Le trivelle chiedono più spazio…

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La Northern Petroleum chiede altri 670 Kmq senza una nuova Via. Un petrolio che fa più danni che utili: un contributo pari allo 0,95% del totale del fabbisogno nazionale e per il gas estratto è pari al 3%. Danni incalcolabili per le specie marine a fronte di royalty irrisorie


L’incubo delle ricerche di idrocarburi in Adriatico è ricorrente e con esse il conseguente impatto ambientale e territoriale. La Northern Petroleum ha, infatti, chiesto in questi giorni al Mise e al ministero dell’Ambiente di modificare l’area di ricerche per idrocarburi in Adriatico, già ottenuta, spostandola e ampliandola dalle aree nord-adriatiche su cui aveva il permesso in aree più meridionali.

La Società inglese ha presentato una richiesta di assoggettabilità a Via di un nuovo perimetro, diverso dal precedente, su cui era stato autorizzato il suo intervento, ampliandolo di circa 670 Kmq. Per tale richiesta, secondo la Società petrolifera inglese, non sarebbe necessario un nuovo procedimento di Via in quanto le nuove aree non «differirebbero significativamente» dalle precedenti e quindi non avrebbero necessità di essere assoggettate.

L’assurdità della richiesta risulta plateale, si propone di estrapolare a due areali differenti, senza alcuna giustificazione le stesse caratteristiche geo-litologiche e strutturali, evitando e aggirando il principio generale di precauzione con una supponenza di tipo mediatica e para-geologica di uniformità. Desidererei ricordare, al proposito, che le ricerche petrolifere in mare utilizzano in prima battuta una tecnica invasiva per l’habitat marino: «un cannone ad aria compressa: l’air gun».

Tale tecnica si basa sulla produzione di onde acustiche (le frequenze sono comprese tra 50 e 150 hertz) generate da «scoppi di esplosivo» in mare. Tali onde, captate da geofoni, attraversando il substrato roccioso permettono, di ricostruire la stratigrafia e la geometria dello stesso dando informazioni sulla presenza o meno di trappole eventualmente contenenti idrocarburi.

È immaginabile che le onde sonore interessano per diversi Kmq anche cospicui volumi di acque marine e impattano sul suo habitat. Effetti negativi di tipo comportamentale, alterazioni e disturbi di tipo biologico sono state riscontrate in diverse specie ittiche campionate nelle acque interessate dall’«air gun».

L’equilibrio biologico marino è risultato fortemente modificato, a luoghi in modo irreversibile, nei processi riproduttivi, nell’accrescimento e nel tasso di sopravvivenza alla predazione. Il tratto di mare Adriatico sottoposto a ricerca (diverse migliaia di Kmq nella sua globalità), come ho riportato in un precedente intervento (19/03/2018 in «Altervista Ecodempuglia»): «…ospita specie animali e vegetali di grande importanza sia per la biodiversità che per l’attività di pesca… Le trasformazioni generate sono registrate e descritte nel “Secondo Rapporto sugli effetti sull’Ecosistema Marino della Tecnica dell’air gun”» (MiniAmbiente 2017). Di seguito li ricordo sinteticamente: mammiferi marini e pesci hanno evidenziato alterazioni di tipo comportamentale; alcuni invertebrati (cefalopodi) hanno mostrato di subire danni fisiologici; le popolazioni planctoniche hanno subito mortalità sino alla distanza di 1 Km dalla sorgente. (Libro Bianco, 2017 AA.VV.).

Lo Stato italiano avrebbe dovuto applicare il principio di precauzione vietando l’uso di tale metodologia di prospezione come avvenuto in Francia. Alle osservazioni negative esposte ne aggiungo delle altre che riguardano l’insignificante risparmio economico derivante da tali ricerche per il nostro paese. L’incidenza del contributo delle risorse fossili derivante dalla produzione delle piattaforme a mare (entro le 12 miglia) è stata valutata essere pari allo 0,95% del totale del fabbisogno nazionale e per il gas estratto è pari al 3% (Legambiente, 2015).

Inoltre altre ragioni mi portano a considerare antistoriche le ricerche di risorse energetiche fossili: a) è una esigenza italiana superare la dipendenza dai combustibili fossili di cui siamo estremamente poveri; b) è una necessità italiana, quindi, convogliare attività di ricerca e risorse economiche sull’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili (eolico, solare, geotermico, a idrogeno…).

Ritengo quindi che non sia utile per il paese depauperare risorse economiche e ambientali nella ricerca di fonti energetiche fossili che comportano: a) benefici economici poco rilevanti; b) scarsi risultati sulla dipendenza energetica del paese; c) effetti ambientali devastanti che incidono a cascata anche sul turismo. Il nostro paese ogni anno versa al settore Oil&Gas oltre 16 miliardi di euro attraverso sussidi diretti e indiretti; di contro dal settore petrolifero le royalty che le compagnie concessionarie versano allo Stato sono tra le più basse del mondo. Sulla base di quanto esposto, sarebbe, a mio avviso, necessario un più rapido e deciso passaggio all’utilizzo di risorse energetiche rinnovabili questo risulta in contrasto totale con quanto molto debolmente e lentamente previsto nel Sen nazionale 2017-2020, varato dal MiniAmbiente negli ultimi mesi del 2017.

Potrebbe essere una importante iniziativa da parte del neo-governo che si è definito del cambiamento quello di proporre un «nuovo modello energetico» di vera transizione verso uno scenario post carbone: a) sostenendo processi di decarbonizzazione in tutti i settori produttivi; b) introducendo massivamente modelli di consumo basati sull’Economia Circolare; c) incentivando uno sviluppo economico-industriale tendente a rifiuti zero, emissioni zero e filiera corta dei consumi, di energia, di cibo.

Sarà il neo governo capace di mettere in atto tali meccanismi? La Regione Puglia da parte sua ha predisposto il nuovo Piano Energetico Ambientale Regionale (Pear) successivo a quello adottato nel 2007 (Delibera di G.R. n. 827 del 08/06/2007). Questo trova la sua espressione nel Documento preliminare programmatico, che sarà sottoposto insieme al Rapporto preliminare ambientale, alla consultazione ambientale preliminare (art. 13 del DLgs 152/2006). È necessario che tale operazione non si trasformi in una vetrina delle intenzioni e che le osservazioni trovino il dovuto ascolto e la conseguente ricezione. Solo seguendo tali modalità si potrebbe generare, attraverso l’implementazione nei percorsi di accompagnamento, l’attuazione dello Pear, generando una accettabilità sociale ed ambientale diffusa e la prevenzione di conflitti.

 

Prof. geologo Antonio Paglionico