Il rapporto, elaborato dall’Istituto di ricerca indipendente olandese Somo in collaborazione con Merian Research (Berlino), tenta di fare luce sull’assetto societario di Miteni, l’azienda chimica di Trissino ritenuta dalle autorità locali la fonte principale dell’inquinamento da Pfas in una vasta area del Veneto
E mentre il presidente del Veneto Luca Zaia ha chiesto, in relazione all’allarme provocato dalle Sostanze perfluoro alchiliche (Pfas), la deliberazione dello Stato di emergenza con poteri commissariali, Greenpeace pubblica il rapporto «Emergenza Pfas in Veneto, chi inquina paga?».
Il rapporto, elaborato dall’Istituto di ricerca indipendente olandese Somo in collaborazione con Merian Research (Berlino), tenta di fare luce sull’assetto societario di Miteni, l’azienda chimica di Trissino ritenuta dalle autorità locali la fonte principale dell’inquinamento da Pfas in una vasta area del Veneto.
Quelle che ruotano intorno alla vicenda sono circostanze contraddittorie, decisamente singolari, che lasciano ampi varchi a facili risposte.
Pensiamo infatti alla situazione finanziaria della Miteni che, dal 2009, fa parte del gruppo International chemical investors group (Icig) a sua volta controllato dalla holding lussemburghese Ici Se, che, alla fine del 2016, aveva in cassa più di 238 milioni di euro ma che sempre alla fine del 2016 aveva appena 6,5 milioni di euro di attivo, una cifra modesta se paragonata ai soli costi per il rifacimento degli acquedotti che la Regione Veneto stima in 200 milioni di euro.
Pensiamo anche ad alcuni dirigenti della presente e della passata gestione di Miteni che risultano indagati, dalla Procura di Vicenza, per reati ambientali e nel caso venissero confermate le ipotesi di reato a carico dell’azienda la stessa è tenuta a coprire i costi delle bonifiche e altre richieste di risarcimento.
E poi pensiamo ancora all’acquisto dell’azienda da parte dell’attuale proprietà Miteni che ha più volte sostenuto di non essere responsabile dell’inquinamento, riconducendolo alle precedenti gestioni, e di non essere a conoscenza dei gravi rischi ambientali connessi al sito di Trissino e questo pur sapendo che la vendita della società da parte di Mitsubishi ad Icig è avvenuta per solo 1 euro, a fronte di un valore superiore ai 33 milioni e che nel bilancio 2009, durante la gestione Icig, Miteni abbia fatto riferimento all’implementazione di una barriera idraulica, peraltro già attiva dal 2005, «secondo i programmi concordati con le autorità locali».
Una barriera idraulica che rappresenta un’importante tecnica di bonifica in siti inquinati dove la contaminazione può interessare direttamente le falde acquifere.
Insomma tutti interrogativi, evidenziati nel rapporto, che fanno ben pensare che tutti sapessero dell’inquinamento, e non solo Miteni ma anche tutte le autorità locali.
Comunque di certo i dati pubblicati da Greenpeace indicano che Miteni versa in una situazione finanziaria estremamente difficile e dovrebbe essere escluso che l’azienda, se condannata, possa risanare questo territorio e risarcire i suoi cittadini per i danni sanitari e ambientali di un inquinamento che coinvolge più di 350mila persone… da qui il titolo del rapporto «Emergenza Pfas in Veneto, chi inquina paga?».
Un’inchiesta giudiziaria che sta facendo il proprio corso e che nel contempo richiede misure necessarie, da parte della Regione Veneto, volte a censire e bloccare tutte le fonti di inquinamento da Pfas, adottare livelli di sicurezza di Pfas nell’acqua potabile in linea con i valori più restrittivi vigenti in altri Paesi, varie ed eventuali.