I casi del Torrente Raganello e del ponte Morandi dimostrano drammaticamente qual è il male del Belpaese. Si può intervenire in un Paese con una carta geologica incompleta e ferma agli anni 90? Un paese che non cura la propria fragilità è votato al suicidio
Mi viene, molto sommessamente, di accomunare le due grandi tragedie avvenute in questo terribile agosto 2018 che ci colpiscono profondamente nel senso di responsabilità che tutti gli italiani dovrebbero sentire di fronte ad un paese fragile e ad un territorio poco tutelato. Con i dovuti distinguo tra i due casi, diversi per la loro entità e per motivazioni tecniche, essi presentano la stesso «philum»: un Paese che trascura la propria fragilità fisico-territoriale.
A fronte di queste tragedie che annualmente si concentrano nei passaggi di stagione, quando la fragilità del territorio è più facilmente aggredibile a causa di eventi meteorologici, non è stato fatto altro in queste diverse decine di anni che: a)tagliare gli investimenti nel settore della previsione e prevenzione; b)ridurre e non implementare le strutture comunali, regionali e statali di «tecnici» di nuova generazione; c) ridurre del 50% gli investimenti già esigui per la messa in sicurezza del territorio. Un esempio macroscopico, che mi consta personalmente in quanto Direttore Scientifico del Foglio 580 della Carta Geologica d’Italia 1:50.000, è stato il blocco di una moderna riedizione della Cartografia geologica nazionale, ferma per assenza di finanziamenti dagli anni 90 (Progetto Carg).
Una moderna cartografia geologica sarebbe il primo strumento di «base»(la copertura è attualmente pari al 40% del territorio nazionale) da completare velocemente per migliorare il governo del territorio fisico del paese. Di fronte al «martirio» di Genova e del Raganello è giusto chiedersi quali sono i colpevoli e come è possibile evitare o almeno mitigare gli effetti disastrosi e luttuosi avvenuti, nel più breve tempo possibile.
A quanto prima descritto desidero aggiungere, relativamente alla tragedia del Torrente Raganello, che in seguito all’evento si è subito innescato un turbinio di comunicati stampa, prodotti da enti pubblici di ricerca e da strutture regionali: Protezione Civile Regione Calabria, Parco Nazionale del Pollino, Ordine Regionale Geologi Calabria, Comune di Civita alla ricerca del «colpevole assente». In particolare, lasciando che la magistratura inquirente focalizzi le responsabilità penali del caso, desidero soffermarmi sugli interventi del Cnr-Irpi che con due note stampa del 22/08/2018: Piena torrente Raganello, eventi simili che hanno colpito il Paese, riporta un censimento asettico di alcuni degli eventi tragici e luttuosi che nei tempi recenti (anni 90) hanno colpito alcune regioni italiane a cui aggiunge una seconda nota: Uno storico di frane e inondazioni in Calabria dal 1860 al 2017.
La seconda nota riporta seguendo anch’essa una cronologia asettica il numero di eventi e di perdite di vite umane verificatesi nell’ultimo secolo (questi dati per la verità risultano totalmente discordanti rispetto a quelli riportati dal prof. Settis sempre fonte Cnr-Irpi in un suo recentissimo intervento sulla stampa).
Indipendentemente dai dati molto diversi fra loro quello che mi preme osservare che poco o niente è presente nei due Documenti dell’Addetto stampa del Cnr-Irpi sulle responsabilità che in termini di previsione e prevenzione sono da imputare sicuramente: a) ad una cattiva manutenzione; b) alla carenza di strumenti e personale (deficienza della rete pluviometrica e idrometeorica e di tecnologie collegate nell’areale e di personale tecnico). Questi elementi avrebbero permesso di allertare in tempo reale, l’areale interessato dall’evento e avrebbero potuto mettere in sicurezza le vite umane. Mi rendo conto che l’addetto stampa non aveva tale libertà ma di contro un Documento asettico riportato dagli organi di stampa e dai media non raggiunge risultato alcuno, se non evidenzia anche le carenze che hanno prodotto e amplificato gli effetti.
Un paese, come l’Italia, tra i più fragili in Europa con aree in frana che coprono circa l’8% del territorio nazionale, con circa il 17% dell’areale totale a rischio idrogeologico, con il 44% a rischio sismico e con un dissennato consumo di suolo (circa l’8% all’anno; Ispra, 2018). Si tratta quindi, mi scuso per il paragone importuno ma efficace, di una matura «signora» in decadimento fisico in assenza di maquillage i cui effetti anche se non risolutivi possono essere più o meno mitigativi.
Permettetemi, infine le seguenti riflessioni che da tempo ho maturato e che desidero trasferire a chi mi legge: negli ultimi 25-30 anni tagli economici lineari sono stati inferti: a) alla manutenzione del territorio fisico del paese: alle aree in dissesto idrogeologico per frane, alluvionamenti, erosione costiera, al disinquinamento delle falde idriche; b)alla mancata manutenzione delle grandi strutture, infrastrutture e dei servizi: scuole, ospedali, rete viaria, rete ferroviaria… Come ha già scritto il prof. Settis, inascoltato, in diverse occasioni: un paese che non cura la propria fragilità è votato al suicidio. Io spero che la discontinuità e il cambiamento di passo e d’intenti del nuovo esecutivo possa iniziare, come promesso, quest’opera di risanamento e ricostruzione fondamentale per il Paese generando nel contempo lavoro ed evitando perdite di vite umane, di strutture e infrastrutture.
Prof. geologo Antonio Paglionico