Tra i principali impegni a favore del clima, contenuti nella Carta, vi è quello di ridurre del 30%, entro il 2030, le emissioni aggregate di gas serra prodotte dal settore moda
Il mondo della moda, a livello mondiale, comincia ad acquisire consapevolezza di come il settore tessile e della produzione di abiti incida fortemente sul cambiamento climatico, per questo ha lanciato la Carta dell’industria della moda a favore del clima.
Sotto l’egida delle Nazioni Unite (UN Climate Change), marchi leader della moda, rivenditori, organizzazioni di fornitori e altri ancora, tra cui un’importante compagnia di navigazione, hanno concordato di affrontare collettivamente l’impatto sul clima del settore della moda lungo tutta la filiera produttiva.
Per ora la Carta è stata firmata da alcuni importanti brand, come Adidas, Aquitex, Arcteryx, Burberry Limited, Esprit, Guess, Gap Inc., H&M Group, Hakro Gmbh., Hugo Boss, Inditex, Kering Group, Lenzing AG, Levi Strauss & Co., Mammut Sports Group AG, Mantis World, Maersk, Otto Group, Pidigi S.P.A, PUMA SE, re:newcell, Schoeller Textiles AG, Peak Performance, PVH Corp., Salomon, Skunkfunk, SLN Textil, Stella McCartney, Sympatex Technologies, Target and Tropic Knits Group.
La carta rimane aperta ad un gruppo più ampio di parti interessate, infatti, già da ora è supportata da una serie di organizzazioni anche non governative (Ong), come: Business for Social Responsibility (Bsr), China National Textile and Apparel Council (Cntac), China Textile Information Center (Ctic), Global Fashion Agenda (Gfa), Global Organic Textile Standard (Gots), International Finance Corporation (Ifc), Outdoor Industry Association (Oia), Sustainable Apparel Coalition (Sac), Sustainable Fashion Academy (Sfa), Textile Exchange, Wwf International and Zdhc (Zero Discharge of Hazardous Chemicals Foundation).
Firmando la Carta dell’industria della moda per l’azione per il clima, i Ceo e i presidenti di queste organizzazioni hanno confermato il loro impegno per affrontare il cambiamento climatico e la loro volontà di intensificare la collaborazione all’interno e all’esterno del settore della moda verso un futuro più pulito e a basse emissioni.
L’industria della moda (che comprende l’industria tessile, dell’abbigliamento, della pelletteria e della calzatura, dalla produzione di materie prime e la produzione di indumenti, accessori e calzature nonché la loro distribuzione e consumo) ha lunghe catene di fornitura e produzione ad alta intensità energetica e che contribuiscono molto alle emissioni di gas serra in atmosfera.
Per questo, il settore moda svolge un ruolo cruciale nella partita contro il cambiamento climatico; da qui l’impegno a ridurre le emissioni per favorire uno sviluppo sostenibile in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
La Carta contiene la previsione di raggiungere, nel settore moda, l’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 e definisce le questioni che saranno affrontate dai firmatari, che vanno dalla decarbonizzazione della fase di produzione, alla selezione di materiali rispettosi del clima e sostenibili, il trasporto a basse emissioni di carbonio, il miglioramento del dialogo con i consumatori affinché anch’essi acquisiscano consapevolezza su certe problematiche, la collaborazione con la comunità finanziaria e i responsabili delle politiche per arrivare a soluzioni raggiungibili ed esplorare modelli di business circolari.
Per realizzare questi impegni, sono stati istituiti alcuni gruppi di lavoro in questi ambiti
- decarbonizzazione e riduzione delle emissioni di gas serra
- materiali
- produzione di energia
- logistica
- impegno politico
- valorizzazione degli strumenti e delle iniziative esistenti
- promuovere a largo raggio l’azione a favore del clima.
Tutte le parti firmatarie della carta intendono lavorare su obiettivi concreti, assumendosi l’impegno di ridurre le emissioni aggregate di gas serra del 30% entro il 2030. Fin da subito hanno definito misure concrete, come l’eliminazione progressiva delle caldaie a carbone o altre fonti di produzione energetica che dipendano dal carbone, sia nelle proprie aziende che per quanto riguarda i loro fornitori diretti, a partire dal 2025.
(Fonte Arpat, Testo di Stefania Calleri)