Dati europei. Prevista per il prossimo anno l’adozione di un piano d’azione Ue per contrastare gli sprechi alimentari. Nella sola Europa si ritiene che ogni anno vadano sprecati circa 88 milioni di tonnellate di cibo, per un costo stimato in circa 143 miliardi di euro l’anno
L’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) stima che circa un terzo del cibo prodotto a livello mondiale per il consumo umano vada perduto. Nella sola Europa si ritiene che ogni anno vadano sprecati circa 88 milioni di tonnellate di cibo, per un costo stimato in circa 143 miliardi di euro l’anno.
Uno Studio pubblicato lo scorso luglio a cura del Centro comune di ricerca (Jrc), un servizio scientifico della Commissione, fa il punto sul settore frutta e verdura che contribuisce a quasi il 50% degli sprechi alimentari generati dalle famiglie in Ue-28, dove si stima che ogni persona riduca in rifiuto 35,3 kg di frutta e verdura all’anno, 14,2 kg dei quali sarebbero evitabili.
Si tratta di un quantitativo notevole che dovrebbe essere considerato come una risorsa per la percentuale di rifiuti inevitabili da frutta e verdura, per esempio le bucce e gli scarti derivati dal consumo e dalla preparazione, ed evitabile per quanto riguarda l’approvvigionamento e il consumo del prodotto edibile.
Il modello proposto intende aiutare a stabilire le prassi di base e le differenze nella generazione di rifiuti tra paesi, studiare gli effetti dei diversi modelli di consumo sui rifiuti e stimare il potenziale di riutilizzo di rifiuti inevitabili in altri sistemi di produzione, in ottica di economia circolare.
Intanto la prima differenziazione è tra il non commestibile, o rifiuto inevitabile, e il commestibile che diventa rifiuto a causa di comportamenti di acquisto e consumo sbagliati.
Sono stati presi in esame 51 tipi di frutta e verdura acquistati, consumati e sprecati nel Regno Unito, Germania e Danimarca nel 2010 arrivando alla conclusione che 21,1 kg di rifiuti pro capite sarebbero inevitabili e 14,2 kg evitabili.
In media, il 29% (35,3 kg per persona) di frutta e verdura fresca acquistata dalle famiglie nell’Ue-28 è sprecato e di questo il 12% (14,2 kg) sarebbe evitabile.
Gli autori rilevano differenze nei rifiuti evitabili e inevitabili generati dai diversi paesi a causa dei diversi livelli di comportamenti nei consumi, legati essenzialmente a fattori culturali ed economici, che influenzano direttamente la quantità di rifiuti generati.
Per esempio, i dati mostrano che sebbene gli acquisti di verdure fresche siano più bassi nel Regno Unito rispetto alla Germania, la quantità di rifiuti inevitabili generati pro-capite è quasi la stessa, mentre la quantità di rifiuti evitabili è più alta nel Regno Unito.
L’obiettivo di Sviluppo sostenibile (Sdg) n.12, «Garantire modelli sostenibili di produzione e consumo», al punto 3 prevede che entro il 2030 si dimezzi l’ammontare pro-capite globale dei rifiuti alimentari e si riducano le perdite di cibo lungo le catene di produzione e fornitura, comprese le perdite post raccolto.
Anche l’ultima modifica alla Direttiva quadro sui rifiuti impone agli Stati membri di ridurre lo spreco alimentare come contributo all’obiettivo Sdg 12.3 e di monitorare e riferire annualmente in merito ai livelli di spreco alimentare.
Per sostenere il raggiungimento di questo obiettivo, la Commissione sta predisponendo un piano d’azione Ue dedicato che comprende:
- elaborazione, entro marzo 2019, di una metodologia comune europea per misurare coerentemente i rifiuti alimentari, in cooperazione con gli Stati membri e le parti interessate;
- utilizzo di una piattaforma sulle perdite e gli sprechi alimentari che riunisce organizzazioni internazionali, organi dell’Ue, Stati membri, attori nella catena alimentare, per contribuire a definire le misure necessarie, facilitare e sviluppare la cooperazione, analizzare l’efficacia delle iniziative di prevenzione degli sprechi alimentari, condividere le migliori pratiche e i risultati raggiunti;
- adozione di linee guida per facilitare la donazione di cibo e la valorizzazione di alimenti non più destinati al consumo umano come alimenti per animali, senza compromettere la sicurezza di alimenti e mangimi;
- esaminare i modi per migliorare l’uso della marcatura delle date di scadenza e la loro comprensione da parte dei consumatori.
(Fonte Arpat, Testo di Debora Badii)