Etna, ricostruita la dinamica del flusso piroclastico

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etna Andronico
La nube di cenere prodotta dal flusso piroclastico che scende dal fianco del Nuovo cratere di Sud-Est. Foto scattata qualche minuto dopo l'evento da Toti Domina, dalla Casa di Paglia Felcerossa, sul versante orientale del Parco dell’Etna (900 m s.l.m.) vicino alla frazione di Fornazzo (Milo)
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Ricostruito l’evento del febbraio 2014. Comprendere la natura dei flussi piroclastici, uno dei fenomeni più pericolosi che possono avvenire nelle aree sommitali dell’Etna. È quanto si prefigge la ricerca, a firma Ingv, pubblicata sul «Journal of Volcanology and Geothermal Research»


Ricostruire la dinamica del flusso piroclastico dell’11 febbraio 2014 con l’obiettivo futuro di valutare il potenziale pericolo dei flussi piroclastici dell’Etna, riducendo così i rischi per scienziati e turisti che visitano ogni anno la cima di un vulcano tra i più attivi al mondo. È lo studio condotto da un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv). La ricerca, finanziata dal Dipartimento di Protezione civile (Dpc), ha analizzato il collasso di una porzione del Nuovo cratere di Sud-Est avvenuto l’11 febbraio 2014, che ha generato un flusso piroclastico propagatosi molto rapidamente verso la Valle del Bove.

Lo studio dei depositi vulcanici ha fornito dati scientifici sul possibile innesco e sulla dinamica del flusso piroclastico generato all’Etna, e ha costituito uno primo elemento utile per la valutazione del rischio anche in altri vulcani simili. La ricerca è stata pubblicata su «Journal of Volcanology and Geothermal Research».

«Fino a pochi decenni fa – spiega Daniele Andronico, vulcanologo dell’Osservatorio Etneo (Ingv-Oe) – poiché l’Etna era poco incline a generare flussi piroclastici, le colate di lava erano considerate tra i fenomeni vulcanici più pericolosi per la loro potenziale minaccia ai centri abitati. Dopo il 1998, tuttavia, oltre 200 eventi parossistici, caratterizzati da fontane di lava e colate laviche, hanno generato la rapida crescita in area sommitale del Cratere di Sud-Est e, a partire dal 2011, del Nuovo cratere di Sud-Est».

Le continue variazioni morfologiche di questi due coni e, in particolare, dei loro fianchi, formati dalla sovrapposizione di ceneri e scorie di lava, hanno generato una situazione di potenziale instabilità dei versanti, soprattutto quello esposto ad oriente e prossimo al ciglio della ripidissima parete della Valle del Bove.

«I flussi piroclastici – proseguono Alessio Di Roberto ed Emanuela De Beni, ricercatori Ingv e coautori dello studio – sono in gran parte imprevedibili. Coinvolgono materiali molto caldi e possono raggiungere distanze considerevoli dal punto di distacco». L’imprevedibilità di tali fenomeni, nel caso specifico di vulcani come l’Etna, è da mettersi in relazione all’incertezza sulla possibilità che si verifichino, ai meccanismi di innesco e alle aree di possibile invasione. Diventa, pertanto, fondamentale ricostruire i possibili fattori predisponenti la generazione di questi fenomeni e modellizzarne la propagazione.

Diversi sono i fattori che hanno favorito l’evento del 2014: la rapida crescita di un cono di grosse dimensioni (il Nuovo cratere di Sud-Est) sul bordo della Valle del Bove, l’attività esplosiva stromboliana e la presenza di flussi di lava attivi che hanno sovraccaricato i fianchi del cono. La presenza di bocche effusive, fratture e gas caldi hanno, inoltre, contribuito ad indebolire meccanicamente e termicamente il cono, rendendolo poco stabile e incline al collasso. Ultima causa del collasso, anche se non meno importante, è stata la spinta di un corpo di magma intruso a bassa profondità. Questa intrusione ha innescato la destabilizzazione finale del cono, il cui cedimento ha di fatto generato il flusso piroclastico lungo i ripidi fianchi del cono, con oltre 30° di inclinazione.

«La simulazione numerica della propagazione dei flussi piroclastici dell’eruzione del 2014, nonché di altri scenari verosimili, su cui stiamo ancora lavorando, potrà contribuire a valutare meglio la pericolosità associata a questi fenomeni e quindi alla mitigazione dei rischi a cui possono essere esposti scienziati e turisti che visitano le aree sommitali dell’Etna», conclude Andronico.

La ricerca pubblicata ha una valenza essenzialmente scientifica, priva al momento di immediate implicazioni in merito agli aspetti di protezione civile.

Abstract 

«Pyroclastic density currents at Etna volcano, Italy: The 11 February 2014 case study», i cui autori sono un gruppo di ricercatori delle sezioni INGV di Catania e Pisa (Andronico, D., Di Roberto, A., De Beni, E., Behncke, B., Bertagnini, A., Del Carlo, P., Pompilio, M.)

On 11 February 2014, a considerable volume (0.82 to 1.29 × 106m3) of unstable and hot rocks detached from the lower–eastern flank of the New Southeast Crater (NSEC) at Mt. Etna, producing a pyroclastic density current (PDC). This event was by far the most extensive ever recorded at Mt. Etna since 1999 and has attracted the attention of the scientific community and civil protection to this type of volcanic phenomena, usually occurring without any clear volcanological precursor and especially toward the mechanisms which led to the crater collapse, the PDC flow dynamics and the related volcanic hazard. We present here the results of the investigation carried out on the 11 February 2014 collapse and PDC events; data were obtained through a multidisciplinary approach which includes the analysis of photograph, images from visible and thermal surveillance cameras, and the detailed stratigraphic, textural and petrographic investigations of the PDC deposits. Results suggest that the collapse and consequent PDC was the result of a progressive thermal and mechanical weakening of the cone by repeated surges of magma passing through it during the eruptive activity prior to the 11 February 2014 events, as well as pervasive heating and corrosion by volcanic gas. The collapse of the lower portion of the NSEC was followed by the formation of a relatively hot (up to 750°C) dense flow which travelled about 2.3 km from the source, stopping shortly after the break of the slope and emplacing the main body of the deposit which ranges between 0.39 and 0.92 × 106 m3. This flow was accompanied a relatively hot cloud of fine ash that dispersed over a wider area. The results presented may contribute to the understanding of this very complex type of volcanic phenomena at Mt. Etna and in similar volcanic settings of the world. In addition, results will lay the basis for the modeling of crater collapse and relative PDC events and consequently for the planning of hazard assessment strategies aimed at reducing the potential risks to scientists and tens of thousands of tourists visiting Etna’s summit areas every year.

(Fonte Ingv)