In questo territorio, in queste montagne, in queste campagne, in questi paesi, in queste comunità, facciamo i conti con sistemi complessi, formatisi nel tempo con un susseguirsi di stratificazioni storiche, sociali, politiche, culturali, antropologiche, difficilissimi da governare
Annibale Formica è stato un precursore sensibile della necessità di «riattivare» i piccoli Comuni, sempre attento alle necessità culturali e di vita delle popolazioni e fine interprete della gestione amministrativa e applicazione delle leggi amministrative nella Pubblica amministrazione
Ho partecipato il 21 settembre scorso, a San Paolo Albanese, al focus tematico «Trasporti e mobilità», organizzato nell’ambito della Strategia per l’area interna del Mercure – Alto Sinni – Val Sarmento. Seguo con molto interesse il dibattito sulle aree interne da diversi anni e presto tutta l’attenzione che serve alle questioni che vengono poste, trattandosi del mio paese e della mia comunità di appartenenza, della Valle del Sarmento e del mio territorio di riferimento, del Parco nazionale del Pollino e del mio luogo di impegni culturali, professionali, civili, politici.
Preparando, nel 2013, il documento di «Piano della Performance» dell’Ente Parco nazionale del Pollino, ho proposto in programma, tra gli obiettivi da perseguire, anche la previsione della elaborazione di una ipotesi progettuale per lo «Sviluppo delle aree interne, “protette”». Condividendo, infatti, le linee di indirizzo contenute nel documento del Dipartimento per lo Sviluppo e la Coesione Sociale: «Un progetto per le Aree Interne. Un-progetto-per-le-aree-interne-15-dicembre-roma.pdf Note per la discussione» introduttivo dei lavori del seminario «Nuove strategie per la programmazione 2014-2020 della politica regionale: le aree interne», tenutosi a Roma il 15 dicembre 2012, sentivo mio dovere occuparmi, in tale ambito, di un’iniziativa che riguardasse la più grande area protetta del Mezzogiorno d’Italia.
Mi sono prodigato, poi, d’intesa con la Regione Basilicata, ad organizzare sulla «Programmazione comunitaria 2014-2020 e reti interregionali», il 12 novembre 2014, a Rotonda, con i sindaci dei comuni calabresi e lucani del Parco, un incontro «finalizzato alla identificazione dei fabbisogni e delle conseguenti possibili azioni per lo sviluppo locale e per l’accesso ai servizi di cittadinanza dei due versanti del Pollino».
Nella foto di Annibale Formica il Massiccio del Pollino
Pur cessati i miei compiti di direttore del Parco, ho continuato ad interessarmi e a seguire le iniziative sulle aree interne, avviate dalla Regione Basilicata. Ho, perciò, colto la possibilità di partecipare all’incontro territoriale «Viabilità/Trasporti» e «Istruzione/Scuola», svoltosi a San Costantino Albanese, il 18 marzo 2015. Mi sono potuto rendere, così, disponibile anche a compilare un questionario, distribuito nell’occasione, per «l’ascolto dei testimoni privilegiati dell’Area Mercure, Alto Sinni, Val Sarmento».
Nel questionario ho scritto del declino demografico, sociale, economico e territoriale dei Comuni della Val Sarmento e delle comunità insediate, troppo piccole e deboli, e dell’urgenza di consolidare le attività umane esistenti. Tra le priorità, ho evidenziato, la necessità di svolgere lavori di manutenzione del territorio, di valorizzare le risorse naturali e culturali con azioni specifiche e di qualità, di mettere non solo «in valore» ma anche «in funzione» i beni e servizi esistenti per renderli fruibili, di rivitalizzare i luoghi e i contenitori abbandonati, vuoti, in disuso, di mettere in rete le imprese del settore agricolo-zootecnico, alimentare, gastronomico e turistico che già ci sono.
Nell’indicare tali interventi ho segnalato l’importanza di accompagnare tali lavori con un’accorta ricerca sociale sul campo, con un’analisi dei processi sociali e culturali che si sviluppano sul territorio, con la individuazione dei nessi stretti che legano la soggettività sociale alle «culture» locali. Tanto più se occorre, poi, produrre innovazione e dare vita a nuove imprese, utilizzando il Parco nazionale del Pollino non solo come fattore identitario e di eccellenza, ma anche come mezzo, come «dispositivo di cambiamento». È stato da parte mia un richiamo a vecchi paradigmi divenuti nel tempo, attraverso le diverse esperienze maturate, convincimenti profondi.
Ora che, dopo tanti anni di gestazione, è stata approvata anche la legge sui piccoli comuni, la Strategia nazionale per le Aree Interne ha un altro strumento per diventare la via più prossima ad una modificazione radicale dei destini delle nostre comunità: «una di quelle rivoluzioni silenziose – come le chiama Annibale Salsa, antropologo, esperto di cultura alpina – piccole perché realizzate dal basso, capaci di coinvolgere le persone, in grado di smuovere i muri e restituendo forza all’identità dei luoghi»; «un modo di guardare alle aree interne con lo sguardo di chi vuol cambiare, uscendo dall’isolamento, con la visione di chi vuole investire nel futuro, coinvolgendo la comunità locale e innestando nuove idee».
Puntando lo sguardo sulle persone, in effetti, si ha modo di scoprire risorse, difficilmente valutabili sotto l’aspetto economico; sono un «capitale umano» carico di maestrie, di «saper fare», di esperienze culturali profonde. In questi termini si ha il senso fecondo dell’idea di sviluppo locale e dell’azione da svolgere, che è prima di tutto di promozione umana e culturale. Così si può dare la garanzia della piena «cittadinanza» e, contestualmente, della promozione economica, sociale e culturale. Attraverso le persone, i cittadini, i rappresentanti nelle istituzioni si può riscoprire e rigenerare la «comunità». E la «Strategia» prende corpo e dà il via ad un processo diffuso di coinvolgimento, di corresponsabilizzazione e di condivisione che, a mio avviso, è l’unica condizione di compatibilità e di coerenza, l’unica modalità praticabile per ottenere risultati utili. Serve un confronto aperto sulla realtà, un lavoro di campo. Bisogna mettere in piedi un partenariato permanente con i portatori di interesse collettivo del territorio e creare le condizioni affinché tutti possano partecipare in modo attivo e collaborativo sia alla definizione della Strategia, sia alla individuazione degli interventi da realizzare.
La Pietraia del Sarmento (foto di Annibale Formica)
Le politiche europee di coesione, ora, dopo la riforma del 2013, indirizzano verso obiettivi puntuali, capaci di scegliere ed attuare gli interventi «nei luoghi e con le persone», come dice Fabrizio Barca, facendo della Snai un caso di studio per l’Europa. È anche il modo più efficace per le comunità locali, in un’area protetta, di acquisire la sana consapevolezza delle risorse naturali e culturali che posseggono e promuoverne la gestione e la valorizzazione. In questo territorio, in queste montagne, in queste campagne, in questi paesi, in queste comunità, facciamo i conti con sistemi complessi, formatisi nel tempo con un susseguirsi di stratificazioni storiche, sociali, politiche, culturali, antropologiche, difficilissimi da governare.
E «per governare la complessità bisogna farsi le domande giuste – sostiene Alessandro Cavrera, autore, con altri, di “Così si vince la complessità” ed esperto di formazione e di management di aziende -. Dare autonomia e senso di scopo alle persone – sostiene Cavrera – contribuisce a generare “engagement” (coinvolgimento)». Sostiene anche che occorre «attrezzarsi per un qualunque futuro», focalizzando la «capacità di sopravvivere e competere in qualsiasi scenario» e di osservare l’evoluzione di un contesto da una molteplicità di punti di vista. «In sostanza, farsi la domanda giusta piuttosto che adottare acriticamente quella che consideriamo essere la risposta giusta».
È proprio ciò che serve a San Paolo Albanese, il più piccolo comune della Basilicata con i suoi attuali 270 abitanti, pari a 9 abitanti per kmq di territorio, per combattere, come dice la legge, appena approvata, e salvare, finalmente, i piccoli borghi dallo spopolamento e dall’estinzione.