e l’inadeguatezza dell’organizzazione difensiva tradizionale, basata sull’intervento di emergenza (nel linguaggio tecnico internazionale definito suppression model) di operare efficacemente sugli eventi estremi, quelli cioè con intensità e caratteristiche che eccedono totalmente le capacità operative, fissabili per convenzione in valori di intensità del fronte di fiamma superiori a 10.000 kW/m.
Nel caso in questione, l’intervento di personale e mezzi per fronteggiare l’emergenza è stato imponente e abbastanza tempestivo, così come imponente è stato l’uso dei mezzi aerei. In zona sono arrivati ad operare 24 tra aerei ed elicotteri, compresi 3 Canadair inviati da Francia, 2 da Spagna e 2 dall’Italia nell’ambito dell’Eu Civil Protection Mechanism a seguito di richiesta formale del Portogallo. Malgrado la grancassa mediatica sul loro impiego, la mancanza di visibilità dovuta alla impenetrabile coltre di fumo che copriva tutto il teatro operativo, ne ha fortemente ridotto l’operatività. Alle 20:30 del giorno stesso erano già intervenuti 180 vigili del fuoco, con 52 automezzi e due mezzi aerei. Nei giorni successivi fino a 2.000 persone, tra pompieri e militari hanno operato sulle fiamme, ma non hanno evitato il disastroso bilancio di vittime. L’incendio è stato dichiarato estinto il 24 giugno 2017, dopo una settimana dall’insorgenza.

L’inesistente prevenzione

L’allarme è pervenuto con ritardo, per effetto dei danni che l’incendio aveva provocato alle linee telefoniche, alla rete elettrica e alle stazioni radio base per le comunicazioni con telefoni mobili. I minuscoli centri abitati non erano difesi da strutture passive quali fasce parafuoco, non avevano punti di raccolta sicuri. Nella zona devastata dal fuoco nulla era stato fatto in termini di prevenzione: pur vivendo in area ad alto rischio, le comunità locali erano impreparate all’evento, non avevano nozione di procedure di emergenza; di qui la decisione abbastanza ovvia di tentare la fuga con esiti tragici.
Molte delle vittime erano turisti che si trovavano in zona per il fine settimana e che sono stati sorpresi dalle fiamme durante una fuga in auto, disordinata e senza meta, lungo una strada nazionale che passa all’interno di un’ampia zona boscata, inopinatamente lasciata aperta al traffico per mancanza di mezzi e soprattutto di inadeguatezza delle comunicazioni. Tra le vittime, molti abitanti delle piccole comunità locali che hanno tentato la fuga a piedi, con esito tragico. Al contrario, nessuna vittima tra quanti si sono rifugiati nelle proprie abitazioni (in pietra). Di fatto, le collettività locali hanno dovuto letteralmente inventarsi procedure di emergenza per salvare la vita, come quella di rifugiarsi in serbatoi dell’acqua.
In molti casi le opere di prevenzione selvicolturale ai boschi che circondano da ogni parte, erano state omesse, come conseguenza dello stato di crisi che ha attanagliato il paese dal 2011 e che ha determinato tagli di spesa dell’ordine di 83 miliardi di euro.
L’evento conferma, nella sua complessa dinamica e nei suoi esiti, che gli incendi nello spazio rurale non possono essere efficacemente combattuti soltanto con modalità emergenziali, minimizzando i tempi di intervento e facendo confluire uomini e mezzi con la maggiore rapidità possibile. E’ un modello operativo sul quale si appuntano le crititiche dei più autorevoli specialisti a livello mondiale: esso agisce sugli effetti e non sulle cause del fenomeno e, per quanto evoluto tecnologicamente, il dispositivo, basato sull’uso massiccio dell’acqua come mezzo estinguente, ha dei limiti operativi che non possono essere ulteriormente migliorati. Esso agisce con efficacia sugli incendi di modesta entità, ma è di fatto impotente di fronte agli eventi estremi come quelli in questione, che sfuggono al controllo e raggiungono superfici ragguardevoli.
Le statistiche delle superfici percorse, nella stragrande maggioranza dei paesi coinvolti, si caratterizzano pertanto per il bilancio disastroso causato da una esigua minoranza di eventi che, ponendo in crisi il meccanismo difensivo, determinano ampie superfici percorse. Così, in Portogallo, nel 2016, circa il 52% dell’area percorsa da incendi è il risultato di soli 22 eventi che hanno superato cadauno 1.000 ettari di superficie percorsa (0,2% dei casi totali). Le cifre dimostrano che non si sono verificati cambiamenti di tendenza, nonostante gli investimenti cospicui nel dispositivo di intervento.

Una lezione anche per l’Italia

Qual è la lezione appresa, riferita al nostro paese? Nella lotta contro gli incendi l’Italia utilizza un meccanismo tipicamente emergenziale, facendo molto affidamento sui mezzi aerei, ma investendo poco nella prevenzione, che si limita soprattutto all’attuazione di divieti stagionali. Il fenomeno incendi non è adeguatamente studiato nel quadro della riduzione del rischio, la maggioranza dei cittadini lo conosce per i banali luoghi comuni quali l’autocombustione, legata a temperature elevate; l’azione dei piromani; la mitizzazione dei mezzi aerei, ed è assolutamente impreparata ad una evenienza di incendi estremi che non è remota, ma purtroppo potenzialmente reale soprattutto nelle zone meridionali del paese, ad alto rischio.
La lotta contro gli incendi ripropone in Italia (come nella maggior parte dei paesi del Sud della Eu), modalità messe a punto all’inizio del secolo XX negli Usa, sotto l’influenza dell’allora dominante pensiero forestale francese e tedesco, acriticamente fatte proprie negli anni 60 dal Corpo forestale dello Stato, quando gli incendi hanno cominciato ad essere una preoccupante realtà, senza adeguarle alla gestione del rischio.
Si aggiunge oggi una situazione organizzativa difficile, per effetto dello scioglimento del Corpo forestale dello Stato e dal suo assorbimento da parte dell’Arma dei Carabinieri, cui si aggiunge la situazione di inadeguatezza in termini di mezzi di molte regioni, recentemente denunciata dal capo della Protezione Civile (6 Regioni, di cui alcune a rischio come la Basilicata, non dispongono di alcun mezzo aereo, per cui fanno affidamento sulla flotta aerea nazionale che però, per limiti strutturali, non assicura tutti gli interventi richiesti in caso di emergenza contemporanea e diffusa su tutto il territorio nazionale).
Come uscire da questa situazione, che finora non ha, fortunatamente, determinato nel nostro territorio situazioni catastrofiche come quella de Portogallo?
Il problema non si affronta attraverso il miglioramento tecnologico né quello in risorse umane, ma con un cambio graduale e radicale di prospettiva. Maggiore attenzione alla prevenzione, all’informazione di quanti vivono in territori a rischio e alla loro formazione per rendere le comunità capaci di un ruolo attivo nella difesa, superando l’attuale situazione per cui nessuno fa nulla fidando nell’aiuto tempestivo dello Stato, senza impegnarsi nemmeno negli interventi di prevenzione minimi a difesa del proprio spazio vitale.
Si tratta quindi di preparare il territorio e chi vi abita, diffondendo la cultura della riduzione del rischio. Non si tratta di teorie astratte, ma di criteri proposti dall’innovativo concetto di Fst (Fire Smart Territitory) messo a punto da Tedim et al. nel 2015. Nell’ambito di un progetto in corso in Portogallo (progetto Firextr, cui lo scrivente partecipa) la creazione di una situazione di Fst è in atto proprio nel Comune di Arouca, come zona pilota: è il comprensorio ad alto rischio dove, nel 2016, il fuoco ha percorso oltre 26.000 ettari.
Volendo sintetizzare il lavoro, si tratta di promuovere la resilienza del territorio e di chi vi abita per creare, attraverso opportune forme di integrazione, non le condizioni per intervenire più efficacemente ad estinguere un incendio in corso, ma per rendere difficile l’insorgenza dell’evento e, in caso di sua occorrenza, renderlo incapace di assumere le caratteristiche, la veemenza e gli altri caratteri che possono porlo al di fuori delle capacità operative del servizio di estinzione (intensità estrema, alta velocità di propagazione, molteplicità di focolai secondari).
Si tratta, tra l’altro, di ridurre globalmente la presenza di combustibile nello spazio, articolando e coordinando tutti gli interventi che di routine vengono effettuati dalle normali pratiche agricole, di cogliere gli aspetti benefici dell’uso sapiente del fuoco per ridurre i combustibili nelle aree a rischio (uso del fuoco prescritto), di superare l’attuale criminalizzazione nell’uso del fuoco per coglierne gli aspetti positivi, evidenziati da un progetto Ue (FireParadox) che ha rappresentato una pietra miliare per il settore. Non trascurabile il recupero della tradizionale Tek (Traditional Ecological Knowledge), cioè la tradizionale capacità degli abitanti delle zone rurali di usare il fuoco come mezzo di contrasto agli incendi (per esempio capacità di realizzare il controfuoco, unico intervento capace di ostacolare un incendio estremo). Un cambiamento epocale, soprattutto in termini di percezione della complessità del problema e di accettazione, ma l’unico in grado di realizzare il nuovo paradigma di riferimento, quello di coesistere con il fuoco.