Le pulsioni ancestrali del cervello porteranno all’autoestinzione

4500
cervello impulsi primitivi
Tempo di lettura: 3 minuti

L’eccessiva rapacità nei confronti delle risorse e l’impulso all’espansione, che nel Paleolitico ci hanno garantito la sopravvivenza oggi invece, complice il progresso tecnico, porterebbero al sovrasfruttamento delle risorse e alla sovrappopolazione, minacciando così di portare il pianeta Terra verso il definitivo collasso. Pubblicato sulla rivista scientifica «Biological Theory», il provocatorio studio di Paolo Rognini del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa

Stiamo scoprendo che i nostri crani ospitano cervelli che danno ancora risposte ancestrali, non adattative all’era in cui viviamo. In pratica abbiamo alcuni comportamenti, residui di risposte arcaiche, che ci porteranno a distruggere il pianeta e, di conseguenza, noi stessi, realizzando così una versione del tutto inedita dell’evoluzione: l’autoestinzione di una specie. È questa, in estrema sintesi, la provocatoria teoria avanzata da Paolo Rognini del dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa, che nel merito ha appena pubblicato un articolo sulla rivista scientifica «Biological Theory».

Il nuovo modello (denominato Vestigial Drifting Drives, Vdd, letteralmente «pulsioni arcaiche alla deriva») fa riferimento all’idea che i comportamenti, al pari degli altri caratteri di una specie, subiscono trasformazioni che talvolta sfuggono alla logica della sopravvivenza del più adatto, possono cioè «andare alla deriva» non appena vengono rimosse le «funi» che li tenevano fissati al «molo» delle necessità.

«Già Konrad Lorenz negli anni 70 del secolo scorso – spiega Paolo Rognini – ipotizzò che alcuni comportamenti umani, apparentemente non funzionali, fossero residui di moduli che erano stati adattativi in un passato più o meno remoto, fra cui, ad esempio, le paure irrazionali dell’infanzia o la fobia dei serpenti e dei ragni».

E così, in modo analogo, secondo Rognini, sarebbero esempi di comportamenti residuali e non adattivi per la specie umana l’eccessiva rapacità nei confronti delle risorse e l’impulso all’espansione. Queste tendenze che nel Paleolitico ci hanno garantito la sopravvivenza oggi invece, complice il progresso tecnico, porterebbero al sovrasfruttamento delle risorse e alla sovrappopolazione, minacciando così di portare il pianeta Terra verso il definitivo collasso.

Nello specifico, la tesi di Paolo Rognini di declina secondo queste argomentazioni.

Rapacità. La storia mostra che talvolta i gruppi umani (a causa del sovrasfruttamento delle risorse) possono implodere, autoestinguendosi: ciò è accaduto, per esempio, agli Anasazi del Nord America, agli abitanti dell’Isola di Pasqua, ai norvegesi della Groenlandia. Oggi, ciò potrebbe accadere su larga scala viste le dimensioni globali che la crisi ecologica ha assunto. Ma perché gli esseri umani prelevano più del necessario fino ad esaurire una determinata risorsa? Tra i 2 milioni ed i 50.000 anni fa abbiamo fatto parte integrante dell’ecosistema e, anche se super-predatori, siamo rimasti soggetti al controllo dell’ambiente come tutti gli altri animali. Poi, le regole del gioco sono cambiate: da trasformato, Homo è divenuto trasformatore dell’ambiente e della materia divenendo un super-estrattore. La qualità e la quantità di questa super-estrazione, ha quindi portato ad uno sfrenato sfruttamento delle risorse, da cui il «consumare e fuggire» tipico delle «società tecnologicamente avanzate» e responsabile della cosiddetta «vampirizzazione del pianeta».

Aumento demografico. Oggi stiamo assistendo ad un scontro tra la tendenza all’espansione comune ad ogni forma di vita, specie umana compresa, come atteggiamento residuo e una situazione demografica globale totalmente cambiata che potrebbe portare a un definitivo collasso ecologico entro pochi decenni. Negli ultimi 10.000 anni, l’umanità è infatti passata da pochi milioni di individui a oltre sette miliardi e mezzo. Dal punto di vista del nostro rapporto con l’ambiente questo si traduce in una serie di criticità quali la scomparsa di migliaia di specie viventi ogni anno, la deforestazione, il riscaldamento globale, la perdita di biodiversità, la desertificazione e l’inquinamento.

«Gli esseri umani sono depositari di alcuni elementi organici e comportamentali che non sembrano essere cambiati dall’era del Pleistocene – aggiunge Rognini – in questo senso le Vestigial Drifting Drives potrebbero essere una sorta di “software bioculturale” inadatto all’ambiente attuale».

«Se non aggiorneremo il software delle nostre false convinzioni come “l’inesauribilità delle risorse”, “l’espansione illimitata della specie” o il “vorace accaparramento di risorse” – conclude Rognini – la specie umana potrebbe rischiare l’auto-estinzione: un fenomeno che si rivelerebbe unico nella storia delle specie viventi, riducendoci a un semplice esperimento evolutivo».

(Fonte Università di Pisa)