Clima, puntiamo decisamente oltre 1,5°C

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Nei prossimi cinque anni supereremo il limite pensato dall’accordo di Parigi ma non imposto perché carente di vincoli. Quello che fa paura, ancor più di questa situazione climatica, è la totale incompetenza sia della classe politica, sia, bisogna dirlo, di alcune frange ambientaliste. E di questa tragedia in atto non sembrano preoccuparsi nessuno dei candidati di questa nostra campagna elettorale

«A new forecast published by scientists at the Met Office indicates the annual global average temperature is likely to exceed 1 °C and could reach 1.5 °C above pre-industrial levels during the next five years (2018-2022)». Quindi nei prossimi 5 anni, avverte il Met Office britannico, supereremo il limite dell’innalzamento della temperatura di 1,5°C rispetto all’epoca preindustriale.

L’accordi di Parigi, accolto con entusiasmo anche da alcuni rappresentanti ambientalisti, è stato un fallimento, come noi, insieme a pochi altri, avevamo previsto. E non perché siamo maghi, ma perché era sufficiente vedere i limiti che si erano imposti e l’impalcatura dell’intesa. «Il fallimento – scrive Vincenzo Ferrara, nel suo blog – verso il suo obiettivo meno ambizioso (2°C) è anch’esso molto probabile e si prospetterà ancor più clamoroso, visto che il massimo ipotetico comune sforzo possibile dei 194 paesi firmatari, ammesso che questo sforzo (del tutto volontario) sarà poi effettivamente realizzato, porterà, bene che vada, ad un surriscaldamento globale superiore ai 3°C per la fine di questo secolo, cioè al 2100».

«Come aveva già dichiarato – fa notare Ferrara – il famoso climatologo James Hansen della Nasa al quotidiano “The Guardian” del 14 dicembre 2015: “l’accordo di Parigi è una frode: nessuna azione concreta ma solo promesse, nessun obbligo vincolante, ma solo discrezionalità soggettive”».

Quello che fa paura, ancor più di questa situazione climatica, è la totale incompetenza sia della classe politica, sia, bisogna dirlo, di alcune frange ambientaliste. E di questa tragedia in atto non sembrano preoccuparsi nessuno dei candidati di questa nostra campagna elettorale.

E fa più paura perché ci contrabbandano e ci distolgono con emergenze strumentali come immigrazione, carenza di cibo, aumento di malattie… tutti problemi figli dei cambiamenti climatici che, al posto di sanare le cause si cerca invece di approfittarsene commercialmente promuovendo cibi alternativi, alterando i ritmi naturali dell’agricoltura, inserendo nuove specie, inventando rimedi farmacologici. Facendo cioè, all’interno di laboratori acritici, quello che la gente comune fa quando assalta i supermercati nell’imminenza di una carestia.

Una situazione da fine del mondo a guardare anche le altre nazioni, ognuna chiusa nei propri interessi e sicuri di cavarsela solo alzando muri.

Quello che l’uomo ottusamente ancora non ha recepito è la globalità dei problemi, l’interdipendenza dei segnali negativi.

Quando non ci sfuggono, noi possiamo governare le conseguenze delle nostre azioni, ma la globalità della biosfera, che conosciamo appena, non possiamo né governarla né prevederla. Fra noi, «civilizzati» e i nostri predecessori del neolitico, la differenza è inesistente: entrambi subiamo le dinamiche del pianeta.