Rischi ambientali, ancora basse percezione e comunicazione

2335
convegno sociologi ambientali
Tempo di lettura: 2 minuti

Gli atti di un convegno dei sociologi dell’ambiente che si è tenuto presso l’Università di Chieti formano un numero monografico della rivista «Prisma»

È in corso di pubblicazione un numero monografico della rivista dell’Ires-Marche, «Prisma», dal titolo: «Rischi ambientali e comunicazione».

Il numero monografico, è curato da due sociologi, Andrea Cerase e Manlio Maggi (Ispra), e raccoglie i materiali dell’XI convegno nazionale dei sociologi dell’ambiente tenutosi presso l’Università di Chieti nel settembre 2017.

Nell’editoriale che apre la pubblicazione di Cerase e Maggi, si evidenzia come nella nostra epoca si è «profondamente modificato il rapporto tra individui, sistemi sociali e ambiente, ridefinendo radicalmente le condizioni sociali attraverso cui i rischi sono percepiti, riconosciuti, compresi e gestiti».

L’articolo, che propone un ragionamento «politico» sui rapporti tra rischio, ambiente e comunicazione e sulle professionalità e responsabilità di chi deve gestire questo tipo di relazioni, poi evidenzia come in Italia «soprattutto nel settore pubblico, ancora oggi sembrano prevalere gli approcci tecnocratici, che spesso si accompagnano a eccessi di burocratizzazione che rendono più difficile intervenire in maniera flessibile, organica ed efficace. Per quanto sia doveroso segnalare le eccezioni in positivo, non sembra ancora pienamente superata l’idea convenzionale e obsoleta che il rischio sia materia esclusiva per ingegneri, statistici, al più per gli economisti, e che i saperi sociologici e comunicativi siano inutili o persino d’intralcio. La diaspora di molti bravi studiosi italiani verso Università e centri di ricerca all’estero è un indicatore particolarmente espressivo di questo clima culturale, che rende meno agevole la costruzione di percorsi formativi e professionali adeguati e riconoscibili.

«Questa situazione – continua l’articolo – rende ancor più stridente la paradossalità della situazione del nostro Paese che, a fronte di una fortissima esposizione a rischi di varia natura non sembra in grado di “costruire” l’expertise sociologica che sarebbe necessaria per istruire in modo più consapevole le strategie di mitigazione e prevenzione».

«Per capire la portata di questo ragionamento – continua l’articolo – è sufficiente fare qualche esempio, soltanto per dare un’idea più compiuta delle dimensioni dell’esposizione ai rischi» e continua citando casi relativi sia ai rischi di origine naturale (es. il Vesuvio ed i Campi Flegrei) sia i rischi di origine antropica (gestione del ciclo dei rifiuti, aziende a rischi incidente rilevante, ecc.).

Gli autori però affermano anche che «rispetto al passato, sembrano intravedersi all’orizzonte piccoli segni di cambiamento, che vanno incoraggiati e sostenuti perché abbiano un impatto reale e duraturo. Il nuovo codice della Protezione Civile, ad esempio, apre spazi di manovra più ampi per le collaborazioni tra Università, gli enti di ricerca e gli studiosi di questi temi, anche nell’ottica di un adeguamento delle conoscenze allo stato dell’arte in Europa e nel mondo».

L’articolo quindi continua citando una serie di interventi sul tema raccolti nella rivista, a seguito del convegno presso l’Università di Chieti. Contributi che provengono sia da professori ordinari sia da giovani che stanno concludendo o hanno da poco terminato il dottorato. In questo modo si è inteso valorizzare l’interdisciplinarietà e la pluralità degli approcci.

Da sottolineare come i ricercatori e gli studiosi coinvolti si sono posti come «civil servant», con l’intenzione di aprire un’interlocuzione «culturale» con i decisori politici che si occupano delle tematiche legate alla valutazione, alla gestione e alla comunicazione del rischio.

 

(Fonte Arpat)