Riprendiamoci la capacità di disegnare la democrazia ripulita dalle incrostazioni provocate dal liberismo e dall’affarismo; arginiamo i fiumi di danaro sprecato e rubato, inchiodiamo alla sedia del lavoro e del servizio i profittatori del bene comune, legando alla penna e alle tastiere le mani fugaci di chi baratta con il passaggio del tesserino la scorribanda nei luoghi del piacere e del trastullo a tradimento
Quanti ricordano del loro percorso scolastico gli anni dell’immediato dopo-guerra, dal 1943 in poi, contano le tante trasformazioni della scuola italiana: l’istituzionalizzazione delle elementari, della media di 1° grado, il riassetto dell’obbligo scolastico, il superamento dell’avviamento, l’unificazione del perimetro delle Medie, le sperimentazioni degli indirizzi delle Medie e delle Secondarie, l’istituzione di Licei a indirizzo tecnico-scientifico, l’internazionalizzazione delle frequenze scolastiche e universitarie, ecc.
Noi di quell’epoca, quando il calamaio in cui intingere il pennino era inserito nel banco di legno, quando, in assenza dell’insegnante, il capoclasse segnava autoritariamente la lista dei «buoni e cattivi» sulla lavagna, noi con il tempo abbiamo esperimentato rivoluzioni culturali e, divenuti insegnanti, ci siamo affidati a nuove e tempestive forme di formazione e aggiornamento per aprire le nostre aule all’ingresso illuminato delle scienze umane e delle discipline.
Noi di quell’epoca, sottomessi a leggi ferree della compostezza e del rispetto, umili e accoglienti verso le intimidazioni e le punizioni, noi non ripeteremo mai il «si stava meglio quando si stava peggio!». Imparavamo la lezione di storia dettata dal maestro e trascritta sui leggendari quaderni a copertina nera, convinti che fosse giusto quanto da lui affermato sulla cattiveria delle Nazioni vincitrici che negavano all’Italia il diritto alla sua gloriosa regia Marina, attraverso le ingiunzioni di Parigi. La maggior parte di noi aveva ancora la divisa di Balilla sotterrata in campagna, perché il comando inglese in Sicilia non scoprisse l’appartenenza al dissolto partito del Fascio! Io carezzavo con il pensiero il mio moschetto nuovo di zecca, il fez e il pugnalino; sognavo le sfilate del Sabato, il saluto romano e i canti del regime … con gli occhi ormai della fantasia rivolti alle grandi scritte sulle facciate dei palazzi a firma «Mussolini». Poi mi spiegarono che il Duce non c’era più, che l’ascia del Littorio spuntata era il segno di una grande trasformazione. Mi convinsero che si poteva parlare liberamente perché ormai i muri non sentivano più e la carta blu scuro non copriva le nostre lampadine nell’ora del coprifuoco.
Noi di quell’epoca abbiamo rivoluzionato gli assetti primordiali della nostra cultura e delle nostre conoscenze, iniziando dalla meravigliata attenzione ai manifesti della Dc sulla libertà e democrazia, a quelli del Pci contro la prepotenza del capitalismo e alle figurazioni umoristiche del torchio asfissiante del Partito dell’uomo qualunque.
La nostra partecipazione alla vita politica, con le discussioni nelle sezioni delle tesi preparatorie dei Congressi sono via via riuscite a restituirci alla realtà della vita sociale secondo giustizia e pace.
Noi di quell’epoca, segnati fortemente dal confronto, dai comizi nelle nostre piazze sotto i campanili, dalle feste di partito, dagli scioperi sindacali nelle fabbriche e nelle scuole, nell’edilizia e nelle campagne, noi eredi, alcuni, dei morti di Bronte e dei martiri di Portella delle Ginestre, delle vittime di mafia per le vie e piazze di Sicilia e non solo, noi abbiamo creduto nella scuola nuova, buona se nuova, buona se restituisce ai cittadini la dignità dell’uguaglianza e dell’educazione alla pace sociale e alla giustizia partecipata.
Noi di quell’epoca chiediamo allo Stato di proseguire sul cammino delle conquiste umane e scientifiche che indicano le vie migliori per l’apprendere, sui metodi della didattica rinnovata e concepita come scienza essa stessa. Chiediamo allo Stato che le aule anguste, fatiscenti, scrostate e buie si trasformino in laboratori della vita culturale attiva, della ricerca e dei linguaggi contaminati arricchenti l’attenzione e la memorizzazione. Chiediamo che ritorni in campo la parola e l’incontro tra docenti e genitori, che gli strumenti del web non ci rubino quel che resta della partecipazione e della presenza per dare spazio alla creatività nell’immenso campo della formazione e dell’evoluzione positiva dei giovani e dei piccoli.
Noi di quell’epoca e tutti noi di ogni tempo chiediamo allo Stato che restituisca la dignità e l’onore agli operatori tutti della formazione, perché l’insegnante non resti monade isolata e possa trascorrere il suo tempo anche tra pagine nuove acquistate non al prezzo della pietanza del giorno!
Noi di tutte le epoche possiamo chiedere questo e altro ancora sia necessario al benessere degli studenti, senza scioperi e lotte di piazza, perché chi governa può studiare i problemi e discutere le decisioni, perché i ministri possono essere dispensatori del riconoscimento dovuto, nel rispetto delle giovani vite.
Noi di tutte le epoche chiediamo che i nostri giovani, a conclusione degli studi dell’obbligo, possano studiare ancora senza spendere l’osso del collo, possano trovare lavoro in dignità e riuscire a impostare la vita di relazione e di famiglia nei tempi più regolari, aspirando ad una vecchiaia dignitosa, a suo tempo. Possano avere figli in tempo naturalmente utile per aspirare a una figliolanza anche numerosa.
Tutto questo perché tra 40 anni ci sia un’Italia non troppo anziana e povera, perché le future politiche non abbiano a pietire immigrazioni dai continenti terzomondisti per confidare negli antichi confini e non si abbia a maledire un passato di spreconi del tempo della vita e della dignità.
Noi di tutte le epoche sappiamo che la rivoluzione ha inizio adesso e da anziani ci battiamo perché i nostri giovani non hanno percepito ancora la triste ventura che seguirà all’immobilismo e alla grettezza di chi condiziona il futuro decapitando il presente!
Vanno e vengono navigando nel Transatlantico, facendo navette di passi subdoli, architettando parole e schieramenti, … fuori il mare dei sogni sconfina nell’assurdo e il giovane ripone nel suo cassetto desideri agognati, l’amore rimandato e i figli nel dubbio della speranza mutata in assurda utopia!
Non possiamo più pietire e attendere dall’alto, ora è il tempo dei cambiamenti: non vale cambiare partito e schieramento, ora è tempo della rivoluzione. Riprendiamoci la capacità di disegnare la democrazia ripulita dalle incrostazioni provocate dal liberismo e dall’affarismo; arginiamo i fiumi di danaro sprecato e rubato, inchiodiamo alla sedia del lavoro e del servizio i profittatori del bene comune, legando alla penna e alle tastiere le mani fugaci di chi baratta con il passaggio del tesserino la scorribanda nei luoghi del piacere e del trastullo a tradimento.
Riportiamo all’antica aspirazione alla giustizia non la favola ma la legge morale, l’etica della politica fondata sulla verità: confrontiamo le menti, uniamo le forze!
Diamo un monito al potente di turno che invoca l’addestramento perfetto alle armi nascoste per falciare attentatori ignari nelle scuole di America e del mondo. Al crepitio delle armi pedagogiche vogliamo che si difenda la capacità di educare e formare alla convivenza i giovani: libri e letture, dialogo e ascolto le nostre armi della sapienza.
Creiamo agorà libere e partecipate, perché la nostra democrazia è ancora giovane e debole; le fiere fameliche indicate da Dante percorrono sentieri spianati; la corrente ama i giunchi docili noi andiamo controcorrente verso la fonte perché le acque fluenti non contaminino alla foce il mare grande che all’orizzonte abbraccia il cielo.
*Pedagogista Socio onorario dell’Associazione nazionale dei pedagogisti italiani