La responsabilità politica del collasso del pianeta

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Abbiamo perso la battaglia per mantenere il pianeta così come lo abbiamo conosciuto. «Mentre parliamo di come ridurre l’uso delle fonti fossili, stiamo facendo esattamente il contrario. In questo esatto momento stiamo spendendo 10 milioni di dollari al minuto per sostenere l’industria fossile». Ci sono più di 40.000 lobbisti in Europa che lavorano per esercitare influenze politiche. Il ruolo della produzione animale. I profughi ambientali arriveranno a 800 milioni

La redazione di «AK Informa» ha pubblicato questo articolo di Roberto Savio*, nel numero 1 del nuovo anno: un sintetico ma chiarissimo contributo per una riflessione sulla reale situazione ambientale e climatica del nostro pianeta, senza false illusioni o giri di parole. Un articolo che ben introduce la necessità di «fare ognuno di noi la propria parte», come necessario tentativo di salvare il futuro dell’umanità.
Un articolo che pubblichiamo volentieri poiché dà sostanza a quanto da tempo andiamo sostenendo e fornisce dati e riferimenti politici che possono essere utili a quanti vogliono approfondire e capire, molto più delle opinioni.

 

Roberto SavioIl 20 dicembre scorso, i 28 ministri europei dell’Ambiente si sono incontrati a Bruxelles per discutere il piano per la riduzione delle emissioni di CO2 preparato dalla Commissione, in accordo con le decisioni della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici. Bene, è ormai chiaro che abbiamo perso la battaglia per mantenere il pianeta così come lo abbiamo conosciuto. Ora, sicuramente questa di seguito può essere considerata la mia personale opinione, priva di obiettività. Per questo fornirò molti dati, elementi storici e fatti, perché sia concreta. I dati e i fatti hanno una buona qualità: concentrano l’attenzione su ogni dibattito, mentre le idee no. Quindi tutti voi che non amate i fatti, per favore smettete di leggere qui. Vi risparmierete un articolo noioso, come probabilmente sono tutti i miei articoli, perché non sto cercando di intrattenere ma di sensibilizzare. Se smettete di leggere, perderete inoltre l’opportunità di conoscere il nostro triste destino.

L’Europa si adegua a Trump

Come è cosa comune in politica oggigiorno, gli interessi hanno preso il sopravvento sui valori e sulla visione. I ministri hanno deciso (con qualche resistenza da parte di Danimarca e Portogallo) di ridurre gli impegni presi dall’Europa. Tutto ciò sta andando nella direzione di Trump che ha abbandonato gli Accordi di Parigi per privilegiare gli interessi degli Stati Uniti, senza mostrare la minima attenzione per il pianeta, quindi l’Europa lo sta semplicemente seguendo.
Di sicuro chi è vivo oggi non pagherà nessun prezzo: le prossime generazioni saranno le vittime di un mondo sempre più inospitale. Poche delle persone che a Parigi nel 2015 hanno preso solenni impegni nel nome di tutta l’umanità per salvare il pianeta saranno vive tra 30 anni, quando il cambiamento sarà irreversibile. E sarà anche chiaro che gli esseri umani sono i soli animali che non difendono né proteggono il loro habitat.
Innanzi tutto gli Accordi di Parigi sono stati presi dai 195 paesi partecipanti, 171 dei quali avevano già firmato il trattato in soli due anni, il che va bene, tranne che per il fatto che il Trattato è solo la collezione di buoni propositi, senza alcun impegno concreto. Tanto per cominciare, non richiede impegni specifici e verificabili. Ogni paese fisserà i propri obiettivi e sarà l’unico responsabile del raggiungimento degli stessi.
È come chiedere a tutti i cittadini di un paese di decidere quante tasse vogliono pagare e lasciarli liberi di rispettare o meno l’impegno, senza alcuna possibile sanzione.

Nel 2015 a Parigi l’Europa si è impegnata a far sì che il 27% dell’energia provenga da fonti rinnovabili (attraverso la riduzione dell’uso dell’energia fossile), fissando intanto l’obiettivo di raggiungere il 20% nel 2020. Ma dal 27% sono scesi al 24,3%. Inoltre i ministri hanno deciso di continuare a dare aiuti economici alle industrie fossili fino al 2030 anziché fino al 2020, come invece era stato stabilito. E mentre la proposta della Commissione era che gli impianti fossili avrebbero perso i sussidi se non avessero abbassato le loro emissioni a 500 grammi di CO2 per tonnellata entro il 2020, i ministri hanno esteso gli aiuti fino al 2025.
Infine, la Commissione ha proposto di diminuire i biocarburanti (fatti con prodotti per l’alimentazione umana, come l’olio di palma) al 3,8% mentre i ministri, nonostante tutte le loro dichiarazioni sulla lotta contro la fame nel mondo, hanno deciso di raddoppiarli al 7%.

Torniamo ora al vero difetto dell’Accordo di Parigi. Gli scienziati, nonostante una consistente e ben finanziata lotta da parte delle industrie di carbone e petrolio che sostenevano il contrario, hanno impiegato venti anni per concludere con certezza che i cambiamenti climatici sono dovuti alle attività umane.
Il Panel Internazionale sui Cambiamenti Climatici è un’organizzazione sotto l’egida dell’Onu, che ha come membri i 194 paesi ma che deve i suoi sforzi a più di 2.000 scienziati provenienti da 154 paesi che lavorano insieme sul clima.
Questi scienziati hanno impiegato 25 anni (dal 1988, quando il Ipcc fu istituito, al 2013) per raggiungere una conclusione definitiva: l’unico modo per fermare rapidamente il deterioramento del pianeta è far sì che le emissioni non facciano aumentare la temperatura della Terra di 1,5 gradi centigradi in più di quella che era nel 1850. In altre parole il nostro pianeta si sta già deteriorando e questo processo non è più reversibile. Abbiamo immesso nell’atmosfera troppi gas e inquinamento che ormai stanno agendo. Però bloccando questo processo almeno lo possiamo stabilizzare, anche se non potremo cancellare, probabilmente, per migliaia di anni ciò che ormai abbiamo causato.

Si considera che la rivoluzione industriale sia cominciata nel 1746, quando le fabbriche rimpiazzarono i tessitori individuali. Ma cominciò su larga scala nella seconda metà del XIX Secolo, con la seconda rivoluzione industriale. Questo rese necessario l’uso della scienza nella produzione, per l’invenzione di motori, ferrovie, per costruire fabbriche ed altri mezzi di produzione industriale. Abbiamo iniziato a registrare le temperature nel 1850, con l’uso diffuso dei termometri. Dunque possiamo vedere come il carbone, le fonti fossili e altri carburanti cominciarono ad interagire con l’atmosfera.

Gli scienziati hanno così concluso che superando di 1,5 gradi centigradi la temperatura del 1850 si oltrepassa una linea rossa in modo irreversibile: non saremo più in grado di cambiare il processo e il clima sarà fuori controllo, con conseguenze drammatiche per il pianeta.
La Conferenza di Parigi è l’atto finale di un processo che è cominciato a Rio de Janeiro nel 1992, con la Conferenza sull’Ambiente e lo Sviluppo, in cui due leader ormai scomparsi, Boutros Boutros Ghali e Maurice Strong, hanno condotto il primo summit di capi di Stato sui problemi ambientali.
Tra l’altro vale la pena ricordare che Strong, un uomo che ha impiegato tutta la sua vita per rendere centrale il tema dell’ambiente, aprì la conferenza per la prima volta anche ai rappresentanti della società civile, oltre che ai delegati dei governi. Più di 20.000 organizzazioni, accademici, attivisti, si recarono a Rio, dando inizio alla creazione di una società civile globale riconosciuta dalla comunità internazionale.

Il fallimento di Parigi

Nel 1997, come risultato della Conferenza di Rio, fu promulgato il Trattato di Kyoto con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2. Quanto sta succedendo dimostra che durante i quasi vent’anni che portano a Parigi, i risultati sono molto modesti. Le fonti fossili sono passate dal 45% nel 1950 al 28,64% nel 2016 anche per via delle nuove tecnologie, ma il petrolio è aumentato dal 19,46% al 33,92% e le rinnovabili a Kyoto erano una realtà trascurabile. Dunque è stato lasciato un compito molto importante a Parigi, dopo che si era perso già un ventennio.
Secondo le stime della Banca Mondiale, nel 2014, 1.017 miliardi di persone viveva senza elettricità, mentre solo il 20% della popolazione africana aveva accesso all’elettricità. Bisognerebbe procurare a tutte queste persone energia rinnovabile per evitare un ingente aumento delle emissioni.
A differenza di Kyoto, Parigi doveva rappresentare un accordo davvero globale, quindi, per portare quanti più paesi possibile a bordo, è uno sporco segreto poco conosciuto, che le Nazioni Unite decisero di fissare come obiettivo non il troppo stretto grado centigrado e mezzo, ma un più appetibile 2 gradi. Sfortunatamente sono tutti concordi nel constatare che abbiamo già superato il grado e mezzo. E il programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (United Nations Environment Program, Unep) ha stimato che se non verranno cambiati gli impegni presi dai paesi a Parigi, raggiungeremo una temperatura più alta di 6 gradi centigradi, un aumento che, secondo la comunità scientifica, renderebbe una larga parte della terra inabitabile.
Infatti negli ultimi quattro anni abbiamo avuto le estati più calde dal 1850. E nel 2017 si è registrato il più alto livello di emissioni della storia, cioè di 41,5 gigatons, di cui il 90% viene da attività collegate ad azioni umane, mentre le rinnovabili (i cui costi sono ormai competitivi rispetto alle fonti fossili) coprono ancora solamente il 18% dell’energia consumata nel mondo.

Perché stiamo finanziando l’industria fossile

E ora affrontiamo un altro importante sporco segreto. Mentre parliamo di come ridurre l’uso delle fonti fossili, stiamo facendo esattamente il contrario. In questo esatto momento stiamo spendendo 10 milioni di dollari al minuto per sostenere l’industria fossile.
Tenendo conto solamente degli aiuti economici diretti, secondo le Nazioni Unite sono tra i 775 miliardi di dollari e i mille miliardi. La cifra ufficiale solo nel G20 è di 444 miliardi. Il Fondo Monetario Internazionale ha accettato la visione degli economisti secondo cui gli aiuti non sono solo in denaro: è l’uso della terra e della società, come la distruzione del suolo, l’uso dell’acqua, le tariffe politiche (le cosiddette esternalità, cioè i costi che esistono ma sono fuori dal budget delle imprese). Se facessimo così, raggiungeremmo la quantità sbalorditiva di 5,3mila miliardi: erano 4,9mila miliardi nel 2013. Si tratta del 6,5% del Prodotto Lordo Globale e questo è quanto costa ai governi, alla società e alla terra usare le fonti fossili.

La forza delle lobby

Questa notizia non è comparsa da nessuna parte nei media o sui giornali. Pochi conoscono la forza dell’industria delle fonti fossili. Trump vuole riaprire le miniere, non solo per guadagnarsi i voti di chi ha perso un lavoro obsoleto, ma perché l’industria fossile è un forte sostenitore del partito Repubblicano. Gli ultramilionari fratelli Koch, i più grandi proprietari di miniere di carbone negli Stati Uniti, hanno dichiarato di aver speso 800 milioni di dollari nella scorsa campagna elettorale. Qualcuno potrebbe dire: queste cose succedono negli Usa ma secondo la rispettata organizzazione Transparency International, ci sono più di 40.000 lobbisti in Europa che lavorano per esercitare influenze politiche. L’Osservatorio corporativo europeo (Ceo), che studia il settore finanziario, ha scoperto che soltanto a Bruxelles si spendono 120 milioni di euro all’anno e vengono impiegati 1.700 lobbisti, ha scoperto che i lobbisti hanno fatto pressioni a sfavore delle normative, con più di 700 organizzazioni che hanno superato numericamente di 7 volte i sindacati e le organizzazioni della società civile. Il potere dell’industria fossile spiega perché nel 2009 i governi hanno aiutato il settore con 557 miliardi di dollari mentre tutta l’industria delle rinnovabili solo con una cifra tra 43 a 46 miliardi di dollari (stime dell’International Energy Agency).
È chiaro che i cittadini non hanno idea del fatto che una parte del loro denaro terrà in vita, con buoni profitti, un settore che è ben consapevole di avere un ruolo chiave nella distruzione del nostro pianeta.
Un settore che sa bene che oggi si stanno immettendo nell’atmosfera 400 particelle di CO2 per milione, quando la linea rossa era considerata 350 particelle per milione. Ma la gente non lo sa, e così continua la spettacolare festa dell’ipocrisia.

La popolazione è disinformata

Le Nazioni Unite nel 2015 hanno condotto un sondaggio approfondito con la partecipazione di 9,7 milioni di persone a cui è stato chiesto di scegliere come loro priorità sei temi su sedici proposti. Il primo dei temi presentati era «i cambiamenti climatici». Bene, il primo scelto, con 6,5 milioni di preferenze, è stato «una buona istruzione». Il secondo ed il terzo, con più di 5 milioni di preferenze, è stato «un migliore sistema sanitario» e «migliori opportunità di lavoro».
L’ultimo dei 16 temi, con meno di 2 milioni di preferenze, è stato «I cambiamenti climatici», ultimo anche tra le preferenze dei paesi meno sviluppati che saranno le vittime maggiori dei cambiamenti del clima. I 4,3 milioni di partecipanti più poveri provenienti dai paesi meno sviluppati, infatti, hanno messo anche loro l’istruzione al primo posto (3 milioni di preferenze) mentre «i cambiamenti climatici» all’ultimo posto con 561.000 voti.
Neanche in Polinesia, Micronesia e Melanesia, isole che rischiano di sparire, il cambiamento climatico è stato messo al primo posto. Questa è una prova eclatante del fatto che le persone non si rendono conto del punto in cui ci troviamo: alla soglia della sopravvivenza del nostro pianeta, come lo abbiamo conosciuto da diverse migliaia di anni.

Quindi se i cittadini non sono consapevoli e dunque non sono preoccupati, perché lo dovrebbero essere i politici? La risposta sta nel fatto che i politici sono eletti dai cittadini per rappresentare i loro interessi e perché possono prendere decisioni con una maggiore capacità di informazione. Come suona questo alle vostre orecchie? Con lobbisti dappertutto che lottano per gli interessi presentandosi con offerte di lavoro e stabilità?

Il ruolo della produzione animale

E ora arriviamo al terzo segreto sporco, per dimostrare quanto lontani siamo dall’affrontare veramente il controllo del nostro clima.
In aggiunta a quanto già detto, c’è un problema molto importante che è stato discusso anche a Parigi: gli accordi sono tutti sulla riduzione delle emissioni causate dalle industrie fossili. Gli altri tipi di emissioni sono stati lasciati completamente fuori.

Un nuovo documentario prodotto da Leonardo Di Caprio, «The Cowspiracy: The Sustainability Secret»
ha riordinato molti dati presentati dai vegani sull’impatto degli animali sul cambiamento climatico. Questi dati sono considerati in qualche modo esagerati ma le loro dimensioni sono talmente grandi che comunque aggiungono un altro chiodo alla nostra bara.
Gli animali non emettono CO2 ma metano, che è almeno il 25% più dannoso dell’anidride carbonica. Le Nazioni Unite hanno riconosciuto che mentre tutti i mezzi di trasporto, dalle automobili agli aeroplani, contribuiscono per il 13% alle emissioni, le emissioni delle mucche rappresentano ben il 18%.
Ma il vero problema è l’uso dell’acqua, un tema chiave che non abbiamo modo di affrontare in questo articolo. L’acqua è considerata anche dagli strateghi militari la prossima causa di conflitti, come lo è stato il petrolio per un lungo tempo.
Per produrre mezzo chilo di carne di manzo ci vogliono circa 10.000 litri d’acqua. Questo significa che un hamburger è l’equivalente di due mesi di docce. E per produrre un litro di latte ce ne vogliono 100 d’acqua. Le persone in tutto il mondo utilizzano solamente 1/10 dell’acqua utilizzata per le mucche. I bovini usano il 33% di tutta l’acqua, il 45% dei terreni del pianeta e per il 91% sono la causa della deforestazione dell’Amazzonia. Producono inoltre escrementi 130 volte di più degli esseri umani.
L’allevamento dei suini in Olanda sta creando seri problemi, perché l’acidità dei loro escrementi sta riducendo la terra utilizzabile a fini agricoli. E il consumo di carne sta aumentando molto velocemente poiché è considerato un segno del raggiungimento del livello sociale dei paesi ricchi.
Oltre a questo serio impatto sul pianeta, si aggiunge un forte paradosso di sostenibilità per l’umanità. Siamo 7,5 miliardi di persone e raggiungeremo presto i 9 miliardi. La produzione alimentare complessiva in tutto il mondo potrebbe sfamare dai 13 ai 14 miliardi di persone ma una parte considerevole di essa viene buttata addirittura prima di raggiungere le popolazioni che ne farebbero buon uso (anche questo punto potrebbe da solo costituire argomento di un articolo a parte). Il cibo prodotto per gli animali potrebbe sfamare 6 miliardi di persone e nel mondo c’è un miliardo di persone che muoiono di fame.
Questa è la prova di quanto lontani siamo dall’usare razionalmente le risorse per l’umanità. Abbiamo risorse per tutti ma non siamo in grado di amministrarle bene con raziocinio. Il numero di persone obese ha raggiunto il numero delle persone che stanno morendo di fame.
La soluzione logica in questa situazione sarebbe raggiungere un accordo su una governance globale nell’interesse del pianeta e dell’umanità. Bene, stiamo andando nella direzione opposta. Il sistema internazionale è assediato dal nazionalismo che rende sempre più impossibile il raggiungimento di soluzioni significative.
Concludiamo con un ultimo esempio: la sovrapesca. Sono ormai vent’anni che l’Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization, Wto, che non è parte delle Nazioni Unite e fu creata in contrasto con le Nazioni Unite) sta provando a raggiungere un accordo sulla sovrapesca e l’uso delle mega reti a strascico che tirano su un’enorme quantità di pesce: 2,7mila miliardi, di cui solo 1/5 viene tenuto mentre i restanti 4/5 vengono ributtati in mare.
Durante l’ultima conferenza della Wto, tenutasi lo scorso 13 dicembre a Buenos Aires, i governi, ancora una volta, non sono stati in grado di raggiungere un accordo su come limitare la pesca illegale. I grandi pesci ora sono il 10% in meno rispetto al 1970 e stiamo sfruttando 1/3 di tutte le riserve. È stato stimato che la pesca illegale immette nel mercato nero tra i 10 e i 23 miliardi, secondo uno studio di 17 agenzie specializzate, con una lista completa di nomi. E ancora: i governi spendono 20 miliardi l’anno per finanziare l’incremento della loro industria ittica, un altro esempio di come gli interessi vincano sul bene comune.
Penso che ora abbiamo abbastanza dati per renderci conto dell’incapacità dei governi di assumere sul serio le proprie responsabilità, nonostante abbiano accesso alle informazioni necessarie per sapere che stiamo andando incontro ad un disastro.
In un mondo normale la dichiarazione di Trump che il controllo del clima è una bufala cinese avrebbe dovuto causare molte più reazioni a livello globale. Inoltre, se davvero le politiche interne di Trump sono una questione solo statunitense, il clima sta avendo ripercussioni sui 7 miliardi e mezzo di abitanti del pianeta, considerando pure che Trump è stato eletto da meno di un quarto degli aventi diritto al voto: approssimativamente 63 milioni di persone, troppo poche per poter prendere decisioni che hanno ripercussioni su tutta l’umanità.
E ora i ministri europei lo stanno seguendo, secondo il proverbio che dice che i soldi parlano, le idee mormorano, e in molti si stanno preparando a speculare sui cambiamenti climatici. Ora che abbiamo perso il 70% dei ghiacci al Polo Nord, l’industria marittima si sta attrezzando per usare la rotta Polare che taglierà costi e tempo del 71%.
L’industria vinicola inglese sta aumentando la produzione del 5% l’anno grazie al riscaldamento del pianeta. I vigneti piantati nel Kent o nel Sussex, che hanno un suolo di origine calcarea, vengono acquistati da produttori di champagne che hanno in programma di ampliare la propria produzione con nuovi vigneti. Il Regno Unito sta già producendo 5 milioni di bottiglie di vino e spumante che sono già state vendute. Le vendite dello spumante locale per Natale supereranno quelle di champagne, cavas, prosecco e altri vini tradizionali natalizi.
Abbiamo registrato invano l’aumento degli uragani e dei temporali, anche in Europa, e una diffusione record di incendi. Le Nazioni Unite stimano che almeno 800 milioni di persone saranno costrette a lasciare il proprio paese per via del fatto che i cambiamenti climatici renderanno inabitabili molte parti del pianeta.
Dove andranno? Non negli Usa o in Europa dove sono visti come invasori. Non dimentichiamoci che la crisi della Siria è arrivata dopo quattro anni di siccità (1996-2000) e che ha costretto più di un milione di persone a fuggire dalle proprie città. Il conseguente malcontento ha alimentato la guerra che ha causato 400.000 morti e 6 milioni di rifugiati. Quando i cittadini si renderanno conto dei danni sarà troppo tardi. Gli scienziati pensano che sarà chiaramente evidente solo tra 30 anni.
Perché ci preoccupiamo dunque? Questo è un problema della prossima generazione e le multinazionali continueranno a guadagnare fino all’ultimo minuto con la complicità dei governi e con il loro sostegno. Cavalchiamo allora l’onda del cambiamento climatico, compriamoci una buona bottiglia di champagne britannico, beviamocela mentre saremo in crociera, passando per il Polo Nord e lasciamo che l’orchestra suoni, come sul Titanic, fino all’ultimo momento.

 

* Roberto Savio, giornalista ed economista italo-argentino, fra i più autorevoli commentatori politici internazionali sulle politiche sociali e ambientali, si dedica da decenni al tema della governabilità della globalizzazione. È direttore internazionale dell’European Center for Peace and Development. Ha fondato varie organizzazioni internazionali, fra le quali il Forum Sociale Mondiale e ha lavorato nel sistema delle Nazioni Unite e come consulente di comunicazione in diversi Paesi del Terzo Mondo.