Aspettiamo il deserto o s’interviene prima?

870
Tempo di lettura: 5 minuti

La siccità e il forte caldo stanno facendo emergere problemi drammatici che si aggiungono ai cambiamenti climatici. Alle note deficienze strutturali per le nostre forniture di acqua potabile o per irrigazione si aggiunge il cuneo salino, una seria minaccia per tutte le falde freatiche costiere e per la produttività dei terreni agricoli

– Il Mediterraneo evapora e diventa più salato

La lunga siccità che sta interessando da svariati mesi il nostro Paese ha finalmente acceso i riflettori sul problema acqua, problematica non solo legata al prosciugamento di laghi e fiumi, ma anche all’invasione dell’acqua marina sia nelle falde freatiche sia lungo le foci dei fiumi (vedi il caso del fiume Po).

Quest’ultimo è un problema molto serio, probabilmente maggiore della penuria e del razionamento delle acque nelle nostre case, un problema che Accademia Kronos pose all’attenzione delle autorità e del pubblico già 12 anni fa (il cuneo salino).

Procediamo per gradi, affrontando per prima, in modo sintetico, la questione dell’acqua che usiamo in Italia rispetto agli altri Paesi del mondo.
L’impronta idrica in Italia, ovvero la quantità d’acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi, è pari a circa 6.300 litri pro capite al giorno. Siamo i primi in Europa e i terzi nel Mondo, dopo Usa e Canada; a distanza ci seguono Germania, Giappone, Francia e Olanda.
Tuttavia, sebbene il cittadino italiano sia mediamente molto attento all’igiene personale, non è lui reo di tanto consumo, la percentuale di consumo d’acqua per uso domestico si assesta intorno al 16% del totale. Il «vero colpevole» è l’agricoltura che usa il 60% della disponibilità d’acqua complessiva, seguita a distanza dall’industria, che non supera il 24%.
A tutto ciò poi si aggiunge la questione delle inefficienti reti idriche, che si stima, secondo Utilitalia (la federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente), abbiano perdite dalla sorgente all’utenza finale intorno al 40%… ovviamente ci sono situazioni migliori, ma anche peggiori! Sempre secondo Utilitalia per risolvere il problema servirebbero investimenti per 5-6 miliardi, in media 35 euro ad abitante.

Fin qui abbiamo preso confidenza con i numeri, ma non basta, il problema, che purtroppo i nostri mass media e i nostri politici sembrano sottovalutare, è invece il cuneo salino, una seria minaccia per tutte le falde freatiche costiere e per la produttività dei terreni agricoli.
Ma cos’è questo cuneo salino? In termini tecnici significa l’intrusione di acqua marina dentro gli strati acquiferi di acqua dolce causata da processi naturali o da attività umane. L’intrusione marina è provocata dalla diminuzione del livello d’acqua dolce negli acquiferi costieri o dall’aumento del livello d’acqua marina che sale all’interno della costa trasformando l’acqua dolce in acqua salmastra. Problema analogo si riscontra nelle foci dei fiumi quando la portata d’acqua dolce verso il mare diminuisce sensibilmente e l’acqua salata può risalire parte del fiume rendendo inutilizzabile tale risorsa per l’agricoltura. Basta una piccola contaminazione di acqua marina per rendere inutilizzabile l’acqua a scopo agricolo e potabile. Con valori di salinità ancora maggiori inevitabile l’impatto anche sull’ambiente, fino ad arrivare alla modifica della stessa chimica dei suoli (Darwish et al., 2005; Qi & Qiu, 2011) nonché danneggiando gli ecosistemi costieri e la flora locale (Saha et al., 2011).

Mentre il problema delle foci dei fiumi contaminate dalle acque marine è in gran parte dovuto a fenomeni naturali o di crisi climatica, la questione del cuneo salino nelle falde acquifere di costa è in gran parte colpa dell’uomo. L’eccessivo sfruttamento dei pozzi infatti può rompere l’equilibrio tra alimentazione naturale e prelievo, provocando così una forte diminuzione della pressione dell’acqua dolce in uscita verso il mare, al punto da non riuscire più a compensare la spinta meccanica in uscita. Inevitabile, quindi, la risalita dell’acqua salata. In Puglia si conoscono pozzi distanti alcuni chilometri dalla costa inutilizzabili perché contengono ormai acqua salmastra. Ma non è solo la Puglia a denunciare il fenomeno, sono molte altre regioni adriatiche a soffrirne. Nell’area costiera veneziana, la Confagricoltura fa notare che l’attività agricola-orticola, rappresentante una delle più importanti fonti dell’economia locale, è messa in serio pericolo dal processo di contaminazione salina.
Sul versante tirrenico la situazione non è drammatica come su quello adriatico, tuttavia non c’è da stare allegri, dalla Campania alla Toscana sono molti i casi registrati di flusso d’acqua salata nei corpi acquiferi di costa. La regione che ne soffre di più è la Liguria; significativo l’intervento, in una recente riunione tecnica, sul problema della siccità da parte del presidente regionale della Coldiretti, Gerolamo Calleri: «La linea dell’emergenza è proprio dietro l’angolo, l’inverno ha avuto un andamento anomalo con tanta acqua in montagna quando, invece, era necessaria la neve, e oggi ne stiamo pagando le conseguenze. A preoccupare maggiormente è il cuneo salino nell’albenganese. Non bisogna mai dimenticare che Albenga era paludosa, la falda è ricca d’acqua e, quando manca quella dolce, per il principio dei vasi comunicanti entra quella marina che brucia le colture. Meno acqua di falda c’è più il mare entra all’interno. Un disastro sia per le colture a cielo aperto, sia per fiori e aromatiche in serra. Ma ci sono anche problemi per gli ortaggi, la Piana è rinomata per zucchine trombetta e pomodori cuore di bue, varietà che hanno bisogno d’acqua. E siamo appena ad inizio stagione…».

La desertificazione del Mediterraneo

In tutto questo i climatologi e i geologi di Accademia Kronos sono preoccupati sul problema della desertificazione, che sta assumendo un’importanza crescente nei Paesi del bacino del Mediterraneo e in particolare in Spagna, Grecia e Italia.
Secondo una stima realizzata dai Servizi tecnici nazionali, aree «mediamente sensibili» e «molto sensibili» alla desertificazione in Italia sono rintracciabili soprattutto in Sicilia, Sardegna, Basilicata e Puglia, ma anche in altre regioni, seppur in modo più lieve.
Le cause di desertificazione qui in Italia sono molteplici e vanno dalle variazioni climatiche (con prolungati periodi di siccità) alla diminuzione delle aree boschive e agli incendi, dalla diminuzione delle portate medie dei corsi d’acqua alla salinizzazione dei suoli, fino all’eccessivo sfruttamento dei terreni per un’agricoltura troppo aggressiva e intensiva.

Le cause dell’inquinamento salino possono essere così sintetizzate:
1) La prima, rischiosa per i pozzi situati in prossimità della costa, risiede nel fenomeno dell’intrusione marina nelle terre emerse, per cui acque salate penetrano, formando un vero e proprio cuneo al di sotto delle acque dolci sotterranee.
2) La seconda è la risalita lungo gli alvei dei fiumi delle acque marine sotto quelle fluviali, per cui le prime contaminano quelle fluviali e quelle di falda con cui vengono in contatto.
3) La terza è la lisciviazione di terreni e rocce. Il flusso idrico sotterraneo contribuisce a solubilizzare, in determinate condizioni idrogeologiche, sostanze che incrementano la salinità delle acque sotterranee.
4) La quarta è imputabile all’attività umana e si realizza secondo i modi più vari. Ad esempio, gli alti tassi di cloruri riscontrati in alcune acque di falda possono essere messi in relazione con gli scarichi di consistenti allevamenti zootecnici. Si può distinguere il tipo d’inquinamento salino antropico in industriale, civile, agricolo e zootecnico.

Le soluzioni

Ovviamente non tutto è perduto, ci sono ancora margini d’intervento per evitare la catastrofe: per prima cosa è necessario rivedere regolamenti e leggi regionali che autorizzano la perforazione dei suoli in prossimità delle coste per realizzare pozzi artificiali; a tal proposito si ricorda che in Italia vige, oltre ai regolamenti e alle leggi regionali, la legge nazionale n.36 del 5/1/1994, la quale stabilisce che tutte le acque, profonde e superficiali (escluse quelle piovane) sono pubbliche e pertanto gli usi produttivi (non domestici) devono essere assoggettati a concessione. Pertanto chi possiede un pozzo deve essere in possesso di concessione. Per scavarne uno nuovo è necessaria la richiesta e l’approvazione della concessione appropriata, in cui si specifica l’utenza e la portata massima consentita.
È necessario bloccare o limitare nuove richieste di apertura pozzi, se in prossimità del mare (a distanze variabili, fino a 1 o 2 km dalla linea costiera), valutando anche la composizione geologica del terreno e la portata accertata della vena d’acqua sotterranea. Inoltre vanno vietate e sanzionate irrigazioni di coltivazioni agricole durante le ore più calde della giornata.

Si calcola che più di un quarto dell’acqua sparata sui campi nelle ore di massima calura si disperde nell’aria come evaporazione. Le annaffiature, se strettamente necessarie, durante giorni di calura dovranno essere autorizzate solo all’alba o al calar del Sole.

Poi ci sono interventi più efficaci capaci di riportare l’equilibrio tra acque dolci di falda in uscita verso il mare e acque marine pronte a risalire in falda. L’Atena Consulting, una delle società verdi associate ad Accademia Kronos, ha progettato tra il 2010 e il 2011 una rete di dissalatori ad energia solare aventi lo scopo di fornire acqua dolce alle coltivazioni in prossimità delle coste e rimpinguare le falde acquifere (al fine di evitare ulteriori intrusioni di acqua marina nei terreni costieri). Tale progetto è rimasto nel cassetto, tuttavia è ancora valido oggi e si può applicare nelle regioni italiane a rischio desertificazione.