L’Italia lascia depredare il suo mare

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Nuovo report di Greenpeace: «La pesca nelle aree di riproduzione dello Stretto di Sicilia è fuori controllo». Negli ultimi tre anni almeno 147 pescherecci a strascico sono stati impegnati in presunte attività di pesca in tre delicate aree del tratto di mare che divide Sicilia e Tunisia. Gambero rosa (o bianco) e nasello (spesso impropriamente chiamato «merluzzo») sovrasfruttati dal 2006


A pochi giorni dall’apertura dei lavori della 42ma Sessione della Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo (Cgpm-Fao), Greenpeace, nel rapporto «Fra poco spariranno», denuncia il fallimento delle misure di tutela delle aree di riproduzione (nursery) delle specie ittiche più importanti dello Stretto di Sicilia: gambero rosa (o bianco) e nasello (spesso impropriamente chiamato «merluzzo»), da tempo in crisi.

Analizzando i dati del sistema di identificazione automatica (Automatic Identification System, Ais), il rapporto di Greenpeace mostra, infatti, che negli ultimi tre anni almeno 147 pescherecci a strascico sono stati impegnati in presunte attività di pesca in tre delicate aree del tratto di mare che divide Sicilia e Tunisia. Sono tutti pescherecci italiani, provenienti soprattutto dai porti di Mazara del Vallo, Sciacca, Porto Empedocle, Licata e Portopalo di Capo Passero.

Eppure la proposta di vietare la pesca nelle aree di riproduzione per garantire un futuro alle risorse di gambero rosa e nasello, la cui pesca vale intorno ai 48 milioni di euro, risale almeno al 2006. Nel 2011 il Piano di gestione della pesca nello Stretto di Sicilia ha formalmente vietato la pesca a strascico in due di queste aree, rimandandone però l’esecuzione pratica a successivi accordi internazionali. Si arriva così al 2016, quando la specifica Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo della Fao stabilisce la creazione di tre Fisheries Restricted Areas (Fras) nello Stretto di Sicilia. Tuttavia le raccomandazioni prevedono clausole che hanno permesso all’Italia di evitare di renderle operative. Il paradosso, dimostrato dal rapporto «Fra poco spariranno», è che l’attività di pesca entro le tre Fra sembra addirittura essere aumentata dopo la loro «istituzione». Il recente Piano di gestione nazionale del 2018 conferma che, di fatto, la protezione di nursery di fondamentale importanza per la pesca è ancora un miraggio.

«Abbiamo perso almeno dodici anni per dare una speranza di futuro al mare, alle sue risorse e ai pescatori – dichiara Giorgia Monti, Responsabile della Campagna Mare di Greenpeace Italia –. La cosa più incredibile è che i pescherecci che abbiamo identificato non hanno fatto nulla di illegale perché le raccomandazioni del Cgpm-Fao sono rimaste solo sulla carta e la pesca tende pure ad aumentare!»

A dispetto di un continuo calo delle risorse ittiche nello Stretto di Sicilia, l’Italia non ha ancora avviato misure efficaci per tutelare le nursery delle specie ittiche più importanti non rispettando nemmeno le raccomandazioni del Cgpm-Fao che era tenuta ad applicare. Non sorprende che secondo alcuni esperti il settore sia ormai «in avanzato stato di decomposizione» e il fatto che, dopo anni di stallo, la stessa Fao consideri sovrasfruttate le popolazioni di nasello e gambero bianco dello Stretto di Sicilia.

«Più il tempo passa – conclude Monti – più saranno necessari sacrifici per rimediare a questo disastro. Al Cgpm-Fao chiediamo di intervenire con fermezza nei confronti dell’Italia che non ha fatto assolutamente nulla di concreto per far rispettare una norma così elementare come il divieto di pesca nelle zone dove i pesci si riproducono. Il nostro mare non ha bisogno di leggi di carta ma di essere protetto davvero prima che sia troppo tardi!».

(Fonte Greenpeace)