Ma la Storia è ancora maestra di vita?

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Se la speranza non alimenta aggregazioni l’utopia rimane chimera: se il proletariato (brutta parola, per caso?) non nutre la coscienza critica e non aggrega non è perché abbiamo sfornato dalla scuola menti opache… è perché la storia dei vissuti non fornisce ai viventi il senso dell’utopia come possibile realtà da conquistare. Un criterio metodologico che ha avuto risultati soddisfacenti e sicuri

La Storia è maestra della vita (1) forse perché, secondo la teoria dei «Corsi e ricorsi storici» di Vico (nella Scienza Nuova), essa può aiutarci a provare che la Storia esercita il suo magistero perché dimostra la certezza del ripetersi degli avvenimenti, cosa che ci rende più scaltri e previdenti? Poca cosa!

C’è un altro motivo più determinante che lambisce la pedagogia e di conseguenza la didattica. L’uomo è un essere ripetitivo quando, se è determinato dalla sete del potere, riaccende nelle varie fasi del tempo i roghi su cui annienta nel raptus sacrificale la virtù dei diritti dei cittadini ed esalta la potenza dei sovranisti di turno; il trascorrere delle epoche raffina i metodi e gli strumenti che anzi tante volte risultano essere ancora quelli del passato (torture, violenze, uccisioni).

Alberto Angela ci ha consegnato il 13 ottobre scorso l’antologia della dolorosa shoah, insegnamento di vita contro il sempre possibile razzismo incapace di cancellare la civiltà progredita ma pronto a infliggere piaghe ai deportati di ogni tempo, ai deboli elemosinanti alla mensa degli epuloni moderni.

Il grande seguito registrato dalla trasmissione televisiva, però, è parallelo ad un’altra notizia, ancora poco certificata ma puntuale: «recente progetto di cancellare, o ridimensionare, la storia tra i possibili temi dell’esame di maturità» (2), visto che in pochissimi esaminandi si cimentano su tali argomenti. Lo stesso giornalista esprime il giudizio che non scegliere la traccia di storia da parte degli studenti dovrebbe «suggerire l’opposta decisione di creare le condizioni per un rinnovato interesse per la storia». Da condividere in pieno e da divulgare al massimo facendo sentire la voce a chi di dovere per la nostra Buona (!) scuola.

Nasce il problema: da che cosa dipende questo scarso interesse? dalla noia di seguire pedissequamente le pagine dei testi scolastici? dalla esiguità del tempo organico concesso alla disciplina per cui l’insegnamento sicuramente non giunge alla trattazione delle epoche più recenti? (3) dalla superficialità nella preparazione culturale degli insegnanti e dal mancato loro aggiornamento didattico? Una sola di queste cause o tutte insieme? Sicuramente ai giovani studenti, alla vigilia della loro maturità, vengono meno i supporti culturali e scientifici per poter essere pronti alla lettura del loro tempo attuale e alla comprensione dei fenomeni che li dovranno vedere partecipi e attori politici, mentre i mezzi di informazione li bombardano di notizie e problemi a cui non possono sottrarsi e di fronte ai quali non possono essere parte statistica del diffuso «non sa». Come agire? Abbiano creduto che l’insegnante è il fulcro che possa consentire alla leva di sollevare dal problema. Abbiano ideato un criterio metodologico che ha avuto risultati soddisfacenti e sicuri. Ci permettiamo quindi di riportare i passi del progetto La Storia a ritroso che anni fa abbiamo proposto all’attenzione della scuola italiana (4).

Il libro di testo rimane un’occasione di confronto. Meglio si procede con documenti e testimonianze a partire dall’attualità e dai dibattiti in corso, con atteggiamento critico. Il senso storico così si nutre di tendenza all’utopia. Concludevamo l’intervento scrivendo: «Ecco perché lottare, armarsi e schierarsi in nome di un credo politico e religioso, cristallizza differenze tra esistenza umana e futuro e la storia rimane il ricordo dei morti».

La differenza tra cronaca e storia la ricaviamo dal significato del greco istorìa che si rende con ricerca. Così, mentre la cronaca riferisce la sequenza degli accadimenti secondo la scansione temporale, la storia necessità di più tempo per essere tracciata, quello necessario all’interpretazione del rapporto tra gli effetti e le cause da cui origina il giudizio. Un esempio probante può essere questo: i testi di storia per i licei, in alcune edizioni degli anni 50, sugli avvenimenti del secondo conflitto mondiale proponevano soltanto l’elenco dei fatti in successione cronologica senza cimentarsi nelle argomentazioni; eppure noi, che avevamo visto gli accadimenti verificatisi nel nostro territorio, facevamo già considerazioni critiche e valutazioni di merito sugli «attori» del conflitto. La vista dei nostri militari, dagli scarponi sconnessi e con le giberne colme di cicche e noccioline, era in contrasto con l’assetto dei militari tedeschi, insediati nei nostri migliori palazzi, sempre in marcia cadenzata e con canti in lingua: una pittura drammatica sulle falde dell’Etna, conclusa con bombardamenti e crepitio di mitraglie. Ai bordi delle strade statali e provinciali cumuli di terra con una croce di rami secchi e un elmo appeso, nelle vigne rinsecchite dal sole cocente bossoli in rame giganti di cannoni luccicavano al sole quando, dopo la notte, l’alleato germanico divenne nemico fuggiasco: la Sicilia appesa al sonno si risvegliava con altri accordi tra generali stellati e mafiosi in ombra! Nella nostra immaginazione rimanevano le scene romantiche degli ufficiali italiani nel volteggio di balli con le donne locali, al suono travolgente del pianoforte del salotto!

Rivediamo, sullo sfondo di questi quadretti d’epoca, lo scorrere delle ricerche degli studenti, raccoglitori minuziosi di documenti e proclami e poi osservarli nella biblioteca d’istituto confrontare notizie e ragioni degli avvenimenti passati, radici del nostro tempo riappacificato ma non sempre in pace a livello globale.

A confronto con i testi che scandiscono la storia come successione epocale di date delle guerre e delle sopraffazioni (476 d.C. – 1492 – 1848 – 1945) tra caduta dell’impero romano di Occidente (come se fosse una data valida anche per la storia di tutti i popoli di Oriente, di Africa, delle Americhe, ecc.) e l’esplosione della bomba atomica a conclusione del II conflitto mondiale, è da proporre invece il percorso delle positività, dal diritto di voto universale alla parità dei generi, dal superamento dei confini con controllo armato alla libertà di movimento delle persone e delle merci, e così via.

Nel ricordo dell’insegnamento laboratoriale, con la rappresentazione della caduta del muro di Berlino sulle scene del teatro di Chiusi (5), oltre le ceneri disperse nel vento con i fumi dalle ciminiere un insegnamento storico convincente per quella generazione nuova e la pace a venire.

A conclusione di queste riflessioni poniamoci una domanda: il sistema preferisce una struttura formativa standard o l’autonomia che lasci spazio aperto alla maturazione del senso critico? Purtroppo i sistemi politici optano per il primo modello.

La pedagogia, come scienza attiva dell’evoluzione dinamica delle persone, non può non schierarsi per il secondo criterio.

L’omologazione culturale a cui tendono i sistemi di intrattenimento dei mass media propone alla moltitudine contenuti e forme che strutturano una formazione culturale come base sicura di mantenimento dello status quo.

Le iniziative politiche che tracciano progetti di riforma del sistema scolastico intervengono su elementi di struttura, di concentrazione dei tempi, di licenziamento dei giovani dal campo formativo verso una loro vaga destinazione, assicurano la manodopera a basso costo mentre l’offerta è scarsa in un mercato di profitto che ubbidisce alla fantomatica legge di mercato, occultando che trattasi invece di legge di mercanti.

Al presente, quando le organizzazioni di settore non riescono a proporre piattaforme e non aggregano più i giovani aspiranti all’occupazione, abbiamo una più intensa omologazione, una percentuale sovrabbondante di reticenze, di caduta di ricerca del lavoro.

Se la speranza non alimenta aggregazioni l’utopia rimane chimera: se il proletariato (brutta parola, per caso?) non nutre la coscienza critica e non aggrega non è perché abbiamo sfornato dalla scuola menti opache… è perché la storia dei vissuti non fornisce ai viventi il senso dell’utopia come possibile realtà da conquistare.

Il detto di Auschwitz Arbeit Macht Frei (Il lavoro rende liberi) è la storica e subdola ambiguità nell’impiego delle parole a cui seguirà l’atroce sequenza delle numerazioni (lingua e matematica, il conto della catastrofe!): oltre l’intreccio dei suoi binari il sacrificio all’élite razzista delle carni dei deportati, spogliati delle vesti ma non della dignità, poi i forni e le ceneri nel vento.

Storia! Hai qualcosa da insegnarci?

 

(1) Cicerone, De oratore, II, 9, 36.

(2) R. Esposito, su «Repubblica», 15 Ott. 2018, p. 24.

(3) Nella nostra esperienza in commissione esami abbiamo sempre rilevato che lo studio reale nell’ultimo anno di scuola giungeva appena al Risorgimento italiano!

(4) F. Sofia, Utopia e Didattica della Storia, in «Nuova Secondaria», 10 (1996), p. 58s.

(5) Realizzazione scenica «Vento di Berlino» della classe 2c dell’Istituto «Casavola» di Modugno (BA), Maggio1990: un’occasione di apprendimento della Storia, dal presente al passato. La classe conseguì il primo premio nazionale di teatro «Ragazzi in Gamba».

 

Francesco Sofia, Pedagogista. Socio onorario dell’Ass. nazionale dei pedagogisti italiani