Conversione «green power» per la centrale a carbone di La Spezia

3133
Enel La Spezia centrale carbone
Tempo di lettura: 3 minuti

Il Wwf Italia, che nel contempo ha chiesto uno studio ad Enea per avanzare alcune proposte per una transizione energetica verso modelli di sviluppo sostenibile, chiede ad Enel di confermare con i fatti le buone intenzioni di conversione della compagnia smettendo di sfruttare la «vecchia carretta» super inquinante

Torna in auge, e questo anche grazie alla stesura di una lettera aperta che la presidente del Wwf Italia Donatella Bianchi ha scritto nei giorni scorsi agli amministratori e a tutti i soggetti coinvolti nella struttura, la storia legata alla chiusura della centrale a carbone Eugenio Montale di La Spezia.

La chiusura della centrale, comunque prevista per il 2021, veniva data per anticipata negli scorsi anni, alla luce dell’impatto ambientale sanitario e degli impianti vecchi. Tuttavia, nonostante la decisione di chiudere tutte le centrali termoelettriche a carbone entro il 2025, tutto tace.
L’impianto continua ad inquinare, provocando in un solo anno un impatto sanitario medio stimabile in 59 morti premature, 34 casi di bronchiti croniche nei soli adulti, 43 casi di ricoveri ospedalieri, 1.469 attacchi di asma nei bambini, 18.660 giorni di lavoro perso e costi sanitari medi di circa 88,2 milioni di euro (dati European Coal Plant Database – Europe Beyond Coal).
La presidente del Wwf Italia nella lettera precisa di «sapere che Enel ha commissionato uno studio per esplorare i futuri possibili scenari di utilizzo dell’area, informazioni che è venuto il momento di condividere e rendere pubbliche». La stessa dichiara come «sia arrivato il momento per gli amministratori, a cominciare dal sindaco Peracchini che sembra non avere intenzione di continuare il confronto avviato dalla precedente amministrazione con il rischio di indurre rinvii, di sgombrare il campo dai dubbi sul processo di dismissione».
Il Wwf Italia, che nel contempo ha chiesto uno studio ad Enea per avanzare alcune proposte per una transizione energetica verso modelli di sviluppo sostenibile, chiede ad Enel di confermare con i fatti le buone intenzioni di conversione «green power» della compagnia smettendo di sfruttare la «vecchia carretta» super inquinante. Risulta necessario che venga aperto subito un tavolo di confronto, allargato a tutti i soggetti coinvolti, per affrontare la chiusura anticipata della centrale che continua ad emettere sostanze pericolose per l’ambiente e la salute dei cittadini, individuare le soluzioni occupazionali alternative per i circa 220 dipendenti e i quasi altrettanti lavoratori dell’indotto, nonché prefigurare il futuro dell’area.

La centrale a carbone, risalente agli anni 60, fu costruita in piena città. Nel 1990 gli abitanti di La Spezia, con un referendum popolare, espressero la volontà di far chiudere la centrale entro il 2005, cosa che però non è accaduta. L’impianto, nel frattempo, ha subito pesanti modificazioni sul piano tecnologico, che hanno portato la conversione a gas di due gruppi e l’istallazione di desolforatori e denitrificatori al gruppo a carbone rimasto, misure resesi necessarie anche per l’allarme lanciato da studi e perizie che attestavano il grave impatto prodotto dalla centrale sui territori circostanti, oltre che per il rispetto dei limiti di legge.

Stando alle dichiarazioni ufficiali di Enel, l’impianto chiuderà al massimo entro il 2021, anno in cui scadrà l’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), con il comune di La Spezia che ha negli anni aperto tavoli di confronto con le aziende e tutti i portatori di interesse al fine di vagliare le possibili opzioni di utilizzo produttivo dell’area dopo la chiusura dell’impianto.

Un confronto che deve integrarsi con quello a livello regionale, avendo assunto anche quest’ultima impegni per la decarbonizzazione.
Perché La Spezia potrebbe rappresentare davvero un modello per tutta l’Italia e quello sulla centrale Eugenio Montale diventare un progetto pilota di «decarbonizzazione», una sfida tutta italiana da vincere per garantire la salute delle comunità coinvolte e assicurare un reale sviluppo sostenibile dell’area.

 

Elsa Sciancalepore