L’ambiente è di destra o di sinistra?

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Una buona parte dei valori, concetti e obbiettivi storicamente ritenuti di sinistra si possono trovare sparpagliati qua e là nei richiami delle più disparate formazioni, e stesso destino parrebbe toccato ad alcune perle della destra storica. Questo per non parlare di fenomeni e concetti di nuova generazione, alcuni dei quali, molto popolari, vengono contesi come patrimonio esclusivo più o meno da tutti, mentre altri sono reciprocamente scaricati da un lato all’altro dell’Onorevole Emiciclo, evidentemente per la loro bassa digeribilità popolare

Anni fa, tanti che il soggetto in questione non si possa sentire chiamato in causa, un consigliere regionale eletto nelle liste di sinistra lanciò uno spot sulle tv locali, in prossimità di nuove votazioni; apriva con una mitica asserzione: «l’ambiente non è né di destra né di sinistra». E si candidò in una lista di destra.

Pur essendo un amante degli animali, non è del salto della povera quaglia che voglio parlare, anche perché oggi è una prassi così banale da risultare noiosa anche alle avide orecchie degli «addict» di gossip politico. È l’asserzione che intriga, e non sul piano della mera discettazione teorica, che pure potrebbe appassionare, ma perché periodicamente la questione torna a galla, e qualcuno cerca di attualizzarla rivendicando primati di rappresentanza.

In sé la questione sembra banale: certo che l’ambiente non ha colore politico-ideologico, come praticamente tutto il creato dalla natura, ma se vogliamo anche tutto l’artefatto materiale dell’uomo. Non esiste un albero di destra o un telefonino di sinistra. Semmai è l’ambientalismo, come ideologia, cultura e orientamento comportamentale che potremmo tentare di sottoporre a una procedura di attribuzione e rilettura in chiave politica.

Operazione, voglio dirlo subito, alquanto ardita, perché implicherebbe una omogenea e condivisa classificazione, prima di tutto, di che cosa vuol dire oggi destra e sinistra, al di là delle dichiarazioni e aggregazioni dei partiti, per poi provare a inserire le molteplici implicazioni dell’ambientalismo come tessere del complicato puzzle che ne deriverebbe, sperando che si collochino tutte da una parte sola. Speranza vana.

Già una buona parte dei valori, concetti e obbiettivi storicamente ritenuti (almeno da me) di sinistra si possono trovare sparpagliati qua e là nei richiami delle più disparate formazioni, e stesso destino parrebbe toccato ad alcune perle della destra storica. Questo per non parlare di fenomeni e concetti di nuova generazione, alcuni dei quali, molto popolari, vengono contesi come patrimonio esclusivo più o meno da tutti, mentre altri sono reciprocamente scaricati da un lato all’altro dell’Onorevole Emiciclo, evidentemente per la loro bassa digeribilità popolare.

No, non voglio essere anche io annoverato fra i disfattisti, qualunquisti, populisti e tutti gli altri disprezzabili «isti» che aumentano confusione e torbidità, denigrando il nostro ceto politico o addirittura la politica in sé. Per me la politica è la più nobile arte umana e sono convinto che fra i politici c’è tanta gente che sente questa missione, ma quello che descrivo credo sia alquanto innegabile.

Provando ad entrare nel merito e tenendoci alquanto storicamente arretrati si potrebbe banalmente richiamare la somiglianza valoriale fra il «conservatorismo» e la tutela dell’ambiente, come entrambi afflati a salvaguardare e difendere l’esistente. Peccato che l’esplicito storico intento conservatore era prevalentemente quello di mantenere società ed economia nella loro integrità diseguale a vantaggio di pochi ricchi e potenti, gli stessi che potevano, come hanno fatto, devastare interi continenti, se ciò serviva a mantenere immutati equilibri solo da una parte del mondo.

Viceversa socialismo e comunismo si fondano sul concetto di distribuito, condiviso, nonché di bene comune, con sfumature che vanno dalla titolarità dei mezzi di produzione fino alla singola proprietà privata. Peccato, anche qui, che il sogno della ricchezza diffusa fosse fondato anch’esso sulla crescita continua, ignorando totalmente gli equilibri ambientali. Ma che cosa pretendiamo: è molto più recentemente che ci si accorge dell’ambiente e dei danni ad esso arrecati; fino al tardo dopoguerra, chi ci stava a pensare?

Una buona e sintetica analisi l’ha svolta un giovane blogger, Saverio Cianfrocca, il quale, però, non si azzarda a trarre conclusioni definitive. Registra solo correttamente che una serie di assonanze hanno portato l’ambientalismo a posizionarsi molto più con i partiti della sinistra, in particolare quella antagonista, o a generare esso stesso formazioni politiche tematiche. Ma la recente storia è stracolma anche di conflitti molto aspri fra le istanze ecologiste e i partiti della sinistra, soprattutto nei periodi di governo di questi, e anche durante esperienze di governo più «antagonista».

Esiste pure un vasto associazionismo che si richiama contemporaneamente all’ambiente e alla politica di entrambi gli schieramenti, con articolate graduazioni di rivendicazione di indipendenza. «Forse sarebbe meglio ragionare fuori dagli schemi abituali e riconoscere che la tutela dell’ambiente ha più a che fare con la saggezza e la lungimiranza piuttosto che con la schematizzazione sinistra/destra» dice Fabio Balocco dalle colonne del «Fatto Quotidiano».

Come abbiamo già detto, a parte qualche industrialista impenitente, ormai nessuno rischia di manifestare esplicita avversità alla sensibilità ecologista, e per garantirsi la copertura sceglie questo o quell’altro parziale aspetto della sostenibilità per farne baluardo di propaganda. Ma chi ci crede veramente? Chi adotta coerenti e completi programmi di cambiamento profondo dei paradigmi economici e sociali? E soprattutto, chi è pronto a praticarli senza sbavature, avendone l’opportunità? Sta di fatto, però, che un elemento di valutazione va cercato, andando al profondo nodo che potrebbe rappresentare veramente l’origine di una svolta ecologista ed equa per l’umanità.

Nobilissimi ed efficacissimi esempi di organizzazione produttiva e sociale realmente sostenibili sono presenti in tutto il mondo, occupando nicchie più o meno ampie; sono quasi in incognito, per garantirsi un riparo dai devastanti appetiti delle tentacolate potenze. È anche vero che questi modelli è più probabile, e contemporaneamente auspicabile, che attecchiscano in paesi ancora non «sviluppati» (secondo i nostri criteri), dove non bisogna smontare un gran che per ripartire, ma non ci sono molti dubbi che la svolta mondiale più efficace si dovrà attuare nel mondo industrializzato, da noi, insomma.

Scienza, conoscenza e tecnologia sono ormai mature, e non sono ulteriori sviluppi di queste che faranno la differenza, che daranno lo start. La vera differenza la farà, scusate se mi ripeto, chi avrà il coraggio, ad esempio, di sottrarre ai mostri speculativi e accentratori i 25.000 miliardi di dollari (qualcosa come da 500 a mille finanziarie di un paese come il nostro) sottratti alla pubblica disponibilità mondiale con l’evasione nei paradisi fiscali, e con quelli finanziare sul serio l’economia sostenibile. Ma la farà anche chi impedirà l’accumulo globale di terreni destinati a produrre cibo, soprattutto nel terzo mondo, fenomeno in corso e parallelo alla concentrazione finanziaria.

Anzi, quest’ultima misura vale più della prima, perché a differenza della terra i soldi sono solo virtuali, e c’è già chi ha studiato come «bypassarli», con moderni sistemi di banking delle materie e delle competenze professionali, l’internet delle cose e la produzione diffusa in stampa 3D. Quindi, per arrivare a mettere un punto di questa, forse troppo lunga, digressione su dove si posiziona l’ambientalismo, possiamo certamente asserire che sta con chi combatte i potentati finanziari e le multinazionali più invadenti. Ora tocca a voi: sapete identificare le forze politiche o lo schieramento che intende farlo veramente? Buona ricerca!