I danni sono descritti in dettaglio nel «Secondo Rapporto sugli effetti per l’ecosistema marino della tecnica dell’air gun». La comunità scientifica italiana ha prodotto un «libro bianco» che indica la necessità di avviare uno studio organico e sistematico sugli effetti del «rumore sottomarino» e sulle modificazioni che esso genera
In questi ultimi giorni è ritornata prepotentemente alla ribalta il problema delle ricerche di idrocarburi in Adriatico che prevede l’utilizzo di una tecnica fortemente invasiva, l’air gun nelle prospezioni geofisiche a mare.
È noto che dopo il mancato raggiungimento del quorum necessario per la validità del referendum No-Triv (17 aprile 2016) il governo con il DM del 3/09/2017 ha autorizzato, in deroga, la possibilità di nuovi pozzi e nuove piattaforme per estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine. A questa rimozione tramite decreto si è aggiunta la decisione del Consiglio di Stato che, nei giorni scorsi, ha bocciato i ricorsi delle Regioni Puglia e Molise sulla tecnica d’indagine denominata airg gun. Le due Regioni avevano infatti impugnato la sentenza del Tar del Lazio che permetteva l’utilizzo di questa tecnica fortemente invasiva nelle prospezioni geofisiche a mare (creazione di onde sonore con un «fucile ad area compressa»).
La Quarta Sezione del Consiglio di Stato ha, di fatto, giudicato infondati gli argomenti delle Regioni e non proceduralmente ammissibili bocciandone il ricorso. Le due Regioni contro il parere di compatibilità ambientale rilasciato dal ministero dell’Ambiente alla Spectrum Geo Ltd avevano messo in evidenza l’impatto negativo che creano le prospezioni geofisiche utilizzando l’air gun.
Tale tecnica infatti produce onde acustiche (frequenze comprese tra 50-150 Hertz ) che penetrando nel sottosuolo marino ne ricostruiscono la stratigrafia e la struttura dando informazioni sulla presenza o meno di «trappole strutturali» contenenti idrocarburi. È facilmente comprensibile come le onde acustiche generate, interessano per diversi km anche volumi di acque marine e coinvolgono il suo habitat.
Effetti negativi sono stati riscontrati in differenti specie ittiche di tipo comportamentale, ma anche alterazioni e disturbi di tipo biologico. L’equilibrio biologico marino è risultato fortemente modificato, a luoghi in modo irreversibile, nei processi riproduttivi, nell’accrescimento, nel tasso di sopravvivenza alla predazione.
Il tratto di mare in Adriatico oggetto di ricerca (diverse migliaia di kmq), ospita specie animali e vegetali di grande importanza sia per la biodiversità sia per l’attività di pesca. Le trasformazioni generate e registrate, sono descritte in dettaglio nel «Secondo Rapporto sugli effetti per l’ecosistema marino della tecnica dell’air gun» (MiniAmbiente, dicembre 2017 alle pag. 26-37). Di seguito le riportiamo sommariamente: mammiferi marini e pesci hanno evidenziato alterazioni comportamentali; alcuni invertebrati (cefalopodi) hanno mostrato di subire danni fisiologici; le popolazioni planctoniche hanno subito mortalità sino alla distanza di 1 km dalla sorgente.
Sulla base di queste evidenze i rappresentanti della comunità scientifica italiana hanno prodotto un «libro bianco» (AA.VV., 2017) che indica la necessità di avviare uno studio organico e sistematico sugli effetti del «rumore sottomarino» e sulle modificazioni che esso genera.
È evidente da quanto suesposto che, utilizzando il principio di precauzione, lo stato italiano avrebbe già dovuto vietare l’uso di tale metodologia di prospezione (come è avvenuto in Francia) e chiedere alle compagnie petrolifere interessate di finanziare ricerche su tali problematiche, da affidare ad enti di ricerca terzi. Al riguardo è necessario aggiungere altre considerazioni derivanti dall’esito negativo del quesito referendario del 17 aprile 2016 che ha cancellato la possibilità di porre una scadenza alle concessioni di ricerca e sfruttamento perpetuando quasi «ad libitum» la durata delle stesse.
Questo non è previsto in Italia per nessun tipo di concessione e trasgredisce nel contempo le regole comunitarie. Alle osservazioni già esposte ne aggiungiamo un’altra relativamente all’insignificante risparmio economico derivante da tali ricerche per il nostro paese. L’incidenza del contributo delle risorse fossili derivante dalla produzione delle piattaforme a mare (entro le 12 miglia) è stata valutata essere pari allo 0,95% del totale del fabbisogno nazionale e per il gas estratto è pari al 3% (Lega Ambiente 2015). Inoltre le seguenti, ulteriori ragioni ci portano a considerare antistoriche le ricerche di risorse energetiche fossili:
a) è una necessità tutta italiana superare la dipendenza da combustibili fossili di cui siamo estremamente poveri;
b) è una necessità tutta italiana convogliare attività di ricerca e risorse economiche sull’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili (eoliche, solari, geotermiche, a idrogeno…).
Noi riteniamo quindi che non sia più utile per il paese depauperare risorse economiche e ambientali nella ricerca di fonti energetiche fossili che comportano benefici economici poco rilevanti e scarsissimi risultati sulla nostra dipendenza energetica, provocando, di contro, effetti ambientali devastanti che incidono a cascata anche sul turismo. Sarebbe quindi auspicabile sulla base di quanto esposto e sulle attuali conoscenze un rapidissimo e totale passaggio all’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili in contrasto anche con quanto molto debolmente e lentamente previsto nella programmazione della SEN 2017 – 2020 varata dal ministero dell’Ambiente negli ultimi sei mesi del 2017.
Antonio Paglionico, Sigea