I centri abitati più vulnerabili nei confronti dei forti scuotimenti sismici in Appennino. Una quota di territorio relativamente modesta, che rende meno ardua la sua messa in sicurezza a patto, però, di scegliere bene dove investire. Un gruppo di ricercatori ha realizzato una graduatoria di priorità, utile per orientare campagne informative e interventi preventivi
>> Abstract
Distribuzione dei 716 capoluoghi dei comuni (rappresentativi delle intere aree comunali) selezionati con la procedura descritta nel testo (da G. Valensise, G. Tarabusi, E. Guidoboni, G. Ferrari, 2017). Le aree bordate in giallo rappresentano la proiezione in superficie delle grandi sorgenti sismogenetiche che corrono in cima all’Appennino.
In viola: 38 comuni per i quali non si ha alcuna notizia storica di distruzioni sismiche;
in rosso: 315 comuni che nella nostra graduatoria corrispondono alle aree comunali che non hanno subito terremoti distruttivi dal 1861 (unità d’Italia);
in nero: 363 comuni ordinati secondo la distanza nel tempo dall’ultimo terremoto distruttivo, dopo il 1861.
Meno del 10% della popolazione italiana è esposta a scuotimento sismico potenzialmente distruttivo. Si tratta di una quota di territorio relativamente modesta, che rende meno ardua la sua messa in sicurezza a patto, però, di scegliere bene dove investire. A dirlo uno studio dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), ispirato dalla forte differenza nella risposta sismica di Amatrice e di Norcia a seguito del terremoto del 24 agosto 2016.
Il lavoro, «The forgotten vulnerability: A geology -and history- based approach for ranking the seismic risk of earthquake-prone communities of the Italian Apennines», è stato pubblicato su «International Journal of Disaster Risk Reduction».
«Per identificare i comuni che ricadono sulla proiezione in superficie delle grandi faglie sismogenetiche dell’Appennino suscettibili, nella loro storia, a forti scuotimenti – spiega Gianluca Valensise, dirigente di ricerca dell’Ingv – sono state utilizzate due grandi banche dati dell’Ingv, il Database of Individual Seismogenic Sources e il Catalogo dei Forti Terremoti in Italia».
Per ognuno dei 716 comuni selezionati (aree comunali con tutte le loro frazioni) è stata analizzata la storia sismica, verificando la data dell’ultimo terremoto distruttivo. «L’analisi ha riguardato la dorsale appenninica, circa 1.000 km dalla Liguria alla Calabria, che da sola rilascia circa il 70% del momento sismico complessivo della nostra penisola. Il metodo può essere esteso a tutte le altre aree sismiche dell’Italia. Con la banca dati Istat sono stati, infine, selezionati i dati sulla popolazione e l’incidenza e tipologia degli edifici costruiti prima del 1918, ovvero almeno centenari».
Nella graduatoria finale, i 716 comuni sono ordinati partendo da quelli per i quali non si hanno informazioni di danni sismici (non li hanno ancora subìti o non sono noti) e che, quindi, possono essere vulnerabili e impreparati, fino a quei comuni che in tempi recenti hanno subito forti terremoti e quindi più «preparati» rispetto a futuri forti terremoti (si veda mappa allegata).
«Per quanto riguarda Amatrice e Norcia, che sorgono quasi alla stessa distanza dalla faglia che ha generato il terremoto – aggiunge Valensise – gli accelerogrammi della recente scossa, registrati da due stazioni poste nei due centri abitati, mostrano che il livello dello scuotimento subìto è stato confrontabile, anche se appena più severo ad Amatrice».
Da indagini preliminari, Amatrice non ha sofferto di amplificazioni locali significative. «Ma se ad Amatrice per la scossa del 24 agosto (M 6,0) gli effetti sono stati del X-XI grado (scala Mercalli-Cancani-Sieberg), coerentemente con la devastazione pressoché totale dell’abitato, a Norcia sono stati del VI grado», prosegue Valensise.
Con la scossa del 30 ottobre (M 6,5), localizzata molto vicino a Norcia, gli effetti sono poi saliti al grado XI per Amatrice e al grado VIII-IX (con oltre 220 vittime ad Amatrice e nessuna a Norcia).
«La differenza nella risposta sismica di queste due località-simbolo dei terremoti del 2016 – aggiunge Valensise – è da imputare a una elevata vulnerabilità del costruito ad Amatrice, a cui si contrappone una vulnerabilità molto bassa per gli edifici di Norcia, inclusi quelli storici (a esclusione delle chiese e della Basilica di San Benedetto). A salvare le case di Norcia sarebbe stata, quindi, la familiarità con i forti scuotimenti. Esperienza che è venuta a mancare, invece, ad Amatrice.
«Dopo il devastante terremoto del 1703 (che rappresenta l’anno zero per entrambe le località), Norcia ha subìto diversi terremoti distruttivi, fino a quello del 1979, ognuno dei quali ha reso necessari una ricostruzione o un irrobustimento degli edifici. Questo non è avvenuto ad Amatrice, che dal 1703 ha subìto solo terremoti minori», continua Valensise.
La vulnerabilità dei centri abitati storici aumenta al crescere del tempo trascorso dall’ultima ricostruzione sismica, come risultato accumulato sia dell’invecchiamento del patrimonio abitativo, sia della mancanza di interventi di miglioramento sismico, come una sorta di smemorizzazione. A questo va aggiunto che se una faglia sismogenetica è stata quiescente per secoli, la sua probabilità di causare un terremoto distruttivo aumenta grandemente rispetto a una faglia che ha dato un forte terremoto in epoche relativamente recenti.
«Uno strumento operativo, quindi, in grado di dare una graduatoria di priorità nell’assegnazione di risorse per la messa in sicurezza o azioni preventive nei territori identificati come maggiormente vulnerabili», conclude Valensise.