Liberata un’orsa da un cavo d’acciaio

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Si tratta di un laccio tipicamente usato dai bracconieri. È accaduto nel settore laziale del Parco dove il bracconaggio impera. Una interrogazione parlamentare svela la verità su manipolazioni, errori e fallimenti di una vicenda traboccante di chiacchiere e vuota di fatti

La scorsa notte il personale del Parco d’Abruzzo, nel territorio del Comune di Campoli Appennino, ha catturato una femmina di orso con un laccio al collo. L’orsa è stata liberata dal laccio, curata e rilasciata… Alla fine dello scorso mese di Novembre era stata segnalata al personale del Parco la presenza di un individuo di orso che presentava attorno al collo un cavo d’acciaio… Si tratta di una femmina di orso, di oltre 10 anni e del peso di circa 80 Kg. Il quadro rilevato dal veterinario e il trattamento effettuato (rimozione laccio, pulizia e disinfezione locale e terapia generale), hanno permesso l’emissione di una prognosi favorevole, risolvibile in 2-3 settimane, e quindi l’animale è stato rilasciato sul posto di cattura, con intensificazione del monitoraggio foto-video per valutare l’evoluzione… Il Servizio di sorveglianza ha inviato la notizia di reato alla Procura di Cassino, competente per territorio…

L’orsa liberata, come denunciato in un estratto del Comunicato del Parco, è una femmina in età riproduttiva. Ma questo ennesimo criminale episodio non certo isolato non fa che confermare, sottolinea il Gruppo Orso Italia, ancora una volta la mancanza di un valido presidio del territorio. La presenza di un animale vagante nei boschi, con un cavo d’acciaio che rischia di strangolarlo, non è qualcosa che passi inosservato, e la tortura si è protratta per quasi un anno prima che il problema fosse risolto. Scoperto e segnalato come nella quasi totalità degli oltre cinquanta orsi assassinati dal 2002 ad oggi, per merito di naturalisti, escursionisti e frequentatori non locali, che magari erano capitati per caso da quelle parti. Cosa dire, allora, del silenzio omertoso di coloro che sapevano? Possiamo stare tranquilli che, ancora una volta, i colpevoli resteranno impuniti? Spunteranno i soliti tribuni, pronti a predicare che il dramma dell’Orso marsicano, di cui l’Italia dovrebbe vergognarsi, non è colpa della caccia incivile?

Superando i problemi che la cronaca ci sottopone periodicamente, giunge un’ interrogazione della Senatrice Paola Nugnes (M5S) che pone un discorso più ampio sull’sull’Orso bruno marsicano. I metodi seguiti per attrarre, sfruttare e tormentare i poveri plantigradi vengono messi apertamente in discussione. Da diciassette anni sull’Orso si sfoga ogni appetito baronale-accademico, becero-politicoide, mediatico, populistico, tecno-burocratico, in un Paese che vede negli animali soltanto divertenti giocattoli. Per capire qualcosa sul plantigrado era sufficiente leggere l’unico libro che ne abbia approfondito la realtà, «Orso vivrai». E interpellare coloro che, anziché illudersi di capire l’Orso studiandolo a tavolino, quel «pacifico eremita vagabondo» lo conoscono davvero.

L’Interrogazione ricorda l’allarme a suo tempo lanciato da Franco Tassi, Direttore storico del Parco nazionale d’Abruzzo: «Nessuno comprende perché mai tutte le iniziative, che in passato avevano avuto grande successo (Campagna alimentare, Operazione in bocca all’Orso e Progetto Mela-Orso), siano state abbandonate a partire dalla Primavera 2002, e poi sostituite con tattiche disastrose, e con metodi di attrazione e dissuasione francamente assai discutibili».
Ma lo stesso Tassi aveva segnalato più volte anche un’altra emergenza, esplosa con crescente intensità negli ultimi anni: la mancanza di controllo e presidio del territorio. Un tempo il Parco veniva costantemente pattugliato non solo dalle Guardie, ma anche da motivatissimi Volontari, pronti a scoprire, segnalare e contrastare ogni abuso o anomalia… Ma oggi? «L’afflusso continuo, nei rifugi estremi dell’Orso marsicano, di gente di ogni tipo, curiosi, escursionisti, fotografi, ecc., assedia sempre più il plantigrado, creando disturbo intollerabile, soprattutto alle femmine con piccoli. Una situazione dannosa, soprattutto nel periodo autunnale in cui l’animale assume cibo abbondante, per superare indenne il periodo del sonno invernale. L’eco-turismo che accorre in un Parco Nazionale per ammirarne la fauna è positivo, perché mantiene vivi paesini di montagna altrimenti destinati all’abbandono: ma questo amore per la natura non deve trasformarsi in un abbraccio tanto stretto, da soffocarla. Per questo esistono le Aree Faunistiche, in cui si ammirano e fotografano animali in pericolo che, una volta salvati e curati, non avrebbero potuto essere liberati: ma che continuano a vivere in ambienti seminaturali, offrendo così a tutti, come “ambasciatori” della propria specie, l’occasione di un raro incontro illuminante».
Speriamo che domani, quando l’Italia si sveglierà dal sonno della ragione, e saprà finalmente ascoltare il battito del cuore, queste creature innocenti, oggi maltrattate e perseguitate, potranno continuare a frequentare le loro terre, dove erano vissute per migliaia di anni.