A che servono i parchi. Perché proteggerli, attivare il tavolo tecnico sulla possibilità di creare un protocollo da avviare in caso di ritrovamento di una carcassa di lupo
Presi da crisi economiche sempre più incalzanti, dalla necessità di dare risposte urgenti alla quotidianità, assistiamo ad un inesorabile logoramento culturale del rapporto dell’uomo con i suoi simili e con l’ambiente circostante.
Eppure, è proprio nei momenti di crisi, di tensione,di crescita che si può mettere in evidenza il bagaglio della civiltà raggiunto, come ricordava il Poeta: «O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, qui si parrà la tua nobilitate».
E quello che ci circonda è veramente miserevole. Esiste una Rete ecologica necessaria al mondo naturale per continuare a vivere, una rete con le sue regole e le sue esigenze, pena una perdita di qualità della vita di fronte alla quale una crisi economica è una barzelletta.
A questa necessità furono pensati i parchi naturali sorti in tutto il mondo. Ma le conoscenze da cui si mosse questa iniziativa nel 1872 con la creazione del primo parco nazionale, quello di Yellowstone, in Usa, sembrano ormai sbiadite.
In Italia, i direttori dei parchi devono difendere il territorio da abusivismo, caccia di frodo, estrazioni minerarie e petrolifere… e tutto con fondi sempre più piccoli.
Per mettere a fuoco queste problematiche si è svolto fra novembre e dicembre un interessante convegno organizzato dal Parco dell’Alta Murgia che ha chiamato a raccolta gli altri parchi, esperti e amministratori. Di questo convegno noi abbiamo dato ampio resoconto.
Ma durante il convegno, a completare le due giornate del convegno è stato istituito un tavolo tecnico sulla possibilità di creare un protocollo da avviare in caso di ritrovamento di una carcassa di lupo. La volontà dei promotori di questa lungimirante iniziativa è quella di creare un processo standardizzato e condiviso che possa superare le differenti procedure in vigore nelle aree protette, uniformando così gli interventi su scala nazionale.
Il lupo, che durante il convegno ha avuto importanti e significativi interventi da parte di studiosi, rappresenta l’emblema del punto dolente di questo rapporto con l’ambiente ormai saltato e bisognoso di un rapido recupero. Per questo, l’idea, è di intervenire sulla burocrazia, ostacolo principe nel nostro paese per procedere ad un esame maturo delle varie problematiche.
I vari relatori hanno infatti più volte sottolineato e posto l’attenzione sul ruolo e sulle responsabilità che gli enti delle aree protette hanno nei confronti della gestione e della conservazione, appunto, della biodiversità. «La grande quantità di dati scientifici disponibili deve essere la base di partenza per poter gestire meglio il territorio. La ricerca scientifica deve muoversi insieme alle scelte politiche. L’attività dei legislatori deve costantemente interloquire con i ricercatori: è questa la vera chiave di volta per promuovere davvero una linea per un’efficace gestione della specie».
Il convegno si è chiuso con una risposta ben precisa e affermativa alla domanda «La natura vive nei Parchi?». Le aree protette sono state pensate come i veri nodi della conservazione, come territori dove sperimentare forme di gestione e anche di non gestione per capire e conoscere i ritmi della natura e come la stessa si evolve. La quantità di specie animali e vegetali che esistono in Italia non può essere gestito solo ed esclusivamente nei Parchi. Il Parco nazionale dell’Alta Murgia con questo convegno ha voluto dunque dare uno stimolo alle possibilità di leale collaborazione tra i numerosi Parchi italiani e le istituzioni al di fuori di essi, con l’auspicio di rendere più dinamico e snello l’intero circuito.