«In soli 3 decenni le popolazioni di insetti nelle riserve naturali tedesche sono diminuite di oltre il 75%», un problema reale che esiste nonostante lo scetticismo di alcuni ricercatori, un problema che riguarda tutti e che andrebbe affrontato scientificamente e non con i soliti sistemi triti e ritriti dei negazionisti che hanno fatto il loro tempo sorpassati, purtroppo, dalla realtà
Alla fine della scorsa estate scrissi, per il numero del Trimestrale «Villaggio Globale» dedicato al Navigare, un articolo in cui ripercorrevo brevemente la storia della navigazione (e dell’espansione, leggi «sfruttamento») umana sino all’impiego di mezzi militari per la difesa, di ciò che le civiltà hanno conquistato navigando, confrontandola con la perdita di quei navigatori naturali, come gli insetti, che nelle campagne hanno lasciato posto a urbanizzazione, agricoltura intensiva e inquinamento atmosferico e acustico da parte di aerei (anche militari) e strade.
Ripresi una parte di questo pezzo dedicata alla perdita di biomassa e diversità entomologica e all’aumento dell’inquinamento causato dall’aeroporto militare nelle aree rurali di Gioia del Colle (BA) in un breve articolo pubblicato dalla testata locale pugliese GioiaNet. In tale occasione, con vena poetica più che polemica, cercai di attirare l’attenzione dei cittadini gioiesi sulla drammatica perdita di insetti che avevo avuto modo di constatare in prima persona nei pressi della casa di campagna di famiglia dove, da bambino, erano attratte dalle luci artificiali centinaia di specie differenti e a distanza di 30 anni, da adulto, ne contavo poco meno di una decina. Un rapido e allarmante declino che, interessando specie ad alta mobilità, come gli insetti volanti attratti dai boschi, campi e prati limitrofi verso le luci serali delle masserie di campagna, altro non è che un segnale di una ben più globale perdita di biodiversità.
Poco dopo la pubblicazione del mio scritto e alcuni commenti preoccupati e concordi di cittadini della zona, il biotecnologo, ricercatore presso l’Università di Bari, dott. Giuseppe Procino, pur essendosi sempre occupato di tutt’altro e mai di ecologia e biodiversità nella sua carriera scientifica, si prodigava in tutti i modi (con commenti al mio scritto e altri articoli di risposta) a definire quanto da me asserito «drammatico e allarmista» perché, scriveva per tranquillizzare gli animi (come se l’opinione pubblica non fosse già abbastanza indifferente), «io continuo a vedere le mantidi, le falene e gli scarabei corazzati la sera. E libellule, api e farfalle di giorno. […] Il progresso non si può fermare. Alla fine non lo vuole nessuno, anche i nostalgici della natura incontaminata. […] In biologia è il destino di un terreno di coltura che ospita una qualsiasi forma di vita: si impoverisce e si trasforma. Ci trasferiamo altrove? Non possiamo. […] Anche i dinosauri si sono estinti e non per mano dell’uomo. Io non ce l’ho una poesia con cui concludere. La poesia la recita la Natura che guardo ogni giorno, una Natura che cerca di sopravvivere alle nostre esigenze di crescita e che mi sembra che ce la faccia ancora benone».
Al di là delle poco convincenti affermazioni riguardanti i dinosauri, l’inarrestabile progresso, le esigenze di crescita e il destino volto all’impoverimento dei terreni di coltura di questo ricercatore, ciò che più mi sorprese e preoccupò, in quell’occasione, fu la tenacia con la quale una persona appartenente al mondo scientifico e, per tale ragione, portatore nei confronti dell’opinione pubblica di un parere affidabile, si stesse affannando a definire la mia osservazione «poco empirica, fatta nelle campagne di Gioia del Colle a due passi da un aeroporto militare e ad un passo da una autostrada».
Distribuzione temporale della biomassa di insetti (Fonte https://doi.org/10.1371/journal.pone.0185809.g002)
Ed ecco che, a distanza di qualche mese, come una luce divina che illumina le anime di coloro che non credono e pensano che l’uomo, nel bene o nel male, faccia sempre bene, che la Natura sia lì solo per essere sfruttata dalla specie creata a immagine e somiglianza di dio, che la biodiversità si possa ricreare in laboratorio con le biotecnologie, arriva lo studio di alcuni ricercatori tedeschi a dire che vi è una «drammatica e non localizzata perdita di biodiversità degli insetti negli ultimi 3 decenni». Il declino interessa quasi un’intera nazione, ovvero la Germania (che non è proprio una frazione della ridente Gioia del Colle) e non è per nulla da sottovalutare (il giornale britannico «The Guardian» lo ha definito «un Armageddon ecologico»).
«In soli 3 decenni – riporta la rivista “Science” – le popolazioni di insetti nelle riserve naturali tedesche sono diminuite di oltre il 75%, secondo un nuovo studio». Le ragioni del declino non sono chiare, ma il modello è coerente su aree della Germania occidentale e settentrionale, dalla regione intorno a Bonn e Colonia fino alla campagna a sud di Berlino. Per 27 anni i membri della Società Entomologica di Krefeld vicino a Dusseldorf hanno monitorato le popolazioni di insetti volanti (qualunque specie, dalle vespe parassitarie ai sirfidi alle api selvatiche) in decine di riserve naturali. «Negli ultimi anni – prosegue “Science” – gli scienziati hanno notato un forte calo delle loro catture, con la diminuzione della biomassa di circa l’82% in estate, quando le popolazioni degli insetti hanno il loro picco. I tentativi di correlare il declino con i cambiamenti del tempo meteorologico, del paesaggio e della copertura vegetale, realizzati in collaborazione con gli scienziati nei Paesi Bassi e nel Regno Unito, non spiegano la perdita, sostengono gli autori dell’articolo pubblicato su “Plos One”».
Gli scienziati speculano che l’agricoltura intensiva che circonda le riserve naturali abbia avuto un ruolo importante, ma non hanno dati su fattori quali l’uso di antiparassitari nei campi vicini. Il declino probabilmente avrà effetti di vasta portata sulle piante e sugli altri animali, come gli uccelli che mangiano insetti. I ricercatori affermano che è necessario un monitoraggio migliore di questi membri cruciali, ma trascurati degli ecosistemi.
Della serie: ve l’avevo detto! Peccato che il «tranquillismo negazionista» sia cosa ben peggiore (e, spesso, economicamente ed edonisticamente più interessata) del «catastrofismo allarmista» (che, sino ad ora, ci ha quasi sempre preso… si veda la questione mutamenti climatici, purtroppo).