Una storia che si svolge in un piccolo triangolo di terra e in un arco temporale lunghissimo; una storia che riguarda cedri e limoni, i primi pomi citrini che abbia mai conosciuto l’Europa prorompendo con la scoperta di un arancio amaro prima e poi dolce, che non pochi grattacapi ha provocato per le scienze naturali, soprattutto la botanica
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«Storie di agrumi e paesaggi. I pomi citrini dello Sperone d’Italia» è un libro scritto da Nello Biscotti, docente, dottore di ricerca in Geobotanica, botanico, ricercatore, impegnato nello studio dei paesaggi vegetali, ed edito da Edizioni del Rosone con il contributo del ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf).
Tante le pubblicazioni di Nello Biscotti e tra queste Ambiente ed educazione ambientale. La didattica ambientale. Idee ed esperienze dalla scuola, edite con Schena editore, Brindisi, 1996; Padre M. Manicone. Un dimenticato naturalista del 700, con Gerni editore, 1997; Gargano terra di viaggi e peregrinazioni, con Ed. Quaderni del Parco, 2000; Botanica del Gargano, vol. I, II, con Gerni Editore, 2001; I frutti dimenticati e biodiversità recuperata, con Ispra, Roma, 2010; Botanica delle erbe eduli. Peregrinazioni Fitoalimurgiche dal Gargano alle Puglie, Edizioni Centro Grafico, Foggia, 2012; e con «Villaggio Globale» in e-book.
Quella raccontata nel libro «Storie di agrumi e paesaggi» è la storia di una piccola comunità pugliese divisa tra Vico, Rodi Garganico e Ischitella, sul Gargano. Una comunità che si fa grande costruendo un paesaggio con gli agrumi, oggi tra i più notevoli paesaggi rurali storici italiani. Un caso di studio per conoscere uno spaccato dell’Italia agricola e dei suoi modelli produttivi, oggi conosciuti come agricolture tradizionali, interessati da decenni da un inarrestabile abbandono, con conseguenze che oggi paghiamo in termini di degrado del paesaggio e della sua funzionalità ecologica, di perdita di biodiversità e di risorse agricole.
Ma questo di Biscotti è anche un lavoro colto, pieno di riferimenti storici, di fonti, di dati agricoli, di riferimenti colturali. Può essere ben definito un punto fondamentale della storia del Gargano che nasconde dati e scoperte scientifiche uniche che meriterebbero una rivisitazione ampia e ripetuta seguendo i vari filoni di cui l’arricchisce l’Autore.
Un lavoro notevole che per alcune specie ha ricostruito il percorso colturale tracciando le fila di rapporti storici e commerciali.
Gli Agrumi del Gargano sono stati, per anni, i più conosciuti nell’ambito europeo e mondiale. Dalla seconda metà dell’800 fino agli anni 30 del 900, non vi era nazione al mondo dove non erano presenti questi prodotti. Dopo questa data si registra però solo il vuoto, l’oblio. Anche se molto è andato perduto, a partire dal 2000 si è innescata una lenta e costante riscoperta di questi frutti antichi. Proprio di riscoperta si tratta perché, oltre a quei prodotti italiani ad Indicazione geografica protetta (Igp), tante altre sono le realtà presenti in questo paradiso della biodiversità. L’essere l’areale agrumicolo più a Nord d’Italia, avere una maturazione tardiva rispetto al resto degli agrumi delle altre regioni, l’essere restati al di fuori dall’insediamento delle nuove varietà agrumicole, ha permesso che questi prodotti siano «unici» nel panorama agrumicolo mondiale. Numerose sono quindi le varietà sviluppatesi naturalmente in questo paradiso tutto da scoprire.
Perché «Storia di agrumi e paesaggi» lascia pensare alla scrittura di una vera e propria sceneggiatura e di sicuro potrebbe esserlo visto che i protagonisti sono reali, uomini, donne, famiglie che hanno dedicato la propria esistenza alla domesticazione di piante che hanno origini in terre lontane muovendo i loro passi tra alberi particolari, gli agrumi per l’appunto, che producono frutti speciali cercati, apprezzati, custoditi, impreziositi. Storie di uomini, di speranze e di sacrifici, di abitudini alimentari basate sugli agrumi di cure e di estrazioni di oli, di esperimenti e successi purtroppo perduti e dimenticati.
Quei frutti che, per questa comunità, hanno costituito «cibo ordinario» e soprattutto «zecchini» e da qui il detto: «radici di giardini, radici di zecchini» dove i giardini sono i frutteti di agrumi e rappresentano il luogo dove si scrive la storia di una comunità che ha vissuto in un Italia che oggi tra la televisione, i media in generale, evidentemente non ha voglia di raccontare.
Un paesaggio che si fa storia grazie ad una sua propria identità territoriale, un disegno che è il risultato di una lunga e lenta interazione di uomini con il proprio ambiente; un ambiente difficile, quello del Gargano, fatto di solchi vallivi, dossi, vallecole, versanti rupestri, e di un clima particolare vista la sua vicinanza al mare.
Quei giardini che hanno sorpreso, per qualità estetica, regnanti, viaggiatori, pittori e che non sono sfuggiti a quella che è stata la prima ricognizione scientifica del paesaggio italiano pubblicata dal Touring Club Italiano (Sestini, 1963).
Un isolamento totale quello che ha vissuto la comunità che ha animato questa terra e che lontana dallo Stato, dalle istituzioni scientifiche, dalla cultura economica e politica, è stata capace di esprimere quella che si può chiamare solidarietà sociale mettendo in campo tutti gli strumenti che hanno permesso che questi frutti speciali potessero essere, per tanti anni, prodotti d’esportazione in tutto il mondo.
Una solidarietà che con il passare del tempo il Gargano non ha più saputo mettere in atto…
Una storia che si svolge in un piccolo triangolo di terra e in un arco temporale lunghissimo; una storia che riguarda cedri e limoni, i primi pomi citrini che abbia mai conosciuto l’Europa prorompendo con la scoperta di un arancio amaro prima e poi dolce, che non pochi grattacapi ha provocato per le scienze naturali, soprattutto la botanica.
Una storia che affronta la scelta dell’agrumicoltura italiana nella sua ferma volontà di aprirsi alle nuove specie e cultivar americane e soprattutto, spagnole, con le quali si pensava di risolvere le ripetute crisi di mercato e che di fatto hanno rappresentato il blocco di antiche e caratteristiche produzioni.
Una situazione alla quale la piccola realtà agrumicola garganica ha risposto invece con l’abbandono.
E allora si abbandona non solo una coltura, ma anche un territorio, una storia e si dà spazio al silenzio dell’emigrazione prima oltreoceano e poi in Belgio, Germania, Torino, Milano.
Una storia, tutto sommato, come tante accadute in altre realtà agricole italiane e soprattutto del Meridione.
Un libro che racconta gli «antichi agrumi» del Gargano, un Promontorio che si protende nel Mare Adriatico con tutti i pro, clima mite, e i contro, esposizione ai venti di tramontana, che questo comporta; una terra pietrosa, arida più per ragioni geologiche che per mancanza di pioggia, senza acqua che circola in superficie ma che si perde nelle viscere della terra. Ma il Gargano è anche quella terra in cui si ha una preziosa singolarità idrogeologica che fa sì che in una piccola area del Promontorio, una quota infinitesimale di quell’acqua sotterranea torni in superficie attraverso piccole e magre sorgenti che alimentano poi un rigagnolo d’acqua, l’unico perenne del Gargano, conosciuto come il Torrente Asciatizzo, peculiarità questa che, nel passato, coadiuvata a lungimiranza, sogno, ambizione, scommessa, necessità ha permesso di creare faticose sistemazioni idraulico-agrarie necessarie per adattare il progetto ad un territorio complesso, fragile e sensibile.
Lavori senza capitali, canalette di scolo, baulature con alberate nei coltivi di pianure, muretti a secco, ciglioni nelle zone montane, tutte opere preziose che per secoli hanno preservato i territori italiani da frane e alluvioni, argomenti oggi tristemente noti alle cronache giornalistiche.
Un patrimonio di conoscenze e abilità agronomiche, oggi di grande valenza scientifica, da conoscere e studiare per non essere disperso in alcun modo. I contadini sono stati, di fatto, i soli che hanno avuto a che fare con la risorsa suolo, e hanno imparato a comprenderlo, gestirlo e predisporlo alle coltivazioni, operazioni queste che erano indissolubilmente legate ad una sistematica, periodica manutenzione delle opere che con l’abbandono è venuta meno esponendo tutta la fragilità dei suoli collinari e montani del Gargano e della penisola intera.
Quello di cui si ha bisogno oggi è ristabilire nuovi equilibri, gli stessi che i contadini hanno creato impiantando tutte quelle sistemazioni idraulico-agrarie dopo l’avvenuto disboscamento necessario per avviare, in principio, la pratica agricola.
L’abbandono e il degrado dei paesaggi agrari, la banalizzazione della vegetazione, l’avanzamento di formazioni di vegetazioni transitorie che favoriscono gli incendi, il degrado delle sistemazioni idraulico-agrarie sono le dirette conseguenze che l’abbandono dell’agricoltura tradizionale ha determinato in Italia.
E in un’Italia fragile sono tanti i paesaggi da salvare, 136 per l’esattezza sono gli agrari storici, prioritariamente da tutelare in Italia e questo secondo il Catalogo del Paesaggio Rurale Storico Italiano.
E per gli agrumeti di Vico, Rodi ed Ischitella ormai tanti sono i riconoscimenti dall’Unione europea (marchio Igp) al ministero dell’Agricoltura (paesaggio storico), al mondo scientifico, ma i frutti continuano a marcire e gli alberi continuano ad invecchiare.
Riempiamo le nostre scuole di macchinette, che distribuiscono anche acqua da bere perché l’acqua del rubinetto non è gradita, e questo perché rappresentano la modernità da seguire a tutti i costi, e non proponiamo alternative come organizzare escursioni in queste terre per raccogliere arance e farci, in compagnia, spremute con arance «garganiche».
Terre abbandonate, forse molto ricche di storia che comunque pochi riescono a raccontare ma abbandonate, questo quello che i giovani di oggi vedono.
Di fatto c’è che l’agrumicoltura garganica è un patrimonio unico, specie e diversità specifiche che risuonano nei luoghi, nel paesaggio, nelle opere di anziani giardinieri che nei secoli hanno tramandato la salvaguardia della biodiversità.