Quel Pdl darà il via alla speculazione sui fiumi

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Le frasi di Salvini che facevano riferimento a un «malinteso ambientalismo da salotto» e che segnalava la necessità di dragare i fiumi, in realtà riecheggiava una proposta di legge del 23 marzo di quest’anno, a firma di 16 deputati leghisti, prima firma Guidesi, recante «Disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti» che darebbe il via al saccheggio dei fiumi con pesanti conseguenze per la sicurezza e l’erosione delle coste

Il ministro Salvini, a seguito delle alluvioni verificatesi in Sicilia, ha attribuito responsabilità delle difficoltà a fronteggiare i disastri a un «malinteso ambientalismo da salotto». Il Presidente del Consiglio Conte, contemporaneamente, ha messo in contrapposizione l’esistenza di vincoli ambientali con la sicurezza delle persone, dicendo che la seconda dev’essere prevalente sulla prima (ergo: occorrerebbe contenere e limitare i vincoli). Eppure è all’evidenza di tutti che è proprio la vocazione all’illegalità e la noncuranza dei vincoli a provocare vittime nel corso di frane e alluvioni.

Quelle dichiarazioni e le successive esternazioni, unitamente al silenzio assoluto del ministro per l’Ambiente che pure è fra tutti quello che dovrebbe essere il più interessato per competenza, non sono da sottovalutare e appaiono di una gravità estrema se consideriamo che sull’argomento esiste un’iniziativa parlamentare in corso che è necessario rendere nota.

È stata depositata alla camera, il 23 marzo di quest’anno, la proposta di legge n. 260 a firma di 16 deputati leghisti, a prima firma Guidesi, recante «Disposizioni per la manutenzione degli alvei dei fiumi e dei torrenti». La proposta di legge reca nella presentazione che «la causa di tanti disastri sta, purtroppo, nella mancata pulizia degli alvei dei fiumi e dei torrenti che provoca l’innalzamento degli alvei, dovuto alla cronica deposizione dei sedimenti e di trasporto solido, riducendo la sezione, che non riesce più a contenere il volume d’acqua del bacino scolante». E più oltre: «Purtroppo la pulizia dei fiumi e dei torrenti è bloccata da una legislazione obsoleta, carica di inopportune ideologie ambientaliste, e da una burocrazia insostenibile che mette in condizioni critiche i cittadini».

La proposta per superare i due «purtroppo» prevede di dare ai Presidenti delle Regioni, «in via sperimentale» per 3 anni, poteri speciali straordinari, come quelli extra ordinem attribuiti ai commissari per i soccorsi in caso di terremoti o altri disastri ambientali, con procedura di «somma urgenza», per autorizzare in senso ultra-liberista il dragaggio dei fiumi. All’art. 2 prevede che possano autorizzare «l’estrazione di ciottoli, ghiaia e sabbia e altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici, fino al ripristino del livello dell’alveo»… Infine prevede che il materiale cavato venga regalato ai cavatori, come «compensazione» del lavoro svolto.

I profili di gravità della proposta sono tre. La prima è che dopo oltre quarant’anni si intende riprendere dagli alvei dei fiumi, bagnati e di piena, il prelievo di materiale lapideo. Roba pregiata e costosa e quindi redditizia. Questa pratica era stata vietata peri suoi effetti devastanti dal punto di vista geologico-idrico. Infatti il profilo delle pendenze di ogni corso d’acqua è in equilibrio dinamico tra una zona a monte, ad elevata pendenza, soggetta naturalmente ad erosione, una intermedia ad erosione-deposito (a seconda del regime delle acque, primaverile, estivo e autunnale-invernale) e una a bassa pendenza, di pianura, tipicamente a deposito del materiale generalmente più fine costituente il trasporto solido naturale. L’escavazione di un tratto realizza delle fosse che vengono riempite dal materiale di fondo dell’alveo a monte, che scivola, per mesi e per anni, ad opera della spinta della corrente, e questa erosione rimontante provoca l’abbassamento dell’alveo per svariati chilometri. Ne deriva che se a monte, anche a distanza di chilometri, vi sono ponti con piloni in alveo, questi vengono scalzati alla base e possono collassare.

In Abruzzo (ma non è l’unico esempio) a Castelnuovo Vomano, questo fenomeno erosivo innescato dalle escavazioni realizzate decenni prima e oramai dimenticate, ha provocato l’asportazione per scivolamento di tutto lo strato di materiale lapideo su cui scorreva il fiume, esponendo alle acque correnti la sottostante argilla. Questa si scioglie facilmente in acqua e così oltre al fatto che si sono avuti mesi di micidiale torbidità (inquinamento da solidi in sospensione), la fanghizzazione del restante percorso del fiume e del mare con scomparsa del biota fluviale fino alla foce e quello marino (i molluschi lamellibranchi filtratori periscono per l’intasamento delle branchie e il mare si desertifica) si è prodotto a monte lo scavo di un canyon nell’argilla, profondo circa 12 metri.

Una ferita drammatica nel territorio e per il fiume Vomano, finito a scorrere incassato in un solco a pareti verticali, cedevoli, sotto terra. Il ponte che collega il Paese a una delle strade principali è rimasto così con i piloni appesi nel vuoto del canyon e si è dovuto chiudere al traffico per lunghissimo tempo fino a quando sono stati eseguiti lavori costosi e complessi di consolidamento. In pratica il ponte sosteneva, penzolanti, i piloni e non il contrario.

Ogni escavazione in alveo scatena sempre danni a monte e a valle del fiume e l’abbassamento dell’alveo e minaccia la stabilità dei ponti ai cui piloni mancherà la «terra sotto i piedi». Per questo prelievi di materiali dall’alveo sono vietati dagli anni 70 e la ghiaia è «patrimonio indisponibile dello Stato»… altro che «burocrazia», «ambientalismo da salotto»: le ragioni sono scientifiche e comprovate.

Il secondo profilo di gravità è l’apertura che questa proposta di legge apre, ad ogni tipo di abuso, peggiorativo rispetto a quando le cave in alveo erano storicamente autorizzate. Infatti la proposta di legge parla di «ristabilire l’assetto plano-altimetrico degli alvei e dei corridoi fluviali tenendo conto della traiettoria evolutiva storica degli alvei (art.1) del «ripristino della sezione originale di deflusso» (art.2). Il problema è che nessuno sa quale era l’altimetria esatta (metri sul livello del mare) del fondo di un fiume in un determinato luogo e quindi può essere autorizzato lo scavo in ogni sua parte dell’intero «corridoio fluviale», liberamente in abbondanza. E poi chi può dire quale era il livello basale «storico» del fondo del fiume? Di quale periodo storico, visto che il fiume è in evoluzione naturale spontanea continua? E attenzione: l’intervento non sarebbe neppure puntuale, da momento che il presunto (indefinito e indefinibile) assetto plan-altimetrico originario riguarderebbe l’intero «corridoio» fluviale. Bastava scrivere, più onestamente, che «si può cavare, dragare, ovunque… e ad occhio».

Il terzo profilo di gravità è che gli interventi sono autorizzati ai privati, ai cavatori, i quali possono prendersi ciottoli, ghiaia e sabbia come «compensazione» del lavoro svolto. Una volta una ditta che voleva cavare in questo modo doveva pagare oneri di concessione (bassi rispetto ai profitti fatti vendendo un bene comune e insignificanti rispetto all’impatto ambientale)… Oggi una legge vorrebbe far riprendere le escavazioni regalando letteralmente il materiale, di elevato valore, per l’arricchimento del privato: al bene comune i danni e all’esecutore del danno il profitto. Che dire poi della «mitigazione del rischio geologico attraverso la stabilizzazione dei versanti»? La stabilizzazione potente ed efficace è data dalla vegetazione fluviale:la si vuole eliminare per poi sostituirla con cemento e gabbioni col pietrame, come in passato?

Questa proposta è pericolosa per la sicurezza dei cittadini, per i fiumi, e confligge con la Direttiva europea 2000/60 CE e con il testo Unico ambientale (Decreto legislativo 152/06) che invece impongono il risanamento ecologico-ambientale e chimico-fisico dei fiumi e dei torrenti e vietano di peggiorare la situazione esistente. È foriera di un possibile procedimento europeo di infrazione con multe salate conseguenti. Distruggendo le componenti biotiche fluviali (macroinvertebrati, macrofite, microalghe diatomiche, pesci) la cui presenza equilibrata è posta alla base del giudizio di qualità di «buono stato» dalla normativa vigente, impedirà ai fiumi del nostro Paese di raggiungere gli obiettivi di qualità. Confligge con l’art. 9 della Costituzione che tutela il paesaggio.

Esistono tuttavia casi in cui per motivi di sicurezza occorre intervenire con un dragaggio degli alvei, e questo si può fare (come avviene comunemente) nel quadro legislativo esistente… senza bisogno di nuove leggi; ma… questa è opera e competenza della Pubblica Amministrazione e non di privati interessati a incamerarsi la ghiaia: mettere i fiumi in mano ai cavatori è come mettere la salvaguardia dei polli in capo all’associazione delle volpi. In quei casi, rari, le cose vanno fatte con criterio, con valutazione dell’impatto ambientale e con metodi ecologicamente compatibili, già normati da vent’anni in altri Paesi come l’Inghilterra.

Ad esempio, dopo uno studio attento dei microhabitat fluviali e delle «isole di vegetazione pregiata da lasciare, si può dragare una strisciata longitudinale laterale lungo una sola sponda e, dopo due o tre anni, quando il biota della sponda integra e dalle «isole di vegetazione di pregio lasciate come innesco» ha riconquistato tutto l’alveo a suo tempo desertificato dal dragaggio, si può procedere all’approfondimento dell’altra sponda con le stesse modalità. Per la manutenzione ecologica della vegetazione di sponda, tronchi ecc., si vedano le linee di indirizzo elaborate dalla Provincia di Benevento: già molto buone anche se ulteriormente migliorabili. L’ecotono fluviale, vale a dire quella fascia di confine tra acqua e terra lungo le sponde, è la nostra Amazzonia, il più grande contenitore di biodiversità per specie animali che lì trovano rifugio, nutrimento, luogo di riproduzione e il proprio corridoio ecologico per gli spostamenti. Questa proposta di legge è oscena, antiscientifica, arretrata, culturalmente inaccettabile, può solo portare danni epocali ai corsi d’acqua italiani. È dovere di chiunque contrastarla e farla contrastare.

 

Giovanni Damiani