La comunità scientifica non esita a definire la situazione cui assistiamo come «sesta estinzione di massa» nella storia del pianeta, sottolineando che la rapidità di sparizione delle specie è maggiore di quella documentata nei cinque grandi cicli di estinzione planetaria del passato… La situazione è ormai così grave che si sta alterando anche la chimica dell’oceano, con un forte impatto sulla vita marina e il funzionamento degli ecosistemi marini. L’oceano ha già assorbito oltre l’80 per cento del calore aggiunto al sistema climatico e circa il 33 per cento dell’anidride carbonica
È stato presentato a Roma il libro «Effetto serra, effetto guerra» edito da Chiarelettere e scritto dal fisico climatologo Antonello Pasini dell’Istituto sull’inquinamento atmosferico del Consiglio nazionale delle ricerche (Iia-Cnr) e dal diplomatico italiano Grammenos Mastrojeni.
Un volume che contiene analisi e dati sui mutamenti climatici, posti in relazione con le principali dinamiche geopolitiche, in particolare con migrazioni e guerre. Perché vedere il problema dell’immigrazione e dei conflitti da parte del clima è una prospettiva inedita ma determinante. I cambiamenti climatici influiscono sulle migrazioni e sulle crisi internazionali e più il deserto avanza più le ondata migratorie aumentano e più cresce il pericolo di guerre.
Continue ondate migratorie aprono scenari a cui non eravamo preparati prima e che paiono il preludio a esodi di interi popoli che si muovono da aree che hanno tutte qualcosa in comune ossia un clima che cambia, un deserto che avanza e che sottrae terreno alle colture mettendo in ginocchio le economie locali.
Clima e guerre, clima e terrorismo… una correlazione di elementi dove risulta difficile tracciare una precisa concatenazione di cause ed effetti ma che sembra indicare una cosa ben precisa ossia la presenza di un clima che cambia e che contribuisce al disagio e all’aumento della povertà di intere popolazioni, esposte più facilmente ai richiami del terrorismo e del fanatismo.
Un disequilibrio mondiale in cui l’Italia è in prima linea per la sua posizione avanzata nel Mediterraneo quasi a creare un corridoio di soccorso.
Una situazione complessa spiegata da un climatologo e un diplomatico che hanno preso la penna e sono giunti alle stesse conclusioni: se abbandoniamo i più poveri da soli alle prese col cambiamento climatico, non solo facciamo finta di non capire ciò che ci insegnano la moderna scienza del clima e l’analisi geopolitica ossia che siamo tutti sulla stessa barca e che i problemi sono interconnessi e hanno una dinamica globale, ma lasciamo anche crescere un bubbone di conflittualità che prima o poi raggiungerà pure noi.
Perché prendere coscienza dei rischi di un clima impazzito è l’unica chiave di lettura di questa situazione globale e può favorire un’operazione di pace, integrazione e giustizia di portata inedita.
Di seguito alcuni passi significativi tratti dal libro…
– E se «effetto serra» facesse rima con «effetto guerra»? Cosa potrebbe comportare, sul piano geopolitico ed economico, il cambiamento climatico (così come molte altre alterazioni ambientali)? La comunità internazionale si è resa finalmente conto del problema e lo prende sul serio: oggi il legame fra riscaldamento globale, pace e migrazioni è trattato dal G7, dalle Nazioni Unite, dall’Unione europea, dalla Banca Mondiale e dagli stati, anche se ci sono voluti molti, troppi anni. Sono 79 i conflitti per i quali il centro studi tedesco Adelphi, in un’indagine commissionata dal G7, ha individuato cause climatiche. Negli ultimi dieci anni, i disastri naturali hanno colpito 1,7 miliardi di persone e ne hanno uccise 700.000. Dal 2008, una media di 26,4 milioni di persone all’anno sono state spinte a migrare da calamità naturali. Circa l’80 per cento di questi disastri è collegato al clima: in questo arco di tempo i disastri climatici hanno causato in media più di 100 miliardi di dollari di perdite economiche all’anno, una cifra che si prevede raddoppi entro il 2030.
– Siccità molto prolungate mettono già oggi a rischio l’agricoltura di sussistenza che viene praticata in tanti paesi poveri. Può tutto ciò innescare conflitti e creare migrazioni? Vi sono chiaramente altre cause di vario tipo, ma il driver climatico forse ci mette lo zampino. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), che si basa anche su dati dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il cambiamento climatico potrebbe ridurre la produzione agricola fino al 30 per cento in Africa e al 21 per cento in Asia entro il 2050.
– La perdita globale di reddito si situa intorno ai 50 miliardi di euro all’anno, concentrata nelle aree più deboli. In queste aree, l’erosione della biodiversità si deve a diffuse pratiche di sfruttamento insostenibile dei territori. In questa prospettiva, la perdita di biodiversità assume una portata socio-economica drammatica. Già oggi la malaria si comincia a trovare in zone che fino a pochi anni fa ne erano esenti. La diffusione di alcune specie di zecche, della zanzara tigre asiatica e di altri vettori aumenta nelle nostre zone il rischio di insorgenza di morbi quali la malattia di Lyme, l’encefalite da zecche, la febbre del Nilo occidentale, la dengue, la chikungunya e la leishmaniosi.
– La responsabilità del riscaldamento globale, almeno negli ultimi decenni, va ascritta all’emissione di gas serra da uso di combustibili fossili e da uso della terra (in particolare alla deforestazione). Inoltre, se aumenta la temperatura di mari e oceani e si fondono i ghiacci che sono ubicati sui continenti, il livello del mare si alza. Un articolo del «Los Angeles Times» del 25 gennaio 2016 titolava America’s climatere fugee crisis hasal ready begun (In America la crisi dei rifugiati climatici è già cominciata). Vi si nota come nella sola Alaska le alluvioni aggravate dai cambiamenti climatici e l’erosione delle coste interessino già 180 villaggi, con il rischio imminente di inabitabilità per 31 di essi. L’entità delle popolazioni dislocate dall’innalzamento del livello del mare potrebbe costare fino a 11,7 trilioni di dollari. Città come Boston, New York, New Orleans e Miami sono a rischio e le prime avvisaglie ci sono già, con l’erosione di diverse isole.
– La comunità scientifica non esita a definire la situazione cui assistiamo come «sesta estinzione di massa» nella storia del pianeta, sottolineando che la rapidità di sparizione delle specie è maggiore di quella documentata nei cinque grandi cicli di estinzione planetaria del passato, compreso l’asteroide che 65 milioni di anni fa decretò probabilmente la fine dei dinosauri. La situazione è ormai così grave che si sta alterando anche la chimica dell’oceano, con un forte impatto sulla vita marina e il funzionamento degli ecosistemi marini. L’oceano ha già assorbito oltre l’80 per cento del calore aggiunto al sistema climatico e circa il 33 per cento dell’anidride carbonica.
– I modelli attuali sono in grado di ricostruire molto bene la temperatura degli ultimi cento cinquant’anni. Oggi questi modelli ci possono fornire un dettaglio spaziale abbastanza fitto, ad esempio vedono un incremento più rapido della temperatura nel circolo polare artico, dovuto essenzialmente alla fusione dei ghiacci. Le spinte ad intaccare la vitalità delle terre si presentano in ulteriore e vorticosa accelerazione. Tutto questo richiede di estrarre volumi sempre maggiori di risorse. In cifre, dar da mangiare a una popolazione mondiale che si avvia ai 9 miliardi e mezzo di abitanti nel 2050 richiede un aumento della produzione di cibo del 70 per cento, che comporta un fabbisogno di energia del 37 per cento e il 55 per cento di acqua in più consumata. Quante altre terre che ancora conservano una loro vitalità naturale dovremo aggredire per permetterci tutto ciò? È in questo quadro generale che si situa la minaccia di un effetto serra avviato a trasformarsi in effetto guerra.
– Che dire del futuro? Cosa succede, infatti, se aumenta la temperatura? Aumenterà anche la quota al di sopra della quale può nevicare: al di sotto di questa quota la precipitazione è piovosa. Dunque avremo disponibilità di meno riserve idriche. Che dire dei laghi (naturali o artificiali) alimentati da questo disgelo? Si pensi alle nostre Alpi. Come riempiremo i bacini che forniscono energia idroelettrica? Come tutto ciò impatterà sul turismo? Altrove, l’Hindu Kush himalayano da solo è la fonte di dieci grandi sistemi fluviali, e a valle vivono 1,4 miliardi di persone. Il cambiamento climatico pone dunque rischi significativi direttamente alle popolazioni dell’Hindu Kush. Quasi il 90 per cento della popolazione dell’Asia centrale conta sull’acqua che defluisce dai ghiacciai: In Asia centrale il lago d’Aral si è disseccato restringendosi di 13 volte in mezzo secolo, mentre le due grandi vene idriche della regione, i fiumi AmuDarya e SyrDarya, stanno svanendo. La crisi del lago d’Aral riguarda direttamente Turkmenistan, Kazakistan e Uzbekistan, e colpisce indirettamente Tagikistan e Kirghizistan, paesi e popoli fra cui si stanno affacciando tensioni. Il livello dell’acqua, che fino al 1960 aveva raggiunto un massimo di 53,4 metri, è sceso di 29 metri. La salinità è aumentata fra 13 e 25 volte ed è ora da 7 a 11 volte superiore alla mineralizzazione media degli oceani del mondo.
– Due terzi delle terre in Africa sono già degradate. Ciò ha conseguenze sul sostentamento di 485 milioni di Africani. Il continente africano è caratterizzato dal passaggio netto da un clima desertico a nord a uno estremamente lussureggiante – con enormi foreste e abbondanti precipitazioni stagionali – nella sua fascia centrale. È ovvio, lo sanno tutti, già adesso lì fa molto caldo. Ma cosa succederà in futuro? i risultati fanno vedere che il continente si riscalderà un po’ meno della media globale delle terre emerse, l’Africa potrebbe anche limitare il suo riscaldamento a 2°C per fine secolo, distribuito in maniera pressoché uniforme sul suo territorio.
– La nuova Agenda, approvata dalle Nazioni Unite nel 2015, è incentrata su 17 obiettivi, che tracciano la rotta delle strategie mondiali di sviluppo fino al 2030, innestandosi sul piano di sviluppo globale 2001-2015 noto come «Obiettivi del Millennio». Diversi studi considerano scenari via via più gravi di riscaldamento e tentano di associarvi delle quantificazioni degli impatti sulla società umana su differenti orizzonti temporali. Fra il presente e le conseguenze possibili a fine secolo in caso di irresponsabile inerzia, si situa il ventaglio di scenari socio-ambientali possibili e pertanto dovrebbe emergerne un quadro abbastanza comprensibile della posta in gioco. Un business asusualsociale e politico protratto per il prossimo decennio lascia presagire che le crisi climatiche attuali crescerebbero e si salderebbero fino a trasformarsi in una destabilizzazione globale, una specie di tutti contro tutti, fra il 2030 e il 2050.
– In Africa, rivitalizzare le terre consolida le prospettive delle comunità rurali, e di intere nazioni, la pace, ricostruita attraverso una giustizia che siamo obbligati a praticare per disinnescare la «vendetta» di Madre Terra. Ma tutto ciò dà una mano anche a mitigare il cambiamento climatico, perché queste terre diventano assorbitori di anidride carbonica, anziché emettitori come sono adesso i terreni desertificati e degradati. Effetto serra, se siamo furbi, farebbe rima con l’opposto della guerra. Inoltre, se abbandoniamo i più poveri da soli alle prese col cambiamento climatico, lasciamo anche crescere un bubbone di conflittualità che prima o poi raggiungerà pure noi. In questo la nostra generazione ha le sue responsabilità. Questo libro è un appello ad aprire gli occhi.