Se il Ministero nomina commissario un… rabdomante

4768
acqua risorse naturali
Tempo di lettura: 3 minuti

Questo può succedere solo quando uno Stato disconoscendo il valore della scienza si affida «ai poteri sensitivi» che, anche se importanti sono assolutamente non risolutivi per problemi complessi

Il prof. geologo Antonio Paglionico, già ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali all’Università A. Moro di Bari ci invia alcune Osservazioni sull’articolo «Rabdomanzia e Radioestesia» a proposito di una polemica sorta dopo la pubblicazione dell’articolo «Non c’è l’acqua? Ve la trovo io» pubblicato il 15 agosto nella pagina «Cultura & Tempo libero» del «Corriere del Mezzogiorno» a cura di N. Signorile.

Desidero non entrare nell’interessante discussione che è sorta intorno «… alla possibilità di innescare il “remote sensing umano” che fa parte di programmi di ricerca di vari enti internazionali al fine di capire e decifrare le dinamiche biofisiche della neurofisiologia degli strati superiori della coscienza»… Si tratta di ricerche di punta interessanti e rilevanti per gli sviluppi che potrebbero generare, ma che, pur ammettendo una loro futura potenzialità, esulano dalle mie conoscenze e dalla mia curiosità scientifica. Mi interessa invece, come geologo senior, accennare alla problematica utilizzazione della rabdomanzia (che non è una scienza), nel campo della ricerca delle risorse idriche tradizionali e termali, che hanno portato a nominare Commissario presso il ministero del Turismo, interessato alle acque termali, un «rabdomante».

Questo può succedere solo quando uno Stato disconoscendo il valore della scienza si affida «ai poteri sensitivi» che, anche se importanti sono assolutamente non risolutivi per problemi complessi. Ritengo, infatti, che solo studi e ricerche approfondite possano essere utili per investigare sulla reale potenzialità e trovare soluzioni per la salvaguardia della risorsa idrica, tra le più importanti risorse per il nostro paese e più in generale per il pianeta terra.

A mio avviso, sarebbe necessario a tal fine effettuare maggiori investimenti economici e intellettuali, nei prossimi decenni, per stimare quantitativamente le potenzialità e l’uso dell’acqua «bene primario» a livello globale in modo da «aggredire» questo problema in modo consapevole e razionale, prima del time out termico previsto dal panel degli scienziati dell’Ipcc per il 2030 che incideranno fortemente sulla risorsa idrica globale.

È noto l’attuale depauperamento della risorsa idrica a scala planetaria, dovuto a diverse motivazioni (cambiamenti climatici, uso non razionale, spreco della risorsa…) per cui l’utilizzo di una «tecnica sensitiva» non scientifica e razionale, ma di tipo puntuale e diffusa, come la «rabdomanzia» rischia di procurare danni che potrebbero rivelarsi irreversibili.

Le motivazioni a sostegno di tale mio convincimento sono semplici e cercherò di esporle brevemente: la «rabdomanzia» non può valutare per la sua specificità e prossimalità, le volumetrie globali della risorsa in un areale, men che mai all’interno di sistemi più complessi come un bacino idrografico. Diventa inoltre una pratica pericolosa se addirittura proposta, discussa, amplificata e sponsorizzata dalla stampa e dalle strutture pubbliche a diversi livelli come è successo recentemente (Festival dei Sensi…).

A mio avviso, la sua «forte pericolosità», consiste essenzialmente nella totale assenza da parte del «rabdomante» di una sua impossibile valutazione quantitativa della potenzialità della risorsa a livello di bacino, né di sottobacino ma anche di un areale. Questo risulta in particolare vero in areali carbonatici, come quello pugliese e di altre regioni italiane, caratterizzate da un acquifero carsico irregolarmente fratturato a piccola e grande scala a cui si aggiunge una forte ingressione delle acque marine, amplificata da un emungimento non controllato sia dell’acquifero carsico profondo sia di quello superficiale.

Una conoscenza approfondita degli elementi strutturali del basamento carbonatico in cui scorre la falda e della sua idrogeologia fu perseguita dal compianto prof. M. Maggiore (Università di Bari anni 80-90 ) ed attualmente è ancora oggi studiata dalla Scuola di Idrogeologia del Dipartimento di Geologia Applicata del Politecnico di Bari e dagli Istituti del Cnr di Bari (Irsa e Irpi). I lavori scientifici, prodotti nei decenni, hanno permesso di costruire modelli idrogeologici sia del substrato pugliese, ma anche di molte altre regioni italiane, con riconoscimenti della loro valenza a livello nazionale e internazionale.

Tra gli ultimi lavori desidero riportare, come esempio, uno dei più recenti pubblicato sulla prestigiosa rivista «Environmental Earth Science»: Sulphuric acid geofluid contribution on thermal carbonate coastal springs (Italy) (M. Polemio et alii, 2018). L’attività di ricerca ultradecennale in questo campo ha generato anche professionisti idrogeologi che lavorano con sistematicità e successo nel settore.

Quanto suesposto vuole essere, quindi, un appello al fine di salvaguardare il più possibile l’attuale risorsa idrica in forte disequilibrio in particolare in Puglia (minacciata non solo da fenomeni planetari, ma anche da interventi antropici fortemente negativi). Da qui la necessità di creare strutture tecniche regionali, attualmente mancanti, finalizzate alla ricerca e alla gestione delle risorse idriche sotterranee, importanti fonti di approvvigionamento potabile. La salvaguardia della risorsa può essere perseguita, a mio avviso, solo se per tale obiettivo vengono utilizzate risorse intellettuali, non di tipo «sensitivo», ma costruite attraverso un iter scientifico severo, sottoposte sistematicamente a verifiche e a contradditori nazionali e internazionali.

Prof. geologo Antonio Paglionico, già ordinario presso il Dipartimento di Scienze della Terra e Geoambientali all’Università A. Moro di Bari